Giornalisti a rischio, il caso Geybullayev (Osservatorio Balcani e Caucaso 22.07.15)
Essere critici nei confronti del governo dell’Azerbaijan, collaborare con giornali e organizzazioni armene vale l’etichetta di traditore. Lo racconta in questa testimonianza la nostra corrispondente Arzu Geybullayeva
(Pubblicato originariamente da Medija Centar Sarajevo, l’8 luglio 2015. Titolo originale: Crossing the line of slander: from online intimidation and sexual harassment to death threats)
È cominciato tutto qualche anno fa, con un messaggio e-mail. Il mittente mi accusava di essere un’agente al soldo delle potenze occidentali e di avere come unica intenzione quella di screditare il regime azero. Sosteneva che le mie affermazioni erano certamente suggerite da altri e che tutto ciò che scrivevo era una falsità. Ero atterrita, ricordo che mi tremavano le mani nel cercare di rispondere a quel messaggio. Avrei voluto spiegare al mittente che si sbagliava, che le sue accuse erano prive di fondamento. Non avevo ancora capito che i tentativi di spiegazione sarebbero stati vani. Non mi era nemmeno chiaro se quella persona stesse agendo di propria iniziativa o in maniera coordinata con altri. Quel messaggio fu il primo di una lunga serie. Con la diffusione dei social media in Azerbaijan, questo tipo di accuse era destinato ad aumentare. Fu il mio primo impatto con la diffamazione. Era il 2008.
La repressione in Azerbaijan
Sono cresciuta a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Incastonato fra l’Iran e la Russia, a maggioranza mussulmana, l’Azerbaijan ha un conflitto in corso con la vicina Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, un’enclave in territorio azero. Per sostenere le proprie posizioni, le due parti si richiamano rispettivamente al principio di integrità territoriale e al diritto all’auto-determinazione. Nonostante la tregua firmata nel 1994, gli scontri proseguono quotidianamente sulla linea del fronte, mentre il numero delle vittime del conflitto continua a salire. Benché alcuni lo definiscano “un conflitto congelato”, da qualche anno a questa parte gli scontri hanno ripreso intensità. Le due parti in conflitto fanno poco per raggiungere una soluzione pacifica. La retorica di guerra è diventata parte integrante delle politiche governative dei due paesi, per cui ogni tentativo di stabilire iniziative oltre confine rischia d’essere interpretato come un atto di tradimento, specialmente nel corso degli ultimi anni. Continua