Escluse le voci del dissenso dalla Cop29, la storia dell’attivista armeno Arshak Makichyan (Economia Circolare 23.11.24)
Ad Arshak Makichyan, attivista per il clima armeno, è stato vietato l’ingresso in Azerbaijan nonostante avesse l’accredito per la Cop29. A EconomiaCircolare.com racconta il suo impegno per denunciare la pulizia etnica degli armeni e la sua vita da apolide a Berlino
Per entrare alla Cop29 di Baku – ancora in corso dopo che è stata aggiunta una giornata supplementare, quella del 23 novembre, per cercare di raggiungere l’intesa – non è basta avere un accredito: lo sa bene Arshak Makichyan, l’attivista ecologista armeno a cui è stato vietato l’ingresso in Azerbaijan durante i giorni del summit. In questa decisione Arshak ci vede solo coerenza: rendere inutilizzabile il suo badge è stata un’azione necessaria per mostrare al mondo un Paese pacificato e capace di guidare i negoziati sul clima.
Uno spazio bonificato da qualsiasi voce critica, questo voleva il presidente Ilham Aliyev. Arshak sarebbe stato un intralcio perché da mesi, sui social e nei meeting internazionali, denuncia l’operazione di greenwashing statale messa in piedi dell’autorità azere. A farlo non è un attivista occidentale o un membro di un’organizzazione non governativa, ma un ragazzo russo-armeno, da due anni privato della cittadinanza russa e costretto a vivere in esilio a Berlino dopo aver protestato contro la guerra in Ucraina.
La Cop è solo greenwashing?
Nella blue zone della Cop29 avrebbe spezzato il silenzio così: “Ogni anno si parla della necessità di costruire negoziati più efficaci nella lotta al cambiamento climatico, e invece siamo finiti al tavolo del regime azero, che sta usando la conferenza sul clima per coprire di verde il genocidio contro gli armeni indigeni dell’Artsakh. Le voci armene devono essere ascoltate alle Cop29, altrimenti questa conferenza non ha alcuna legittimità, è solo greenwashing. Non potrà esserci nessun accordo vantaggioso, nessun documento che farà la storia. Di concreto ci sono le case distrutte e la pulizia etnica delle popolazioni indigene”.
Troncata dalle fondamenta la scenografia del summit, tutti sarebbero rimasti a fare i conti con le ipocrisie della comunità internazionale, complice di aver dimenticato in fretta l’operazione militare del governo azero in Nagorno Karabakh, regione a maggioranza armena, ora definitivamente sotto il controllo di Baku dopo i continui attacchi ai civili e dopo aver generato un esodo di 120mila persone.
“Nel 2022 l’Unione Europea ha firmato nuovi accordi per ricevere forniture di gas azero. In pratica, mentre io protestavo per chiedere l’embargo del gas russo, l’Europa faceva affari con un regime che impediva agli armeni di ricevere medicine e cibo. A volte mi pare tutto surreale, mi sembra di vivere un film brutto con una trama orribile. Invece oggi sono tutti lì, convinti di poter firmare un accordo per salvare il pianeta dalla crisi climatica in uno stato che l’anno scorso ha eseguito una pulizia etnica”.
Arshak non riesce a lanciare l’allarme per il mondo in fiamme senza alzare la voce contro il genocidio del suo popolo. Per questo fa riferimento al blocco del corridoio di Lachin – la via di fuga che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia – avvenuto a partire dal dicembre del 2022 con manifestazioni di attivisti azeri vicini al governo. Quell’anno segna un prima e un dopo nella vita di Arshak.
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Dalle proteste per l’ambiente in Russia all’esilio in Germania
Da ottobre del 2022 Arshak Makichyan è apolide. Le autorità del Cremlino gli hanno ritirato la cittadinanza russa. La motivazione? Nel 2004 Makichyan dichiarò informazioni false durante la richiesta di cittadinanza. Nel 2004, quando Arshak aveva dieci anni, e la sua unica nazionalità era quella russa. Un processo farsa che serve da esempio per chi non vuole chiamare “operazione speciale” l’aggressione russa all’Ucraina. Su di lui è precipitata una sentenza che colpisce la Russia multietnica, quella che intreccia origini diverse, centinaia di lingue e culture che popolano un Paese oggi in guerra anche contro se stesso. Niente più spazio per quelli come Arshak, russo e armeno, ecologista e convinto pacifista.
