Gli osservatori Ue coinvolti nelle sparatorie di confine tra Armenia e Azerbaigian. Nessun ferito (Eunews 16.08.23)
Bruxelles – Continuano, senza pausa, le tensioni tra Armenia e Azerbaigian lungo il confine e in Nagorno-Karabakh. Ma nell’ultimo episodio di escalation armata è rimasta indirettamente coinvolta anche l’Unione Europea. Come confermato su X (precedentemente Twitter) dalla missione civile Ue in Armenia (Euma) una pattuglia di osservatori europei “è intervenuta in occasione di una sparatoria nella nostra area di responsabilità”, ma “nessun membro Euma è stato ferito“. Si tratta di una prima volta dall’inizio delle operazioni a febbraio – e nel pieno degli sforzi diplomatici di Bruxelles – anche se gli spari di confine tra i due Paesi caucasici al momento sono di origine e responsabilità non chiarita.
La comunicazione dell’Euma è stata caratterizzata da un equivoco quantomeno bizzarro. Dopo che il segretario stampa del ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan, aveva per primo dato notizia ieri (15 agosto) sul fatto che l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”, sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”. Solo poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione al portavoce armeno, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera. Da parte di Baku è stata respinta l’accusa armena degli spari da parte dell’Azerbaigian come “teoricamente e praticamente impossibili”, dal momento in cui l’esercito era a conoscenza della presenza di pattuglie Ue nella zona. Dallo scorso 20 febbraio Euma è presente in Armenia con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine tra Armenia e Azerbaigian.
Il nuovo episodio di tensione si iscrive in una guerra congelata che va avanti dal 1992 , con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Mentre l’Ue è impegnata in un difficilissimo sforzo di mediazione diplomatica e sul campo per risolvere la questione dei confini e dell’integrità territoriale, per oggi (16 agosto) è prevista una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’aggravarsi della crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, in particolare dopo che l’Azerbaigian ha preso il controllo del corridoio di Lachin e ha bloccato la fornitura di aiuti umanitari.
La difficile mediazione Ue sul Nagorno-Karabakh
Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”. Dopo la ripresa delle discussioni a maggio, lo scorso 15 luglio si è tenuto un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan – “una delle fasi più complete e vigorose dei negoziati tra Armenia e Azerbaigian”, ha garantito il presidente del Consiglio Ue – ma ormai è diventata una costante l’alternarsi di speranze diplomatiche e tensioni crescenti sul campo.