Gli Azeri Decapitano I Vecchi Armeni In Nagorno Karabagh. (Stilum Curiae 17.12.20)
Marco Tosatti
Gli armeni stanno rivivendo in queste ore gli orrori del genocidio di un secolo fa, a causa delle atrocità che i soldati azeri, e i terroristi sguinzagliati dalla Turchia stanno commettendo nella parte del Nagorno Karabagh ricaduta nelle mani di Baku dopo la firma dell’accordo di tregua. Sul web stanno circolando da giorni video che mostrano scene raccapriccianti, fra cui la decapitazione di un anziano in un villaggio armeno che ha deciso di rimanere, nonostante che la zona fosse caduta in mani azere.
Ringraziamo Giulio Meotti che su Twitter ha postato la notizia e il fermo immagine del video, non il video stesso per rispetto verso la povera vittima. Quel caso non è il solo, e si moltiplicano i racconti di atrocità commesse dai soldati di Baku e dai loro affiliati, e di maltrattamenti e comportamenti inumani nei confronti di soldati armeni caduti prigionieri.
Scrive il Guardian: “Gli uomini di etnia armena non erano combattenti, ha detto la gente nei loro rispettivi villaggi. Entrambi sono stati decapitati da uomini in uniforme delle forze armate azere. I brevi e raccapriccianti video delle uccisioni sono tra i peggiori di un torrente di filmati di abusi, torture e omicidi che ha continuato ad emergere più di un mese dopo l’entrata in vigore di un cessate il fuoco mediato dai russi”.
Nei video postati online il 22 novembre e il 3 dicembre, uomini in uniforme coerente con quelle dell’esercito azerbaigiano tengono fermo e decapitano un uomo con un coltello. Si posiziona poi la testa mozzata su un animale morto. “È così che ci vendichiamo: tagliando le teste”, dice una voce fuori campo. Una delle vittime è stata identificata come Genadi Petrosyan, che si è trasferito in quella zona all’inizio degli anni ’80 dalla città di Sumgait.
Alcuni dei video più raccapriccianti e ampiamente visti sono stati anche tra i più difficili da confermare. Un video postato su un canale Telegram il 7 dicembre ha mostrato due soldati in uniforme coerente con i militari azerbaigiani che immobilizzano un anziano vicino a un albero. Un altro soldato passa un coltello a uno degli aggressori, che inizia ad affettare il collo della vittima. La testa della vittima inizia a separarsi dal collo prima della fine del video.
Tre abitanti del villaggio di Azokh hanno identificato la vittima in questo video come Yuri Asryan, un uomo di 82 anni che viveva da solo e che si era rifiutato di lasciare il villaggio il 20 ottobre quando le forze azerbaigiane si sono avvicinate.
“Non comunicava molto con gli altri. Si è solo rifiutato di andarsene”, ha detto Georgi Avesyan, il capo del villaggio da molto tempo fino al 2019 e una delle persone che ha identificato Asryan. Ha detto che è possibile che Asryan non abbia compreso appieno ciò che stava accadendo. Le forze azere sono entrate nel villaggio giorni che è rimasto sotto il controllo di Baku in virtù dell’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre.
Non si è avuta notizia della sorte di Asryan fino a quando la settimana scorsa è apparso sui social network un video di 29 secondi.
Ci sono centinaia di altri video di abusi online. Sahakyan ha detto che lei e una sua collega stavano seguendo 75 casi di soldati e civili armeni prigionieri presso il tribunale europeo dei diritti umani, tra cui 35 che includevano prove video.
In un video, un abitante del villaggio di nome Kamo Manasyan viene preso a calci e picchiato, mentre perde sangue dall’occhio destro. “Quanti altri di voi sono qui”, grida il suo interrogatore in russo con un forte accento, puntando un fucile alla testa di Manasyan. “Sparatemi se volete”, risponde Manasyan. L’uomo invece lo colpisce con il fucile.
“Era difficile guardare questo video con questa crudeltà”, dice Gagik, suo nipote, in una videochiamata. “Penso che vogliano solo mostrare il loro successo in questa guerra e umiliare gli armeni, per dimostrare che hanno vinto”.Nel frattempo si registra il silenzio, e l’indifferenza dei media italiani; e si registra anche il servilismo di politici – di ogni settore – e di uomini di affari nel confronti di Baku, nonostante il suo ruolo di aggressore nel recente conflitto, appoggiato militarmente dalla Turchia, responsabile del Genocidio del 1915.