Gli Armeni sono forse vittime di serie B? (Informazione Cattolica 25.09.22)
NONOSTANTE L’AGGRESSIONE DELL’AZERBAIJAN RICALCHI QUELLA DELLA RUSSIA ALL’UCRAINA, POCHI SEMBRANO INTERESSATI A FERMARE QUESTO NUOVO CONNONOSTANTE L’AGGRESSIONE DELL’AZERBAIJAN RICALCHI QUELLA DELLA RUSSIA ALL’UCRAINA, POCHI SEMBRANO INTERESSATI A FERMARE QUESTO NUOVO CONFLITTO DIETRO AL QUALE C’E’ IL DITTATORE TURCO ERDOGAN
Il conflitto in Ucraina che sta impegnando la Russia ha come ricaduta l’apertura di altre crisi, in particolare nella incandescente area caucasica, in cui l’Azerbaijan sembra voler cogliere l’opportunità offerta dal venir meno del ruolo di stabilizzazione dell’area assunto dalla Federazione russa per regolare definitivamente i conti con gli Armeni. le truppe azere nella notte tra il 12 e 13 Settembre hanno iniziato una guerra contro la Repubblica Armena, a due anni dalla seconda guerra del Nagorno Karabak, iniziata sempre dall’ Arzebajian per liquidare la provincia armena dichiaratasi indipendente dell’Artsakh. Questa volta ad essere aggredita, secondo modalità che ricorda molto da vicino quanto avvenuto ormai più di sei mesi fa in Ucraina, è l’Armenia.
Dei motivi che hanno scatenato questa guerra parliamo con Emanuele Aliprandi, un italiano che ha origini armene e fa parte del direttivo della Comunità armena di Roma. Aliprandi, analista geopolitico specializzato nelle dinamiche della regione del Caucaso, negli anni si è dedicato con particolare interesse nell’analisi della Questione Armena, in special modo il caso del Nagorno-Karabakh. Su tale tema ha pubblicato “Le ragioni del Karabakh. Storia di una piccola terra e di un grande popolo” (2010), “1915: Cronaca di un Genocidio. La tragedia del popolo armeno raccontata dai giornali italiani” (2021) e per ultimo “Pallottole e petrolio. Il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e la nuova guerra che ha infiammato il Caucaso” (2021) che oltre a fornire una cronaca della guerra dell’autunno 2020 illustra anche le problematiche post conflitto.
L’Italia ha parecchi legami con il popolo armeno, ce li può illustrare brevemente?
«I rapporti tra l’Italia e gli armeni risalgono al medioevo, quando monaci armeni vennero a predicare nella Penisola e si crearono attorno a monasteri e chiese fiorenti commerci, poi nei secoli di queste piccole comunità si sono perse le tracce ma in molte città italiane dal nord al sud ancora oggi vi sono località, vie, chiese e palazzi degli armeni a testimonianza del fatto che erano presenti importanti comunità. L’ultimo flusso c’è stato in conseguenza del genocidio del 1915 che ha portato parecchie famiglie di sfollati e orfani in fuga dall’impero ottomano a stabilirsi in Italia. In Puglia fu creato un villaggio proprio per i profughi armeni».
Gli armeni sono cristiani fin dal IV secolo e lo sono rimasti resistendo alle numerose persecuzioni islamiche, soprattutto degli ottomani senza tuttavia mai ricevere particolare sostegno da parte dell’Occidente. Ricordiamoci in particolare del Metz Yeghern, il genocio perpetrato dai turchi nel 1915 al quale ha accennato. Perché?
«La dimenticanza purtroppo è frutto della politica internazionale, in cui certi interessi e “valori” contano più delle questioni morali. Ha ricordato che gli Armeni sono cristiani da IV secolo; nel monastero di Amaras il monaco Mesrop Mashtots creò l’alfabeto armeno, lo strumento per portare la parola di Dio al popolo. Questo alfabeto e la religione cristiana hanno cementificato gli armeni che vivevano in un contesto geografico particolare, essendo stretti tra popoli di tutt’altra fede, lingua e cultura, che così hanno potuto conservare la loro identità. Purtroppo le questioni internazionali diventano talvolta più importanti della sopravvivenza di un popolo. Nella conferenza di Losanna del 1923 che doveva risistemare il Medio Oriente e il Caucaso dopo la fine dell’impero ottomano gli interessi particolari e la realpolitik prevalsero sull’obbligo morale che le potenze occidentali avrebbero dovuto avere nei confronti degli armeni che erano stati quasi sterminati dai Turchi. Questo nonostante tutti fossero stati coinvolti emotivamente tra il 1915 e il 1918 facendo anche a gara per accogliere la popolazione sopravvissuta. Da allora è cominciata una dimenticanza che ancora continua. Dopo l’aggressione dell’Azerbaijan, che ricorda molto quella all’Ucraina, mi sarei aspettato di vedere sui social qualche bandierina armena, invece questa cosa è passata quasi inosservata».
