Esiste una settimana della moda armena. E ha il suo perché (Amica.it 15.11.24)

Dalla Cina all’Armenia, le settimane della moda si allargano ben oltre il vecchio blasonato perimetro di New York-Londra-Milano-Parigi. Non è tempo di snobismi, le nuove fashion week sono espressione del cambiamento della geopolitica globale, sottolineano nuovi equilibri e nuove zone di interesse. Come la Yerevan Fashion Week, andata in scena dal 7 al 10 novembre nella capitale armena (in italiano, Ervan). Qui la moda inquadra e racconta la condizione e le aspirazioni di una società in evoluzione che si rialza nonostante una storia tragica anche recente, con la guerra combattuta negli ultimi anni contro l’Azerbaigian, dove proprio in questi giorni si tiene la COP 29.

Dall’Artsakh, la provincia persa durante l’ultimo conflitto e ora sotto il controllo degli azeri, provengono ad esempio alcune delle rifugiate che hanno realizzato le collezioni della serata di apertura insieme a Crelab, progetto sostenibile supportato dal governo inglese volto all’empowerment rosa. In realtà tutte le sfilate andate in scena in questi giorni sono lo specchio di una nuova condizione femminile nel Paese. A differenza di una manciata di anni fa, le ragazze oggi lavorano e guardano oltre i confini.

«Sono donne tra i 25 e i 50 anni che hanno studiato. Libere professioniste, business manager, ma anche artiste», spiega Alla Pavlova, fondatrice del brand Z.G.EST (uno dei più interessanti), descrivendo le sue clienti. “Più si ritagliano la propria indipendenza e più apprezzano una moda ricercata e sostenibile. Stiamo cambiando. Veniamo in contatto con figure straniere”, spiega, riferendosi alle grandi aziende come Prada e Moncler che qui hanno importanti manifatture. «E poi abbiamo iniziato a viaggiare», racconta con l’enfasi di chi appartiene a uno stato sigillato fino agli anni 90, che ha tutt’ora chiuse le frontiere con Turchia e Azerbaigian e in cui la prima compagnia di voli low cost è arrivata due anni fa, consentendo per la prima volta ai giovani di mettere il naso fuori dal paese a cifre accessibili.

Un look della stilista armena Sona Hakobyan, fondatrice di Soncess, che ha sfilato alla Yerevan Fashion Week.

Se bisogna guardare oltre i confini, dove si va? Ogni punto cardinale, visto da qui, ha un suo magnetismo. Perché, nonostante a Yerevan le architetture sovietiche abbiano quasi soppiantato le tracce di una storia millenaria (sopravvissuta nella provincia, tra monasteri cristiani e templi greci) l’Armenia rimane un ricettacolo di culture, spartiacque tra Oriente e Occidente.

I brand più applauditi sono proprio quelli che riescono a far confluire le molte anime del luogo in collezioni sintetiche ma complesse. Come Mariko, stilista fuggita dal Kazakistan che ha fatto sfilare capi realizzati in lana da lei customizzata, cardata e lavorata a telaio come da tradizione, con un imprinting contemporaneo.
Ariga Torosian, stilista iraniana armena che nel 2016 ha fondato il suo marchio omonimo: la sua ultima collezione ispirata agli edifici brutalisti è complessa e minimal allo stesso tempo, composta da dettagli scultorei e minuziosi declinati in bianco e nero. I palazzi dell’ex Repubblica socialista hanno ispirato anche Sona Hakobyan, fondatrice di Soncess, altro brand he merita attenzione: «Siamo a cavallo tra l’Est e l’Ovest del mondo e dobbiamo mostrarlo», conferma.

Ariga Torosian e una modella che indossa le sue creazioni.

Anche i mercati da raggiungere sono orientati su più coordinate. Verso Sud, oltre l’Iran, fa da bussola il ricco sogno degli Emirati Arabi. A Est c’è la vicina Russia e i suoi controsensi: più accessibile, fa sperare a qualche giovane stilista di arrivare fino alla fashion week di Mosca mentre, allo stesso tempo, la capitale armena accoglie una corposa comunità di cittadini russi fuggiti dalla repressione dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
L’Occidente, nonostante si tratti di un mercato difficile e saturo, rappresenta ancora l’Eldorado della moda con la M maiuscola. E l’Italia rimane un punto di riferimento per i designer, oltre che una cultura molto amata (si rimane sorpresi nel sentire suonare Mina e Celentano nelle hall degli hotel e come soundtrack dei fashion show).

Un look di Z.G.Est che ha sfilato alla Yerevan Fashion Week.

A Milano poi c’è il White, con cui la Yerevan Fashion Week collabora da anni e tramite cui alcuni stilisti scelti hanno l’occasione di mostrare le proprie collezioni. «Da diverse stagioni lavoriamo con Ariga Torosian, Z.G.EST e Naira Khachatryan, armena che vive e lavora in Italia, dove dal 2008 produce la sua collezione di maglieria» spiega Simona Severini, general manager di White, volata a Erevan per selezionare i nomi più talentuosi. Cosa cerca? «In questo momento storico il compratore non ha né tempo né denaro per fare esperimenti. Il cliente finale è disinnamorato, perciò la portabilità, la vestibilità e la versatilità di un capo diventano elementi chiave affinché sia vendibile. Ci troviamo davanti a collezioni acerbe, ma c’è spazio di crescita perché i designer possono contare su un polo produttivo dal forte know how». Infatti, a differenza di altri paesi dell’Est dove, con la delocalizzazione delle manifatture, dai Novanta in poi i product manager italiani sono andati a insegnare il mestiere, gli armeni hanno sempre avuto una propria cultura manifatturiera. «Con qualche accorgimento sono diventati maestri nella realizzazione di capispalla, denim e maglieria» conclude Simona.

Un look di Mariko. Dal backstage della Yerevan Fashion Week.

Inoltre, la produzione interna garantisce ai marchi locali prezzi competitivi sui mercati esteri. D’altro canto, sono stati anni molto difficili per i sostenitori della Yerevan Fashion Week. In primis per Vahan Khachatryan, il designer con un passato da Dolce&Gabbana che l’ha ideata. «Prima il Covid, poi la guerra. Per i brand emergenti non è stato semplice, è già tanto che non abbiano mollato», racconta. «Siamo molto fieri della nostra resilienza. E guardiamo lontano».

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