Il business italiano in Nagorno-Karabakh, in nome della riconciliazione (Comedonchisciotte 26.05.21)
Di Marco Santopadre, pagineesteri.it
Il 9 novembre 2020, Armenia e Azerbaigian hanno firmato il cessate il fuoco, mediato dalla Russia, al termine di un cruento conflitto iniziato il 27 settembre per il controllo dell’Artsakh, territorio dichiaratosi indipendente alla fine degli anni ’80 in una regione azera (il Nagorno-Karabakh) abitata prevalentemente da armeni. Il primo conflitto, dal 1991 al 1994, si era concluso con una netta vittoria degli armeni, che non solo avevano mantenuto il controllo dell’Artsakh, ma avevano strappato a Baku sette province adiacenti.
Dopo aver preparato per anni la rivincita, sostenuta da Turchia e Israele ed essendosi assicurata la tolleranza di Mosca – che pure appoggia storicamente l’Armenia, sul cui territorio possiede basi e installazioni militari – il 27 settembre 2020 Baku ha lanciato un massiccio attacco riuscendo rapidamente a riconquistare la maggior parte dei territori perduti 26 anni prima. Solo l’intervento russo ha evitato la scomparsa della Repubblica dell’Artsakh, ridotta però ad una piccola enclave attorno alla capitale Stepanakert completamente circondata da territorio azero. A garantire il collegamento con l’Armenia solo lo stretto corridoio di Lachin, protetto da Mosca che ha ottenuto di poter schierare sul terreno 2000 militari per almeno cinque anni, incaricati di monitorare il rispetto della tregua. In cambio Erevan si è impegnata a garantire all’Azerbaigian i collegamenti con la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, exclave di Baku ad ovest dell’Armenia.
Il premier armeno Nikol Pashinyan e la leadership dell’Artsakh hanno giustificato l’intesa come obbligata, per evitare la disfatta totale. Ma le opposizioni e una parte dell’esercito hanno accusato il governo di aver capitolato, regalando a Baku anche territori che le truppe azere – sostenute dai mercenari e dai militari inviati da Ankara – non avevano conquistato. Numerose manifestazioni hanno reclamato la dimissioni di Pashinyan mentre in un documento il capo di Stato Maggiore, Onik Gasparyan e vari comandanti dell’esercito definivano il premier “incapace di prendere decisioni adeguate”. Pashinyan ha gridato al golpe ma poi, il 25 aprile, ha deciso di dimettersi permettendo così la convocazione di elezioni anticipate.
L’Armenia è in preda a una crisi senza precedenti, stretta tra la difficoltà economiche, l’instabilità politica e le conseguenze della pandemia. Centinaia di migliaia di profughi provenienti dai territori riconquistati da Baku e più di 150 militari e civili ancora prigionieri dell’Azerbaigian tengono aperta una ferita che difficilmente potrà essere rimarginata.
Se Baku ha rafforzato la sua indipendenza da Mosca, la sopravvivenza dell’Armenia sembra dipendere sempre più dal sostegno russo, che rischia di diventare dipendenza. Lo stesso Pashinyan, salito al potere nel 2018 a capo di una coalizione filoccidentale e anti russa, si è dovuto piegare all’aumento della presenza militare di Mosca nel paese; a inizio maggio il premier dimissionario ha annunciato la realizzazione di due nuovi siti militari russi nella regione di Syunik al confine con l’Azerbaigian, “come ulteriore garanzia di sicurezza”.
Intanto la popolazione armena è atterrita dalla sconfitta e dall’isolamento internazionale: Erevan ha ben poco da offrire rispetto ai propri minacciosi vicini.
Entusiasmo azero
Se Erevan è ancora sotto shock, a Baku si respira un’atmosfera di entusiasmo. La schiacciante vittoria dell’autunno ha certificato l’ingresso della Repubblica ex sovietica nel novero delle potenze regionali, con gli arsenali pieni e crescenti relazioni internazionali oliate dalle massicce forniture di idrocarburi.