Quali sono in questa fase storica le spinte e le minacce che devono fronteggiare gli armeni, stretti tra Turchia, repubbliche russe islamiche, e Iran?
«A distanza di più di un secolo da ciò che accadde nell’impero ottomano ad opera dei Giovani turchi e il tentativo di sterminio degli armeni sostanzialmente stiamo rischiando di assistere a qualcosa di simile. Le persecuzioni del sultano Abdul Adid di fine Ottocento, poi riprese dai Giovani turchi, puntavano alla realizzazione del sogno di una unica nazione turca e turcofona che dal Mediterraneo arrivasse all’Asia centrale ma gli Armeni costituivano un ostacolo interrompendo questa continuità. Per fortuna il progetto nel 1915 non ebbe pieno successo nonostante l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni. Una parte del popolo rimase, sia pure confinato in uno spazio geografico molto limitato. Oggi assistiamo, attraverso le politiche nazionaliste ed espansioniste di Erdogan, ad un percorso politico molto simile e l’aggressione in atto fa appunto parte di un piano per conquistare l’Armenia meridionale e creare una continuità tra Turchia, Azerbaijan fino ai paesi dell’Asia centrale ex sovietici. Anche se oggi non si può parlare di genocidio vi è un progetto politico di espansionismo molto simile a quello di cento anni fa. Paradossalmente l’Iran, fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha tutto l’interesse a mantenere rapporti con l’Armenia per questioni strategiche, quindi vi sono anche contrasti politici, tuttavia Erdogan e Ilham Aliyev in questo momento stanno cercando di creare il corridoio».
Rimanendo sull’attuale aggressione azera, le mire del presidente Ilham Aliyev sono esclusivamente territoriali o sta eseguendo per così dire gli ordini di Erdogan?
«Per saperlo bisognerebbe essere nella mente di Aliyev e di Erdogan; chi dirige l’altro? Diciamo che in questo momento gli interessi convergono. Tuttavia quello che è accaduto la scorsa settimana è gravissimo perché a differenza di dei trent’anni precedenti lo scontro militare non avviene nel territorio conteso del Nagorno Karabak ma nel territorio della Repubblica di Armenia, dove 36 città e villaggi sono stati bombardati colpendo infrastrutture civili e anche un presidio ospedaliero. E parliamo di un paese membro dell’Onu, che fa parte del Consiglio d’Europa e intrattiene con l’Europa ottime relazioni, invaso da un paese aggressore. Il che ricorda qualcosa che va avanti da Febbraio scorso e sul quale consumiamo fiumi di parole mentre di ciò che è successo la scorsa settimana si è parlato molto, molto meno. Forse perché l’Italia importa gas dall’Azerbaijan».
Lei prima ha notato l’analogia con l’aggressione all’Ucraina, ma forse ne possiamo citare un’altra: la Siria, anch’esso paese invaso e che sta per essere smembrato senza che l’Occidente muova un dito, anzi probabilmente è parte attiva. E anche lì a farne le spese più di altri sono i cristiani…
«Tra l’altro proprio ad Aleppo vi era una foltissima comunità Armena, che si insediò in quella città quando le carovane della morte durante il genocidio terminavano proprio in Siria e attorno ad Aleppo vennero allestiti molti campi profughi. Purtroppo il conflitto, iniziato una decina di anni fa, ha costretto molti ad andarsene. Bisogna dire che in tutti questi scenari di guerra le comunità cristiana sono le prime a subire le conseguenze. E’ una costatazione oggettiva molto amara».
Durante il genocidio si dettero parecchio da fare anche i curdi, le cui tribù parteciparono al massacro…
«Sicuramente i curdi parteciparono ma bisogna dire che nel tempo la comunità curda, anche nel resto del mondo, ha riconosciuto che fu un errore. Loro pensavano infatti di potersi insediare con un proprio stato nelle regioni prima abitate dagli armeni ma i turchi non concessero spazio e oggi abbiamo la situazione del Kurdistan che è una comunità virtuale di milioni di persone che non ha uno stato. Il popolo curdo a differenza della Turchia ha chiesto scusa e si è pentito di quello che è successo e sta pagando le conseguenze con la persecuzione da parte turca».
