Giorgia Meloni pragmatica a Baku con il sorriso (Korazym 13.11.24)
Nell’articolo Azerbajgian – Paese fossile e autocratico che disprezza l’azione per il clima e per i diritti umani – ospita la COP29 sui cambiamenti climatici dell’8 novembre 2024 [QUI] abbiamo scritto: «Non possiamo rimanere in silenzio. L’Azerbajgian, il Paese fossile e autocratico, che mostra disprezzo per l’azione per il clima e campione della violazione dei diritti umani, ospiterà a Baku dall’11 al 22 novembre 2024 la 29ª Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29) [QUI]». Ieri sera, nella sezione Rassegna Internazionale della Rassegna Stampa Il mondo visto dagli altri su Il Punto, la newsletter del Corriere della Sera, è stato pubblicato un commento dell’editorialista Luca Angelini in riferimento alla 29° Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP29) a Baku.
Il commento di Angelini è introdotto con un corsivo dal titolo I crimini dell’Azerbajgian: «Coerenza zero Che l’Azerbajgian, Paese che basa quasi tutto il suo export su gas e petrolio, non fosse il luogo più indicato per ospitare la COP29 sul clima, l’hanno notato in molti. Poche ore fa, la Corte internazionale di giustizia ONU si è incaricata di ricordare anche un’altra macchia: la «pulizia etnica» ai danni degli armeni portata a termine, poco più di un anno fa, dal Presidente azero Ilham Aliyev in Nagorno-Karabakh. Dove ora vorrebbe realizzare una grande Green energy zone per darsi una mano di «verde». Luca spiega perché è molto improbabile che, a Baku, l’Europa e l’Italia si diano la pena di far notare al governo azero che c’è molto che non quadra. A riprova che il diritto internazionale spesso vale solo quando serve».
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni ha partecipato alla sessione plenaria della 29° Conferenza ONU sui cambiamenti climatici. È stato una missione lampo a Baku – arrivo nella notte e volo di rientro in Italia, dopo un intervento di pochi minuti, nel quale ha concentrato l’impegno e l’indirizzo del governo italiano, con un messaggio diretto: “Serve un approccio pragmatico e non ideologico”, ribadito dall’inizio alla fine del suo discorso, quando chiude con un richiamo a William James, psicologo e ‘padre’ del pragmatismo in filosofia: “Agisci come se tu potessi fare la differenza, perché la fa”. E un richiamo, tutt’altro che velato al “nucleare”, perché “attualmente non c’è una singola alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo avere una visione realistica globale”.
La COP29 azera e le ipocrisie europee (e italiane) sul Nagorno-Karabakh «ripulito»
di Luca Angelini
Il Punto, 12 novembre 2024
Non sono stati in pochi a storcere il naso vedendo la COP29 sul clima ospitata a Baku da un Paese che vive di gas e petrolio (del resto era già avvenuto l’anno scorso, con la COP28 negli Emirati Arabi Uniti e l’anno prima con la COP27 in Egitto). La ribalta internazionale sembra però aver fatto dimenticare anche che l’Azerbajgian del Presidente Ilham Aliyev, poco più di un anno fa, ha portato a termine un’operazione di vera e propria «pulizia etnica» in Nagorno-Karabakh, l’enclave a (ex) maggioranza armena. Come ha scritto, all’epoca, Sabato Angieri su Aspenia [QUI], «il Nagorno-Karabakh armeno non esiste più. È bastata una sola settimana per porre fine a trent’anni di indipendenza di fatto dell’enclave separatista denominata Repubblica dell’Artsakh tra le montagne dell’Azerbajgian sud-occidentale. Oltre 100 mila sfollati hanno oltrepassato la frontiera armena a Kornidzor, un villaggio trasformato in centro d’identificazione e prima accoglienza, e ormai non resta che una piccola parte dei 120 mila residenti Armeni che abitavano la Repubblica dell’Artsakh prima dell’operazione fulminea di Baku di mercoledì 20 settembre».
E, come ha denunciato di recente Tigran Balayan, Ambasciatore armeno presso l’Unione Europea in un’intervista a Leone Grotti del mensile d’ispirazione cattolica Tempi [QUI], il furore anti armeno nell’enclave è continuato anche dopo che gli Armeni sono scappati. «Nonostante i negoziati di pace che proseguono, l’Azerbajgian continua con la sua ostilità armenofoba. L’ultimo esempio è il discorso aggressivo e pieno di minacce di Ilham Aliyev davanti al Parlamento azero, dopo un altro dubbio “processo elettorale” (quello del febbraio scorso, boicottato dalle opposizioni e definito privo di una vera competizione democratica anche dall’OCSE: il presidente in carica ha vinto con il 92,12% dei voti, ndr). La distruzione dell’eredità religiosa e culturale armena è stata una delle principali componenti della politica anti-armena dell’Azerbajgian, che ha conosciuto un’escalation a partire dal conflitto del 2020 ma che c’è sempre stata. Avviene su scala industriale e sfortunatamente la comunità internazionale non ha preso iniziative pratiche sufficienti a prevenire questo fenomeno o a proteggere ciò che resta». E, ancora, «l’armenofobia del governo azero e l’assenza di impegni chiari in questo senso, come anche le notizie sulle torture e le umiliazioni inflitte dagli Azeri agli Armeni, compresi bambini e anziani, ci fanno concludere che è molto difficile immaginare un ritorno sicuro e la permanenza degli Armeni in Nagorno-Karabakh».
Non che quel che sta succedendo in Nagorno-Karabakh sia sconosciuto alla comunità internazionale (QUI il sito di Caucasus Heritage Watch, che documenta le distruzioni di chiese, croci, cimiteri e altri siti armeni). «Nel dicembre 2021 — ricorda Balayan, peraltro proprio nativo dell’enclave — la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato all’Azerbajgian di prendere misure adeguate a prevenire i vandalismi e la profanazione dell’eredità armena. Allo stesso modo, nel marzo 2022, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione condannando la distruzione e la cancellazione della cultura armena. Ha anche riconosciuto l’ampia componente armenofoba dell’Azerbajgian a livello statale e il revisionismo storico promosso da Baku. Organizzazioni come UNESCO o Europa Nostra devono però prevenire la distruzione sistematica dell’eredità armena in modo più attivo e far sì che i responsabili paghino. L’Unione Europea è a conoscenza del problema, i funzionari UE continuano a rassicurarci sul fatto che solleveranno questo problema nei loro colloqui con Baku. Fino ad ora, però, la distruzione sta andando avanti ed è anche peggiorata rispetto a prima» (QUI un recente approfondimento di Aldo Ferrari su Avvenire).