Genocidio armeno, il vergognoso negazionismo della Turchia (Articolo21 05.05.17)
[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Sossie Kasbarian pubblicato su The Conversation]
l 24 aprile ha segnato l’anniversario dell’inizio del genocidio armeno, durante il quale per mano dell’Impero ottomano vennero massacrati 1,5 milioni di armeni. Tuttavia, anche se il genocidio è avvenuto 102 anni fa, in un certo senso non si è mai concluso poiché lo Stato turco, erede dell’Impero ottomano, ha intrapreso un progetto di negazionismo – l’ultima fase del genocidio.
Ciò continua a sovvertire e a ostacolare sia i ricordi dei sopravvissuti che le rivendicazioni dei loro discendenti, sparsi in tutto il mondo. Tale negazionismo sta alle fondamenta dello Stato turco, rappresenta il pilastro della politica estera di questa nazione ed è stato esteso attraverso vere e proprie campagne internazionali.
Attualmente solo 23 nazioni riconoscono ufficialmente il genocidio armeno e questo rispecchia il ruolo della Turchia dal punto di vista geopolitico: un alleato importante per la NATO e un attore sulla scena mondiale a cui la maggior parte della comunità internazionale non vuole contrapporsi. Quando una nazione riconosce il genocidio avvenuto in Armenia, la Turchia reagisce rapidamente rompendo qualsiasi legame diplomatico, stracciando i trattati commerciali ed emettendo denunce e minacce severe.
L’ultimo episodio derivato da questo atteggiamento è stata la risposta a “The Promise“, il primo film hollywoodiano che tratta il genocidio armeno uscito di recente negli Stati Uniti. Nonostante fino ad ora questo film sia stato mostrato al pubblico di festival di minore importanza, ha ricevuto molti giudizi negativi in Rete, a quanto pare grazie ad una campagna creata dai negazionisti turchi. Nel frattempo alcuni finanziatori turchi hanno appoggiato la produzione del film “The Ottoman Lieutenant“, ambientato nello stesso periodo di “The Promise”, pellicola ridicolizzata dai critici e bollata come “propaganda turca“.
Ci si può chiedere – e a ragione – perché riconoscere un genocidio che è avvenuto più di un secolo fa rappresenti tuttora una questione così controversa. Tutti gli Stati hanno alle loro spalle una storia fatta di violenza e di “amnesia collettiva” perché le nazioni sono riluttanti ad affrontare il proprio passato violento o ad ammettere di aver preso parte ad azioni criminali e ingiustizie. È sempre doloroso dover trattare con eventi storici tutt’altro che gloriosi, sia simbolicamente (come l’apologia degli Stati Uniti ai Nativi americani del 2009) che materialmente (come il risarcimento e le restituzioni dei tedeschi alle vittime dell’Olocausto).
Mentre i tentativi dello Stato turco nel corso dei decenni hanno utilizzato diverse retoriche e approcci, il negazionismo è rimasto inalterato. Secondo l’articolo 301 del Codice penale turco, cittadini ma anche luminari della cultura possono essere perseguitati per aver “insultato” la nazione o lo Stato turco o “disonorato” la Repubblica citando il genocidio armeno. Il negazionismo viene perseguito a tutti i costi.
Una situazione destinata a peggiorare
Nel mese di aprile del 2015, il centenario del genocidio armeno era stato contraddistinto da un crescente movimento di protesta da parte della società civile che si impegna su queste questioni da più di un decennio. Da allora la situazione in Turchia è deteriorata, facendo aumentare di giorno in giorno il numero dei “nemici” dello Stato. In questa sorta di elenco sono compresi “Academics for Peace“, che ha “osato” fare appello al Governo per fermare la guerra ai curdi in Anatolia, e chiunque sia sospettato di avere legami con il movimento islamico Gülen, ex alleato del partito di Governo. Al colpo di Stato fallito nel luglio del 2016 hanno fatto seguito epurazioni di dipendenti statali, molti dei quali appartenevano al campo dell’educazione.
Recentemente, la maggioranza dell’elettorato turco ha votato per conferire più poteri al presidente Erdogan, cosa che molti considerano porre le basi all’autoritarismo. Erdogan ha vinto dopo una campagna controversa e con un margine esiguo di voti, un’indicazione di quanto sia divisa la società turca e del modo in cui il Governo stia sfruttando tali divisioni per consolidare il proprio potere.
Erdogan ha spesso mostrato la volontà di distruggere chiunque gli si opponga e il suo Governo sta limitando lo spazio nella sfera pubblica ai dissidenti. Il negazionismo di un genocidio rientra nell’interesse di questo regime, un regime che normalizza la violenza di Stato, promuove le proprie visioni e punisce qualsiasi tipo di opposizione.
È importante ricordare che questo “fenomeno” non è limitato solamente alla Turchia, ma le società in tutto il mondo ne sono testimoni ogni giorno: il genocidio promosso dallo Stato viene spacciato per guerra civile, le vittime sono trasformate in istigatori, la violenza di Stato viene venduta come sicurezza nazionale e le montature e i “fatti alterati” vengono presentati come notizie. Se tutto ciò continuerà ad essere consentito, il mondo non si troverà solamente nell’era post-verità, ma sarà anche un mondo senza principi morali.
Troppo spesso il potere non viene limitato e i potenti non vengono considerati responsabili per le loro azioni, mentre i più deboli sono resi quasi invisibili e insignificanti. In nome di tutte le vittime della violenza di Stato in tutto il mondo, del passato e del presente, dire la verità in faccia ai potenti non è mai stato così urgente.