La Russia ha sempre protetto le popolazioni cristiane ortodosse sui suoi confini ma adesso che si è impantanata nel conflitto ucraino, mostrano oltretutto al mondo la sua debolezza sul piano militare, quale sarà il destino degli armeni?
«Nel momento in cui è scoppiata la guerra in Ucraina la posizione russa si è molto indebolita e Aliyev ed Erdogan, che sta giocando su più fronti, ne hanno approfittato. Questo perché quando un soggetto politico forte che era un po’ il garante della pax caucasica si distrae c’è sempre chi cerca di trarne vantaggio. Comunque dal 2020 qualcosa è cambiato nei rapporti tra Russia e Armenia; forse per la politica un po’ più filo occidentale del presidente Armen Sarkissian. Ma l’Armenia è una piccola repubblica chiusa tra la Turchia, che ha il più forte esercito della Nato, e un Azerbaijan fortemente ostile e quindi ha bisogno di un garante, Spesso l’Occidente non ha dato quell’appoggio che sarebbe stato necessario quindi ha dovuto cercarlo in chi era disposto a garantirlo. E non dimentichiamo che l’Armenia come tante altre repubbliche faceva parte dell’Urss».
Cosa comporterebbe la scomparsa dei cristiani anche dall’area caucasica?
«Se i cristiani spariscono l’impero ottomano si riforma, con una politica sempre più aggressiva ed espansionistica, in parte anche per compensare i gravi problemi interni della Turchia. Di solito in questi casi si trova sempre un nemico esterno cui attribuire tutte le colpe. L’importanza del popolo armeno, non solo nel Caucaso ma nel mondo, è anche data dal fatto che ovunque sono hanno fatto cose importanti. Perdere il popolo armeno sarebbe molto grave per tutta l’umanità e credo di non esagerare».
Quale sostegno avere ricevuto in passato e state oggi ricevendo dalla Santa Sede?
«I legami con la santa Sede risalgono al genocidio, quando papa Benedetto XV levò forte la sua voce per cercare di fermare quello che stava accadendo. La Santa Sede è stata quella che tra le prime ha riconosciuto la Repubblica Armenia quando è diventata indipendente. Io ebbi la fortuna di assistere alla santa Messa in Vaticano celebrata da papa Francesco e ascoltare le sue parole di condanna del genocidio, suscitando le ire della Turchia che ancora oggi nega quel fatto storico. Fu un evento molto importante in cui capimmo il significato dell’aiuto e di quella presenza. In uno dei cortili vaticani c’è la statua di San Gregorio Illuminatore a testimoniare la vicinanza di Roma al popolo armeno. Insomma i legami sono forti».FLITTO DIETRO AL QUALE C’E’ IL DITTATORE TURCO ERDOGAN
Il conflitto in Ucraina che sta impegnando la Russia ha come ricaduta l’apertura di altre crisi, in particolare nella incandescente area caucasica, in cui l’Azerbaijan sembra voler cogliere l’opportunità offerta dal venir meno del ruolo di stabilizzazione dell’area assunto dalla Federazione russa per regolare definitivamente i conti con gli Armeni. le truppe azere nella notte tra il 12 e 13 Settembre hanno iniziato una guerra contro la Repubblica Armena, a due anni dalla seconda guerra del Nagorno Karabak, iniziata sempre dall’ Arzebajian per liquidare la provincia armena dichiaratasi indipendente dell’Artsakh. Questa volta ad essere aggredita, secondo modalità che ricorda molto da vicino quanto avvenuto ormai più di sei mesi fa in Ucraina, è l’Armenia.
Dei motivi che hanno scatenato questa guerra parliamo con Emanuele Aliprandi, un italiano che ha origini armene e fa parte del direttivo della Comunità armena di Roma. Aliprandi, analista geopolitico specializzato nelle dinamiche della regione del Caucaso, negli anni si è dedicato con particolare interesse nell’analisi della Questione Armena, in special modo il caso del Nagorno-Karabakh. Su tale tema ha pubblicato “Le ragioni del Karabakh. Storia di una piccola terra e di un grande popolo” (2010), “1915: Cronaca di un Genocidio. La tragedia del popolo armeno raccontata dai giornali italiani” (2021) e per ultimo “Pallottole e petrolio. Il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e la nuova guerra che ha infiammato il Caucaso” (2021) che oltre a fornire una cronaca della guerra dell’autunno 2020 illustra anche le problematiche post conflitto.
L’Italia ha parecchi legami con il popolo armeno, ce li può illustrare brevemente?
