Gaza, l’arcivescovo armeno Barsamian sulle parole di Papa Francesco: «Ha ragione a parlare di genocidio» (Ilmessaggero 18.11.24)

«Ritengo che il Papa abbia fatto bene a sollevare il dubbio e a parlare di genocidio. Del resto ogni giorno leggiamo sui giornali di migliaia e migliaia di persone innocenti, donne e bambini, che muoiono a Gaza a causa dei bombardamenti a tappeto». A parlare è l’arcivescovo armeno Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede all’inaugurazione di un importante convegno internazionale alla pontificia università Angelicum dedicato alla preservazione dei siti cristiani in Artsakh. Le parole del prelato arrivano il giorno dopo la riflessione di Papa Francesco sulla necessità, da parte della comunità internazionale, di fare luce e valutare se quello che sta accadendo nella Striscia possa effettivamente rientrare nella fattispecie genocidiaria. Una posizione che, proprio ieri, ha sollevato l’immediata reazione di protesta da parte della diplomazia di Israele («Il 7 ottobre 2023 c’è stato un massacro genocida di cittadini israeliani e da allora Israele ha esercitato il proprio diritto di autodifesa contro i tentativi provenienti da sette diversi fronti di uccidere i suoi cittadini. Qualsiasi tentativo di chiamare questa autodifesa con qualsiasi altro nome significa isolare lo Stato ebraico»).

Quindi anche per lei è in corso un genocidio…

«Anche se è una guerra contro il terrorismo i civili dovrebbero essere protetti.

Ed è proprio questo aspetto che ci porta a dire, visti i numeri ormai insopportabili, che potrebbe effettivamente esserci una sorta di genocidio in atto».

 

Lei intravede similitudini tra il genocidio del popolo armeno, accaduto oltre cento anni fa e costato la vita a quasi due milioni di persone, con quello che avviene oggi in Medio Oriente?

«E’ differente tuttavia c’è sempre gente innocente che muore. Allora fu la leadership ottomana a pianificare la distruzione della minoranza armena mentre oggi, da quello che si vede, Israele pur cercando di proteggere i suoi cittadini attacca civili, per esempio colpendo anche ospedali o altri luoghi dove ci sono dei bambini. Questo solleva ragionevoli dubbi».

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In questo convegno internazionale dedicato alla preservazione dei siti cristiani in Artsakh lei ha parlato di genocidio culturale. Perchè?

«A dire il vero ne ha parlato anche l’Onu con una Risoluzione. La distruzione dei simboli, in questo caso dei simboli cristiani, è qualcosa che non dovrebbe mai accadere. E’ terribile oggettivamente. Si tratta di chiese, monasteri e altri luoghi sacri. A questo si aggiunge il fatto che circa 120 mila persone sono dovute fuggire a causa della guerra e ora speriamo che possano davvero fare ritorno sulle terre dei loro antenati. La diplomazia sta lavorando in questo senso. Speriamo davvero, me lo auguro».

Quanto è importante la memoria per un popolo?

«La memoria è parte integrante di ognuno di noi. Ci determina. La memoria di un popolo, a maggior ragione, non può essere messa da parte o dimenticata. Il genocidio degli armeni, per esempio, è qualcosa che certamente ha radici lontane nel tempo, si parla di fatti accaduti più di cento anni fa, eppure resta qualcosa di strettamente legato ad ogni armeno nel mondo persino oggi, e le nuove generazioni hanno le memorie familiari di nonni o bisnonni sopravvissuti. Quindi si capisce che c’è sempre un legame, un filo che connette eventi apparentemente distanti, eppure integrati ancora nella vita di noi armeni con quello che è successo. Ricordare poi è un processo che unisce sia il popolo armeno, sia quello turco. Le nuove generazioni turche ovviamente non sono responsabili di quello che accadde nel 1915 ma si dovrebbe avere coraggio per riconoscere la storia. E ricordare rende sempre più forti e non più deboli. Realisticamente bisogna pure dire che tanti turchi non conoscono bene gli eventi passati perchè non vengono insegnati nelle scuole. Tuttavia il loro riconoscimento aiuterebbe certamente nelle relazioni tra i popoli. La repubblica di Armenia specialmente ultimamente sta cercando di creare relazioni con lo stato turco, ed è un processo in divenire, e speriamo che vada avanti. Si tratta di mettere sul tavolo tutte le questioni e affrontarle per risolverle. Ogni cosa è possibile e speriamo che un giorno accada».

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