“La Russia è passata da un regime autoritario a una dittatura nel giro di due anni. Continuare a protestare pacificamente in Russia ora è quasi impossibile, sicuro non è efficace. Vivo in Germania, e da qui cerco di continuare a fare attivismo contro la guerra. Collaboro alla costruzione di azioni di pressione per denunciare il genocidio degli armeni e i crimini coloniali di un regime che sta distruggendo l’identità armena in ogni sua forma”.
I suoi nonni sono fuggiti dal Nagorno Karabakh, la sua famiglia ha conosciuto la ferocia della pulizia etnica, e oggi da Berlino Mackichan cerca di tenere alta l’attenzione su tutte le pratiche coloniali che soffocano il pianeta e le persone.
Lo fa con manifestazioni, conferenze e picchetti, collaborando con chi si oppone alle dittature fossili. Fa impressione accostare la biografia di un trentenne apolide in lotta per la giustizia climatica e per i diritti del suo popolo agli accordi siglati tra Unione Europea e Azerbaijan per aumentare le importazioni di gas azero. Eppure in pochi mesi del 2022 è accaduto proprio questo: un ragazzo ha perso i suoi documenti, colpevole di aver sfidato i venti di guerra, mentre un gasdotto sporco di sangue è libero di espandersi e di ottenere ogni tipo di cittadinanza.
Ma forse è un esercizio utile: permette di stracciare quella patina che avvolge le ultime ore del negoziato; allontana tutte le possibili costruzioni di un finale edificante. La storia di Arshak ci ricorda che non abbiamo bisogno di alcuna positività tossica. “Cosa dovrei aspettarmi da questo negoziato?” Si chiede ironicamente l’attivista. “La comunità internazionale ha accettato di iniziare la Cop29 lasciando in galera gli oppositori politici, tanti giornalisti e membri di ong”. Durante questi giorni di conferenza sul clima, Berlino è stata attraversata da cortei e da iniziative per diffondere le voci delle vittime del regime azero. “Non è facile ricominciare tutto da zero in un altro Paese, qui a Berlino organizziamo proteste anche per continuare a essere una comunità, è l’unico modo per continuare a fare attivismo contro la guerra”.
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Una guerra contro la natura
Protestare da solo ha senso soltanto se è un innesco, se genera qualcosa, proprio com’è accaduto nel 2019 a Mosca. Ogni venerdì Arshak ha sfidato da solo il potere putiniano restando per ore sotto la statua di Pushkin – padre della letteratura russa – tenendo un cartello con scritto Climate Strike. Lo sciopero in solitaria è stato ripreso in tante altre città raggiungendo anche le regioni più remote del Paese. Così sono nati i Fridays for future Russia, da un ragazzo russo-armeno che non ha potuto neanche raccontare la sua storia alla Cop29.
“I movimenti ecologisti in Russia sono stati distrutti. La maggior parte delle organizzazioni sono state dichiarate indesiderate o agenti stranieri. Penso che il problema sia anche dovuto alla poca attenzione internazionale su ciò che sta accadendo all’ambiente in Russia. Non sappiamo molto di quello che accade in Asia Centrale, lì ci sono problemi di inquinamento completamente ignorati. Anche nel Caucaso e in altri luoghi si soffre di crisi climatica. Spesso cerco di diffondere i rischi di contaminazione del Lago Bajkal, dove si conserva il 20 per cento dell’acqua dolce superficiale presente sulla Terra. Il suo ecosistema è in pericolo. La Russia sta continuando la sua terribile guerra anche contro la natura“.
Il badge inutilizzato di Arshak è da “osservatore”, la stessa dicitura che hanno gli uomini della delegazione del governo dei talebani, che liberi di girare per i padiglioni del summit come dei veri diplomatici. Baku ha preferito altri sguardi, non avrebbe tollerato quello di Arshak.
“Invece di perdere tempo a casa di un regime dovremmo iniziare a pensare a cosa possiamo fare per resistere al numero crescente di crisi, tutte interconnesse alla crisi climatica, alle guerre, alla terribile ipocrisia dei Paesi occidentali. Parlare chiaro ci aiuterà a salvarci dal collasso”.
Tra poche ore il mondo volerà via da Baku, congedandosi da una conferenza segnata da grandi assenze, da corpi reclusi e da un popolo costretto all’esodo. Il gas azero continuerà a circolare in Europa e forse la diplomazia climatica dovrà iniziare a parlare di umiliazione. Intanto il badge di Arshak resta lì, senza aver mai conosciuto la fila per l’accredito. Il suo posto è stato preso da 1773 lobbisti del fossile, tutti entrati dalla porta principale.