«I rapporti tra l’Italia e gli armeni risalgono al medioevo, quando monaci armeni vennero a predicare nella Penisola e si crearono attorno a monasteri e chiese fiorenti commerci, poi nei secoli di queste piccole comunità si sono perse le tracce ma in molte città italiane dal nord al sud ancora oggi vi sono località, vie, chiese e palazzi degli armeni a testimonianza del fatto che erano presenti importanti comunità. L’ultimo flusso c’è stato in conseguenza del genocidio del 1915 che ha portato parecchie famiglie di sfollati e orfani in fuga dall’impero ottomano a stabilirsi in Italia. In Puglia fu creato un villaggio proprio per i profughi armeni».
Gli armeni sono cristiani fin dal IV secolo e lo sono rimasti resistendo alle numerose persecuzioni islamiche, soprattutto degli ottomani senza tuttavia mai ricevere particolare sostegno da parte dell’Occidente. Ricordiamoci in particolare del Metz Yeghern, il genocio perpetrato dai turchi nel 1915 al quale ha accennato. Perché?
«La dimenticanza purtroppo è frutto della politica internazionale, in cui certi interessi e “valori” contano più delle questioni morali. Ha ricordato che gli Armeni sono cristiani da IV secolo; nel monastero di Amaras il monaco Mesrop Mashtots creò l’alfabeto armeno, lo strumento per portare la parola di Dio al popolo. Questo alfabeto e la religione cristiana hanno cementificato gli armeni che vivevano in un contesto geografico particolare, essendo stretti tra popoli di tutt’altra fede, lingua e cultura, che così hanno potuto conservare la loro identità. Purtroppo le questioni internazionali diventano talvolta più importanti della sopravvivenza di un popolo. Nella conferenza di Losanna del 1923 che doveva risistemare il Medio Oriente e il Caucaso dopo la fine dell’impero ottomano gli interessi particolari e la realpolitik prevalsero sull’obbligo morale che le potenze occidentali avrebbero dovuto avere nei confronti degli armeni che erano stati quasi sterminati dai Turchi. Questo nonostante tutti fossero stati coinvolti emotivamente tra il 1915 e il 1918 facendo anche a gara per accogliere la popolazione sopravvissuta. Da allora è cominciata una dimenticanza che ancora continua. Dopo l’aggressione dell’Azerbaijan, che ricorda molto quella all’Ucraina, mi sarei aspettato di vedere sui social qualche bandierina armena, invece questa cosa è passata quasi inosservata».
Quali sono in questa fase storica le spinte e le minacce che devono fronteggiare gli armeni, stretti tra Turchia, repubbliche russe islamiche, e Iran?
«A distanza di più di un secolo da ciò che accadde nell’impero ottomano ad opera dei Giovani turchi e il tentativo di sterminio degli armeni sostanzialmente stiamo rischiando di assistere a qualcosa di simile. Le persecuzioni del sultano Abdul Adid di fine Ottocento, poi riprese dai Giovani turchi, puntavano alla realizzazione del sogno di una unica nazione turca e turcofona che dal Mediterraneo arrivasse all’Asia centrale ma gli Armeni costituivano un ostacolo interrompendo questa continuità. Per fortuna il progetto nel 1915 non ebbe pieno successo nonostante l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni. Una parte del popolo rimase, sia pure confinato in uno spazio geografico molto limitato. Oggi assistiamo, attraverso le politiche nazionaliste ed espansioniste di Erdogan, ad un percorso politico molto simile e l’aggressione in atto fa appunto parte di un piano per conquistare l’Armenia meridionale e creare una continuità tra Turchia, Azerbaijan fino ai paesi dell’Asia centrale ex sovietici. Anche se oggi non si può parlare di genocidio vi è un progetto politico di espansionismo molto simile a quello di cento anni fa. Paradossalmente l’Iran, fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha tutto l’interesse a mantenere rapporti con l’Armenia per questioni strategiche, quindi vi sono anche contrasti politici, tuttavia Erdogan e Ilham Aliyev in questo momento stanno cercando di creare il corridoio».
Rimanendo sull’attuale aggressione azera, le mire del presidente Ilham Aliyev sono esclusivamente territoriali o sta eseguendo per così dire gli ordini di Erdogan?
«Per saperlo bisognerebbe essere nella mente di Aliyev e di Erdogan; chi dirige l’altro? Diciamo che in questo momento gli interessi convergono. Tuttavia quello che è accaduto la scorsa settimana è gravissimo perché a differenza di dei trent’anni precedenti lo scontro militare non avviene nel territorio conteso del Nagorno Karabak ma nel territorio della Repubblica di Armenia, dove 36 città e villaggi sono stati bombardati colpendo infrastrutture civili e anche un presidio ospedaliero. E parliamo di un paese membro dell’Onu, che fa parte del Consiglio d’Europa e intrattiene con l’Europa ottime relazioni, invaso da un paese aggressore. Il che ricorda qualcosa che va avanti da Febbraio scorso e sul quale consumiamo fiumi di parole mentre di ciò che è successo la scorsa settimana si è parlato molto, molto meno. Forse perché l’Italia importa gas dall’Azerbaijan».