Il legame con la Turchia, artefice principale del successo azero contro l’Armenia, è ormai fortissimo. In ben due occasioni Aliyev si è vantato che il rapporto di “amicizia e fratellanza” con Ankara è “al massimo livello”. «La seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha dimostrato ancora una volta al mondo intero che la Turchia e l’Azerbaigian sono insieme» e che «hanno ampliato le loro capacità nella regione» ha detto Aliyev, aggiungendo che «il nostro ruolo e la nostra influenza sono aumentati e continueranno a crescere».
Erdogan ha celebrato la vittoria partecipando ad una trionfale parata organizzata da Aliyev a Baku che ha visto sfilare le armi di ultima generazione e le truppe speciali inviate da Ankara per sbaragliare gli armeni. Il 12 aprile, poi, il presidente azero – al potere dal 2003, dopo altri 10 anni di “regno” del padre Heydar – ha inaugurato il “Parco della Vittoria” nel quale, a infierire sugli sconfitti, sono esposti gli elmetti appartenenti ai soldati armeni caduti negli scontri e dei manichini che ne riproducono le spoglie in pose ridicole, se non bastasse l’enorme scritta “il Karabakh è Azerbaigian” composta dalle targhe di 2000 veicoli militari catturati al nemico.
Baku si gode il momento d’oro. Nonostante il crollo del prezzo del petrolio, nel 2020, causato dalla pandemia, il paese ha incassato il varo del Tap, che trasporta in Europa ogni anno dieci miliardi di metri cubi di gas estratto nel Mar Caspio (che ospita il 20% delle riserve mondiali) mentre le aziende straniere fanno la fila per aggiudicarsi appalti e investimenti.
Mentre l’Armenia può aspirare ad un unico progetto infrastrutturale degno di nota – la linea ferroviaria Erevan-Mosca – deciso durante il vertice tenutosi a Mosca tra Putin, Aliyev e Pashinyan l’11 gennaio, l’elenco degli interventi previsti in Azerbaigian è assai corposo.
Aliyev vuole trasformare l’Azerbaigian in un crocevia delle vie di comunicazione e dei corridoi commerciali e in uno snodo geopolitico.
Il 15 febbraio, inaugurando i lavori per il collegamento ferroviario tra Horadiz e Agbend nel distretto riconquistato di Fizuli, il presidente azero ha dichiarato che «i progetti di trasporto nella regione dovrebbero svolgere un ruolo speciale nello sviluppo a lungo termine della stessa, garantendo stabilità, riducendo a zero il rischio di guerra e facendo in modo che tutti i Paesi partecipanti ne traggano vantaggio». Dopodiché ha elencato alcuni dei progetti più ambiziosi: il collegamento tra il Nakhchivan e la Turchia, che apre ad Ankara la via dell’Asia Centrale; la tratta ferroviaria tra Russia e Iran sempre attraverso l’exclave; il corridoio ferroviario tra Iran e Armenia e quello tra Turchia e Russia.
Nel frattempo il paese si è già trasformato in un enorme cantiere a cielo aperto, tra la realizzazione di nuovi pozzi per l’estrazione del gas, la modernizzazione delle raffinerie di petrolio e la creazione di nuove centrali solari e idroelettriche.
Trasformare il Nagorno-Karabakh in un “paradiso degli investimenti”
Il regime, in particolare, ha deciso di investire ingenti risorse nella ricostruzione dei territori riconquistati, trasformandola in un’occasione per attirare ulteriori investimenti internazionali e dare lustro al paese. Allo scopo Aliyev ha istituito un ingente “Fondo per la rinascita del Nagorno-Karabakh”.
«Di recente ho detto che creeremo un paradiso nella regione del Karabakh, e mantengo la mia parola» ha dichiarato Aliyev nel corso di una riunione governativa; il suo obiettivo è ripopolare rapidamente i distretti rioccupati, trasformandoli in una meta turistica internazionale. Nuove strade sono previste nei distretti di Lachin e Fizuli e particolare attenzione verrà accordata, nella ricostruzione, alla città di Shusha – la ex “Parigi del Caucaso” – che Baku intende riportare “all’antico splendore” ed ha appena dichiarato capitale culturale dell’Azerbaigian.
