Gli intrecci regionali della guerra in Nagorno-Karabakh (policymakermag.it 24.12.20)
Tra gli Stati coinvolti nel conflitto, oltre ad Armenia, Azerbaigian, Turchia e Russia, ci sono anche Georgia e Iran. L’analisi di Giuseppe Mancini
La guerra di 44 giorni tra Armenia e Azerbaigian, per il controllo del Nagorno-Karabakh, non solo ha cambiato gli equilibri tra azeri vittoriosi e armeni sconfitti ma ha paradossalmente determinato nuove prospettive di cooperazione regionale.
A uscire vincitrici dal conflitto sono state anche la Russia e la Turchia: la prima è intervenuta per imporre la fine delle ostilità e ha ottenuto la presenza di proprie truppe in alcuni dei territori contesi; la seconda ha sostenuto una nazione amica – politicamente, ma anche militarmente – e poi trasformato il successo sul campo in dividendi diplomatici.
La proposta è venuta dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha incontrato il suo omologo azero Ilham Aliyev – il 10 dicembre, a Baku – in occasione della “parata della vittoria”: un raggruppamento regionale a sei, che non solo porti a una soluzione definitiva per il Nagorno-Karabakh ma crei anche forme di cooperazione economica.
Gli stati coinvolti, oltre ad Armenia e Azerbaigian, oltre a Turchia e Russia, sarebbero Georgia e Iran: tutti con confini in comune tra loro. Parlando con la stampa turca durante il viaggio di ritorno, Erdoğan ha assicurato di avere l’approvazione di Vladimir Putin; le diplomazie approfondiranno.
La proposta turca è ovviamente condivisa da Aliyev: perché l’obiettivo comune, attraverso questa nuova formula regionale, è il superamento del cosiddetto “gruppo di Minsk”, guidato invece – in seno all’Osce – da Russia, Usa e Francia (quest’ultima giudicata troppo filo-armena) e inefficace nel trovare soluzioni mutualmente accettabili per la sistemazione del Nagorno-Karabakh attraverso i negoziati degli ultimi 30 anni o quasi.
Del resto, le iniziative regionali non sono nuove per la Turchia: che subito prima delle “primavere arabe”, all’apice della sua influenza come Stato musulmano e democratico nel 2009-2010, aveva avviato la costituzione di un gruppo a quattro insieme a Siria, Libano e Giordania con l’obiettivo di favorire la cooperazione e lo sviluppo del Levante e poi di tutto il Medio Oriente. Il progetto è fallito per cause contingenti, ma l’approccio è rimasto vivo.
Questo approccio regionalista, nel caso del Caucaso, ha anche risvolti direttamente bilaterali: perché Erdoğan ha avanzato l’ulteriore proposta – nel contesto di questa iniziativa di pace e di cooperazione – di riaprire il confine turco-armeno, chiuso dal 1993 proprio al momento della prima guerra per il Nagorno-Karabakh. Un’iniziativa precedente per riaprirlo, coi protocolli di Zurigo del 2009, è fallita per la persistenza del conflitto tra Armenia e Azerbaigian: la liberazione di alcuni dei territori azeri sotto occupazione armena – è questo, il paradosso – potrebbe rimuovere uno degli ostacoli principali alla normalizzazione (rimarrebbe però l’ostilità storica provocata dagli eventi del 1915 in Anatolia, che l’Armenia ritiene un “genocidio” e la Turchia interpreta in modo diverso).
Yerevan, per il presidente turco, avrebbe così nuove opportunità di sviluppo: perché al momento è invece tagliata fuori da tutte le infrastrutture energetiche e di trasporto eurasiatiche, come il gasdotto Tanap e le nuove vie della Seta (il collegamento ferroviario tra Kars e Baku passa infatti per Tbilisi). Del resto, Turchia e Azerbaigian hanno immediatamente iniziato la ricostruzione dei territori del Nagorno-Karabakh riconquistati – l’Ansaldo energia ha già firmato un accordo per la ricostruzione di centrali elettriche – e avviato altri progetti infrastrutturali nel corridoio del Nakhchivan.
Riguardo questo corridoio, la sua funzione è di creare un collegamento tra l’Azerbaigian e questa regione azera interamente inglobati dal territorio armeno; visto che ha un brevissimo tratto di confine – appena 17 chilometri – col Nakhchivan, anche la Turchia ha di conseguenza un accesso diretto al territorio azero. In questo contesto, i progetti annunciati sono un gasdotto e un collegamento ferroviario dal territorio turco. L’Armenia è chiamata a rispondere, dopo che avrà assorbito le conseguenze politiche della sconfitta militare.