Erdogan e i droni. Affari di Stato e affari di famiglia (Tempi.it 08.06.21)
Una nuova stella brilla nel firmamento dell’industria di Difesa e se Ankara si prepara a raccogliere il primo successo significativo raggiunto in questo settore, c’è chi si preoccupa e chi vede nuova possibili tensioni geopolitiche all’orizzonte. Sta di fatto che la moltiplicazione dei conflitti nella regione mediterranea allargata, alla quale abbiamo assistito negli ultimi anni e dove la Turchia ha sempre cercato di ricoprire un ruolo da protagonista, ha portato anche al perfezionamento e l’utilizzo sempre più esteso di droni, ossia veicoli aerei senza pilota.
Questi velivoli, che vengono considerati uno dei mezzi più importanti nelle guerre del futuro, sono stati e sono impiegati da Ankara in Libia, Siria, ma soprattutto nel conflitto del Nagorno-Karabakh, dove, secondo molti esperti militari, avrebbero letteralmente fatto la differenza. Più difficili da individuare per i radar, quando operano in gruppo possono sferrare attacchi anche a grandi obiettivi.
I droni turchi
La Turchia si sta distinguendo per la produzione di queste armi, meno costose di quelle più convenzionali e adatte sia alla ricognizione sia alla difesa. Un investimento che va avanti da anni e che ha piazzato la Mezzaluna fra i leader del settore e alla ribalta per gli osservatori internazionali.
La Gran Bretagna, per esempio si è accorta da tempo che i piccoli velivoli senza pilota turchi hanno avuto un ruolo rilevante in micro conflitti in Medioriente e Nord Africa e che presto potrebbero diventare dei veri e propri “game changer”.
Gli affari della famiglia Erdogan
Ottime notizie, insomma non solo per il Paese, ma per la famiglia del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il maggior produttore di queste micidiali e poco costose macchine da guerra, infatti, è la Baykar, di proprietà della famiglia Bayraktar. Selçuk Bayraktar, figlio del patron Ozdemir, è niente meno che il genero di Erdogan avendo sposato, nel 2016, Summeyye, secondo molti la figlia prediletta del presidente. Il suo business è iniziato nel 1984 vendendo pezzi di ricambio di auto. Adesso guida una industria il cui know-how fa gola anche ai cinesi.
Affari di Stato e affari di famiglia, insomma. Destinati però a creare non pochi problemi non solo a diverse cancellerie, ma potenzialmente anche al capo di Stato, un po’ troppo abituato a tirare la corda con i suoi alleati e che con questo nuovo asset potrebbe trovarsi a gestire situazioni di potenziale conflitto molto delicate.
Mosca allarmata
I primi Paesi che hanno ordinato i micidiali droni turchi, oltre alla stessa Ankara, naturalmente, sono stati il Qatar, Paese campione dei Fratelli Musulmani e con cui la Turchia ha rapporti molto stretti, nonché l’Ucraina e l’Azerbaigian. E qui c’è il primo problema, perché queste forniture hanno fatto storcere il naso, e non poco, a Mosca. I rapporti con Kiev sono seri, con la Russia che, di recente, è tornata ad ammassare truppe sul confine ucraino e potrebbe essere non poco infastidita dalle potenzialità di questi mezzi da ricognizione, dispiegati ai suoi danni e venduti all’Ucraina dal suo alleato chiave.
Discorso diverso, ma con il medesimo risultato in Nagorno-Kabakh. La Turchia sta cercando di acquisire un maggiore peso nel Caucaso meridionale ai danni della Russia e uno dei mezzi per raggiungere il suo obiettivo è quello di rifornire il presidente Aliyev di mezzi con i quali monitorare facilmente i movimenti dell’esercito armeno nell’area.
Washington infastidita
Se Mosca è irritata, Washington di sicuro non fa salti di gioia. Il TB2, uno dei modelli di droni turchi più gettonati e che ha fatto la sua comparsa nel 2020, è in grado di competere per prestazioni con l’americano MQ-9, con la differenza che costa meno della metà. I migliori testimonial del suo valore sono gli attacchi condotti nel nord della Siria ai danni dei curdi, durante l’operazione Scudo dell’Eufrate e quelli durante la guerra civile libica, dopo che la Turchia, con un clamoroso voltafaccia, ha preso le parti dell’esecutivi di Tripoli riconosciuto della comunità internazionale contro il generale, Khalifa Haftar.
Eppure indirettamente è stata proprio Washington a spingere Ankara a produrre droni indipendentemente, perché si era rifiutata di vendergli i propri. Questo aveva spinto l’allora Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan a buttarsi in una delle industrie più rischiose ma anche importanti nel bilancio di uno Stato: quella di difesa.
Ankara pericolosa
Nel 2015 si sono fatti i test di collaudo sui primi modelli, nel mese di maggio è arrivata la notizia che la Polonia sarà il primo Paese a comprare i droni made in Turkey.
La Mezzaluna sembra sempre più sicura delle proprie potenzialità in campo geopolitico, questo successo nell’industria militare potrebbe portarla a voler pesare ancora di più nell’arena internazionale, oltre a renderla ancora più pericolosa.