Alla fine di aprile il presidente, accompagnato da moglie e figlia, ha visitato il distretto di Zangilan per inaugurare una serie di cantieri, in primo luogo quello del nuovo aeroporto internazionale la cui pista dovrebbe essere lunga tre chilometri, permettendo così decollo e atterraggio a grandi aerei da carico. Altri due aeroporti sono previsti a Fizuli e Lachin, mentre Aliyev ha posato la prima pietra dell’autostrada Zangilan-Horadiz, lunga 124 km e larga sei corsie.
Grandi opportunità per i “paesi amici”
Baku ha deciso di selezionare attentamente i paesi e le aziende che potranno collaborare alla ricostruzione del Nagorno-Karabakh, privilegiando ovviamente la Turchia – alla quale è stata affidata la realizzazione di un parco tecnologico – e i paesi del “Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni” (o Consiglio Turco).
Ma tra i paesi che Aliyev considera amici e che quindi meritano una corsia preferenziale figura, oltre alla Cina e a Israele, anche l’Italia. Dopo il conflitto i rappresentanti italiani sono stati i primi occidentali a visitare Baku e i distretti strappati agli armeni, prima con una delegazione parlamentare e poi con una governativa.
Le imprese francesi, invece – Parigi ha, seppur debolmente, sostenuto Erevan durante la “guerra dei 44 giorni” – hanno dovuto fare non poca anticamera e per ora si sono aggiudicate le briciole. L’Italia, invece, è ormai da anni un partner strategico dell’Azerbaigian e l’atteggiamento “equidistante” dei governi italiani in merito alla contesa con l’Armenia ha rafforzato il legame col regime di Baku. Il ministro azero degli Esteri, Ceyhun Bayramov, ha esplicitamente lodato le posizioni assunte dal governo italiano e in particolare il contenuto di una risoluzione adottata il 2 marzo dalla Commissione Affari Esteri della Camera in quanto mostrerebbe “un atteggiamento equilibrato” utile a permettere la riconciliazione tra i due contendenti.
Ormai dal 2013 l’Azerbaigian è il primo fornitore di petrolio dell’Italia insieme all’Iraq, con importazioni medie annuali per circa 5,5 miliardi di euro. L’inaugurazione del Tap lo scorso 31 dicembre ha poi permesso all’Italia di diventare un vero e proprio hub europeo del gas azero, che esporta attualmente in Francia e Svizzera.
L’Italia è anche il primo partner commerciale del paese centroasiatico; dal 2016 al 2020 le importazioni sono più che raddoppiate arrivando a 6 miliardi annuali. Secondo il Ministero degli Esteri sono ben 3000 le imprese nostrane operative sul suolo azero, comprese l’Eni e l’Unicredit, per un investimento totale di circa 600 milioni di dollari.
Il 3 febbraio l’italiana Maire Tecnimont, già coinvolta in progetti sul suolo azero per un valore complessivo di 1,6 miliardi di euro, ha vinto due importanti contratti con la Heydar Aliyev Oil Refinery (controllata della compagnia petrolifera statale azera Socar) per un valore di 160 milioni di dollari. L’azienda dovrà ricostruire l’unico impianto per la raffinazione del greggio presente a Baku, città nella quale proseguono i lavori per la realizzazione dell’Università Italiana, che gli imprenditori e i politici nostrani sperano possa presto sfornare futuri dirigenti interessati a moltiplicare le occasioni di business per Roma.
In occasione di un Business Forum tra le delegazioni dei due paesi – con la partecipazione del presidente azero e del direttore generale di Confindustria Marcella Panucci – organizzato alla Farnesina nel febbraio 2020, Ilham Aliyev aveva già definito l’Italia «un partner strategico in Europa, il partner numero uno». Davanti ad una platea composta dai rappresentanti di 90 enti, aziende e associazioni azere e di 170 imprese italiane, Aliyev aveva rilanciato la collaborazione nei settori dei trasporti, dell’agro-alimentare, dell’energia, del turismo, delle reti idriche. Il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, era andato oltre, definendo l’Italia «un ponte nel Mediterraneo così come l’Azerbaigian è un ponte tra Europa e Asia. Siamo paesi amici accomunati da scambi basati sul dialogo tra culture, religioni, lingue ed etnie».