Lei prima ha notato l’analogia con l’aggressione all’Ucraina, ma forse ne possiamo citare un’altra: la Siria, anch’esso paese invaso e che sta per essere smembrato senza che l’Occidente muova un dito, anzi probabilmente è parte attiva. E anche lì a farne le spese più di altri sono i cristiani…
«Tra l’altro proprio ad Aleppo vi era una foltissima comunità Armena, che si insediò in quella città quando le carovane della morte durante il genocidio terminavano proprio in Siria e attorno ad Aleppo vennero allestiti molti campi profughi. Purtroppo il conflitto, iniziato una decina di anni fa, ha costretto molti ad andarsene. Bisogna dire che in tutti questi scenari di guerra le comunità cristiana sono le prime a subire le conseguenze. E’ una costatazione oggettiva molto amara».
Durante il genocidio si dettero parecchio da fare anche i curdi, le cui tribù parteciparono al massacro…
«Sicuramente i curdi parteciparono ma bisogna dire che nel tempo la comunità curda, anche nel resto del mondo, ha riconosciuto che fu un errore. Loro pensavano infatti di potersi insediare con un proprio stato nelle regioni prima abitate dagli armeni ma i turchi non concessero spazio e oggi abbiamo la situazione del Kurdistan che è una comunità virtuale di milioni di persone che non ha uno stato. Il popolo curdo a differenza della Turchia ha chiesto scusa e si è pentito di quello che è successo e sta pagando le conseguenze con la persecuzione da parte turca».
La Russia ha sempre protetto le popolazioni cristiane ortodosse sui suoi confini ma adesso che si è impantanata nel conflitto ucraino, mostrano oltretutto al mondo la sua debolezza sul piano militare, quale sarà il destino degli armeni?
«Nel momento in cui è scoppiata la guerra in Ucraina la posizione russa si è molto indebolita e Aliyev ed Erdogan, che sta giocando su più fronti, ne hanno approfittato. Questo perché quando un soggetto politico forte che era un po’ il garante della pax caucasica si distrae c’è sempre chi cerca di trarne vantaggio. Comunque dal 2020 qualcosa è cambiato nei rapporti tra Russia e Armenia; forse per la politica un po’ più filo occidentale del presidente Armen Sarkissian. Ma l’Armenia è una piccola repubblica chiusa tra la Turchia, che ha il più forte esercito della Nato, e un Azerbaijan fortemente ostile e quindi ha bisogno di un garante, Spesso l’Occidente non ha dato quell’appoggio che sarebbe stato necessario quindi ha dovuto cercarlo in chi era disposto a garantirlo. E non dimentichiamo che l’Armenia come tante altre repubbliche faceva parte dell’Urss».
Cosa comporterebbe la scomparsa dei cristiani anche dall’area caucasica?
«Se i cristiani spariscono l’impero ottomano si riforma, con una politica sempre più aggressiva ed espansionistica, in parte anche per compensare i gravi problemi interni della Turchia. Di solito in questi casi si trova sempre un nemico esterno cui attribuire tutte le colpe. L’importanza del popolo armeno, non solo nel Caucaso ma nel mondo, è anche data dal fatto che ovunque sono hanno fatto cose importanti. Perdere il popolo armeno sarebbe molto grave per tutta l’umanità e credo di non esagerare».
Quale sostegno avere ricevuto in passato e state oggi ricevendo dalla Santa Sede?
«I legami con la santa Sede risalgono al genocidio, quando papa Benedetto XV levò forte la sua voce per cercare di fermare quello che stava accadendo. La Santa Sede è stata quella che tra le prime ha riconosciuto la Repubblica Armenia quando è diventata indipendente. Io ebbi la fortuna di assistere alla santa Messa in Vaticano celebrata da papa Francesco e ascoltare le sue parole di condanna del genocidio, suscitando le ire della Turchia che ancora oggi nega quel fatto storico. Fu un evento molto importante in cui capimmo il significato dell’aiuto e di quella presenza. In uno dei cortili vaticani c’è la statua di San Gregorio Illuminatore a testimoniare la vicinanza di Roma al popolo armeno. Insomma i legami sono forti».