Genocidio armeno: «Giustizia e verità». Avvenire
Daniele Zappalà
Quell’ecatombe aprì il tunnel dei peggiori incubi novecenteschi, come aveva ribadito papa Francesco nel giugno 2013. Ma a un secolo esatto di distanza, il genocidio degli armeni resta in gran parte negato dagli eredi di chi lo perpetrò in territorio ottomano. E nonostante il riconoscimento sia stato firmato da una ventina di Stati, il dramma non pare ancora impresso appieno nella coscienza mondiale.
Se ricordare un genocidio è sempre impresa delicata, tanto più lo saranno le commemorazioni che si sono appena aperte in Armenia e che dureranno per tutto l’anno. Da tempo, si temeva che la dimensione spirituale della tragedia potesse finire eclissata dalle diatribe di stampo più politico e diplomatico attorno al negazionismo turco. Ma questo rischio sarà probabilmente scongiurato, dopo un annuncio di grande portata nei giorni scorsi da parte della Chiesa apostolica armena, antichissima chiesa cristiana vicina all’ortodossia ma contrassegnata per ragioni storiche pure da una profonda congruenza teologica con Roma.
Con la pubblicazione di una lettera enciclica, il patriarca Karekin II, supremo pastore di circa 8 milioni di fedeli, ha annunciato l’imminente canonizzazione di tutte le vittime del genocidio, ovvero circa un milione e mezzo di armeni. La celebrazione è prevista il 23 aprile, alla vigilia di quella che diventerà per i fedeli armeni la “Giornata del ricordo dei santi martiri del genocidio”.
L’enciclica impiega accenti profetici e sottolinea vigorosamente quanto l’esperienza della tragedia resti oggi un patrimonio spirituale vivo. «Siamo posti di fronte al centenario del genocidio degli armeni e nelle nostre anime risuona un’esigenza potente di verità e di giustizia che non si lascerà mai ridurre al silenzio», scrive il patriarca.
Fin da subito, non sono sfuggiti i risvolti anche politici del documento, che si rivolge non solo agli armeni in patria, ma anche alla diaspora diffusa in ogni continente: in Europa, soprattutto in Francia, dove gli armeni sono circa mezzo milione e contano figure di primo piano anche sulla scena politica, oltre che artistica e intellettuale. In assoluto, le comunità estere più numerose si trovano invece in Russia (2,2 milioni) e Stati Uniti (1,3 milioni).
«Ogni giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e di devozione per il nostro popolo, un viaggio spirituale in memoria dei nostri martiri davanti ai quali ci inginocchiamo con umiltà e nella preghiera», si può ancora leggere nell’enciclica, che sottolinea pure la strenua fedeltà al cristianesimo di chi morì: «Offriamo incenso per le anime delle nostre vittime innocenti sepolte senza nome perché hanno accettato di morire piuttosto che ripudiare la loro fede e la loro nazione».
Non manca una rievocazione delle atrocità commesse nel perimetro dell’Impero ottomano, non riconosciute come genocidio dall’esecutivo turco, nonostante qualche segnale recente di disgelo. Il patriarca scrive: «Nel 1915 e nel corso degli anni seguenti, i turchi ottomani hanno perpetrato un genocidio contro il nostro popolo. In Armenia occidentale, sul nostro suolo natale, nella patria armena e nelle comunità armene di tutta la Turchia, un milione e mezzo dei nostri figli e delle nostre figlie hanno subito dei massacri, la fame e le malattie; sono stati deportati e costretti a marciare fino ad essere colti dalla morte».
Se si considera la popolazione mondiale dell’epoca, quella fitta catena di eccidi amputò quasi un ramo su mille dell’umanità. Ma il senso profondo dell’epurazione riguardò pure la stessa presenza del cristianesimo in Medio Oriente, come sottolineano i passaggi che evocano il valore profetico della successiva “resurrezione” del popolo armeno al cospetto del mondo. In proposito, l’enciclica di Karekin II contiene risonanze brucianti con l’attualità, conferendo a quest’inizio di commemorazioni armene uno spessore particolare.
Gli eccidi cancellarono dall’Anatolia anche gli armeni cattolici, che superano oggi il mezzo milione. Il loro patriarcato, fedele a Roma (fu riconosciuto a metà Settecento da Benedetto XIV) pur conservando il rito armeno, non a caso ha sede in quello stesso Libano tornato ad essere negli ultimi anni una porta di fuga per i cristiani perseguitati di tutto il Medio Oriente. Si commemora il passato, dunque, in un 2015 che conserva fosche somiglianze con quello stesso passato.
L’enciclica esprime anche «gratitudine alle nazioni, organizzazioni e individui che hanno avuto il coraggio e la convinzione di riconoscere e condannare il genocidio armeno». Questo ed altri passaggi richiamano alla memoria pure la visita dello scorso giugno di Karekin II in Vaticano, un’occasione nella quale papa Francesco ha molto insistito sul valore profondamente ecumenico di tragedie come il genocidio armeno: «L’ecumenismo della sofferenza e del martirio è un potente richiamo a camminare lungo la strada della riconciliazione tra le Chiese, con decisione e fiducioso abbandono all’azione dello Spirito». E adesso, in vista delle canonizzazioni di aprile, le celebrazioni armene di questo 2015 si aprono proprio all’insegna di un messaggio che pare già di ampio respiro cristiano.