Filosofi sanguinari. Marx e Cartesio giustificano i genocidi del secolo scorso. Il libro di Siobhan Nash-Marshall è diventato un caso (Pangea 26.01.19)
Le idee non sono innocue. La scorsa estate ho avuto una discussione piuttosto effervescente con Siobhan Nash-Marshall, filosofa, insegnante al Manhattanville College di New York, autrice di un libro, The Sins of the Fathers, in cui rintraccia le fonti ‘filosofiche’ che hanno condotto al genocidio armeno, al suo concepimento mentale e alla strategia ideologica della sua attuazione. Il libro (ne ho parlato con l’autrice un po’ di tempo fa) è stato tradotto un paio di mesi fa da Guerini e Associati come I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno, con una appassionata introduzione di Antonia Arslan, che scrive: “Siobhan Nash-Marshall, in questo libro affascinante e coraggioso, affronta con ampia documentazione anche il problema dell’accanito negazionismo di Stato come ‘parte integrante del processo genocidario’ (rav Giuseppe Laras). Ancor oggi infatti, dopo più di cent’anni, ogni diniego dei fatti, ogni capzioso distinguo rinnova nei cuori e nelle menti dei discendenti delle vittime l’orrore di quella tragedia infinita, la rende attuale e presente, allontana perdono e oblio”. L’ultimo brandello – su perdono e oblio – andrebbe stampato sul petto della storia recente. Quanto ai Governi che accolgono senza troppi pruriti morali il negazionismo della Turchia, la filosofa ha capito il punto, “sottomettono la metafisica alla loro politica, e non il contrario”. Ergo: le idee non sono innocue.
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Il libro della Nash-Marshall, paragonato, nel mondo americano, alla Banalità del male di Hannah Arendt, in Italia ha creato punte di sconcerto. La filosofa, così, è stata coinvolta da Marcello Flores in una polemica piuttosto sterile pubblicata dal Corriere della Sera. Flores, di fatto, accusa la Nash-Marshall di aver “messo sotto accusa l’intera tradizione filosofica occidentale degli ultimi due secoli e mezzo”. In realtà, la filosofa, nel suo libro, fa un paio di considerazioni micidiali. Prima: “La fascinazione per l’approccio di Cartesio fu fatale per gli sviluppi del pensiero occidentale. E fu devastante per il mondo. Condusse il mondo occidentale a pensare che unicamente i propri pronunciamenti razionali avessero valore e che questi ultimi… potessero essere confutati soltanto da altri pronunciamenti razionali, e non da prove concrete inerenti alle realtà materiali”. Seconda: “Chiunque conosca la storia del XX secolo dovrebbe comprendere che non è possibile afferrare il senso degli incalcolabili spargimenti di sangue che in quasi ogni angolo del globo vi furono senza fare riferimento ai filosofi. I politici britannici, in generale, vissero e morirono influenzati da Mill e Bentham. Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot, Ceausescu, Menghitsu, Enver Hoxha, Tito, per fare alcuni nomi dei dittatori più potenti del XX secolo, furono tutti seguaci di Karl Marx, il filosofo discepolo di Hegel. Hitler, nonostante amasse molto Nietzsche, il Van Gogh della filosofia, fu anche un socialista, assai ispirato da Marx. Così pure Mussolini, che era socialista e, pare, anche un grande esperto di letteratura socialista”. Marx e Cartesio grandi motori dei disastri del secolo scorso.
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Interpello la Nash-Marshall, di passaggio in Italia. I ‘Giovani Turchi’ trovano la matrice ideologica per la costruzione di una ‘patria’ ideale – che materialmente passa per lo sterminio degli Armeni – “nel concetto di nazione forgiato da Fichte, e in un miscuglio che fonde razionalismo francese e idealismo tedesco…”. Ma, cosa c’entra Cartesio. “Guardi, io non capisco perché la gente se la prende con me per quello che ha scritto Cartesio. I fatti concreti oggi agli intellettuali non servono. Nel suo Discorso sul metodo, ad esempio, è Cartesio a dire che tutti gli stati dovrebbero essere governati da una persona sola perché di per sé l’uomo è selvaggio, se lasciato da solo crea confusione. Ed è Cartesio a dire che la conoscenza di per sé è vera”. Ovviamente, non è Cartesio ad aver armato gli assassini degli Armeni: ma quando le idee sono ritenute più concrete dei fatti, quando al volto si sostituisce un concetto, un pregiudizio, ogni atto sanguinario è lecito, è giustificato. “Lo svantaggio di Hitler – se ne confrontiamo le vicende con quelle del Cup e di Mustafa Kemal, da lui grandemente ammirato – fu che i polacchi e i russi, autoctoni delle terre che questi voleva requisire… non erano solo studiosi e banchieri, scrittori e professori, mercanti e industriali. Erano molto più numerosi degli armeni. Non avrebbe potuto cioè liberarsene in un colpo solo”.
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L’intenzione profonda del libro è denunciata dalla ‘quarta’. “La Turchia odierna sta ancora cercando di costruire il suovatan, proseguendo così il genocidio iniziato dai turchi ottomani, e continuando a negare, di fatto, che questo abbia avuto luogo. Coprire un crimine vuol dire prolungarne gli effetti”. Ecco, forse, cosa fa paura di questo libro: capire l’ideologia che ha fabbricato il genocidio impone una direzione morale.
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La filosofa, dall’intelligenza esuberante, ha colto due problemi concatenati di oggi: “il pensiero che è diventato pura retorica, dissociato dai fatti” e i giovani “che hanno paura, una paura folle del mondo, pensano che il mondo voglia schiacciarli”. Così, da vera filosofa, Siobhan modifica l’ordine dei fattori. “Intanto, bisogna misurarsi con i testi importanti, discutendone le radici di senso, partendo da Tommaso d’Aquino. Poi, bisogna tornare alla materia. Bisogna insegnare ai ragazzi come ci si misura con i testi ma anche come si restaura un mobile, perché devono conoscere il mondo concreto. Io amo restaurare i mobili: la materia è cosa ostinata, mi mantiene umile”. Ed eccola qui la natura della filosofia – pensiero e lavoro, concetto e atto. Per evitare il fiorire del sangue. Denso come un aforisma. (d.b.)