La torta del Nagorno-Karabakh
Ovviamente la decisione da parte del regime azero di convogliare importanti risorse sulla ricostruzione, il ripopolamento e la modernizzazione delle province recuperate dopo 30 anni di controllo armeno ha aumentato le opportunità a disposizione delle imprese italiane.
A seguito della missione realizzata nel dicembre scorso in Azerbaigian, il 21 aprile il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ha inaugurato una “web mission”, con la partecipazione del ministro dell’Energia azero Parviz Shahbazov. nel settore della pianificazione urbana allo scopo di far incontrare imprenditori italiani e committenti azeri; allo scopo gli esecutivi dei due paesi hanno costituito una commissione economica intergovernativa bilaterale, presieduta proprio da Di Stefano e Shahbazov.
Già il 26 aprile è stato presentato in Azerbaigian un progetto di ricostruzione nel quale alcune aziende italiane svolgeranno un ruolo importante. Durante la sua visita nei distretti di Jabrayil e Zangilan, Aliyev ha infatti annunciato la costruzione a breve dei primi “smart village” (villaggi intelligenti), che verranno realizzati da imprese turche, israeliane, cinesi e appunto italiane. Il progetto pilota riguarda la realizzazione di tre “smart village” ad Aghali, con l’edificazione di 200 edifici residenziali più alcuni di servizio – scuole, ambulatori, ecc – da costruire con materiale isolante, dotati di reti di comunicazione di ultima generazione e in possesso di sistemi di riscaldamento all’avanguardia, con una particolare attenzione a sostituire i combustibili fossili con tecnologie basate sulle energie rinnovabili e a basso impatto ambientale. Annessi agli “smart village” sono stati lanciati anche dei progetti di cosiddetta “agricoltura intelligente” e la realizzazione di infrastrutture di tipo turistico.
Della digitalizzazione verrà incaricata la filiale locale del gigante cinese Huawei, mentre una ditta italiana si occuperà di dotare un caseificio, realizzato da una impresa israeliana, della tecnologia e delle competenze necessarie alla produzione di mozzarella e burrata con latte di bufala. L’Azerbaigian, già quarto esportatore di formaggi a livello mondiale, vuole incrementare e differenziare la produzione casearia.
Ansaldo Energia, invece, ha vinto l’appalto per la costruzione di quattro sottostazioni elettriche insieme all’azienda locale Azerenerji, e si è già aperto il capitolo del restauro del patrimonio archeologico ed artistico, anche in questo caso con varie imprese e istituzioni culturali italiane in prima fila.
«L’Azerbaigian si aspetta una grande partecipazione delle aziende italiane» ha affermato in un’intervista all’Agenzia Nova l’assistente del primo vice presidente azero Elchin Amirbayov nel corso di una visita a Roma.
«Dopo la guerra dei 44 giorni (…) l’Azerbaigian ha ripristinato la sua integrità territoriale» ha detto Amirbayov parlando del ripristino della “giustizia storica” in linea con il diritto internazionale e con le quattro risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu del 1993 «che chiedono il completo, immediato e incondizionato ritiro delle forze dell’Armenia dal territorio azerbaigiano».
Per Amirbayov – che ovviamente ha taciuto sulla distruzione del patrimonio storico e religioso armeno attualmente in corso nei territori rioccupati – l’Italia può dare un grande contributo alla ricostruzione di un territorio di circa 10 mila km quadrati in cui intere città, paesi ed edifici storici sono stati distrutti o gravemente danneggiati. «Si tratta di una sfida importante per cui abbiamo bisogno di partner, e l’Italia è certamente tra questi» ha sottolineato il dirigente azero.