Emmanuel Tjeknavorian, a 26 anni il concerto d’addio al violino: «D’ora in poi voglio solo dirigere»
Austriaco con origini armene, è figlio d’arte. Il padre Loris, compositore e direttore d’orchestra, da otto anni gli insegna la direzione
Se il passaporto dice che è austriaco, i tratti del volto, forti e bruni, svelano un’identità armena. Radici diverse che s’intrecciano felicemente in Emmanuel Tjeknavorian, giovane talento del violino, nato a Vienna 26 anni fa da una famiglia di musicisti. Suo padre Loris Haykasi Tjeknavorian, compositore e direttore d’orchestra iraniano-armeno ha guidato per molti anni l’Armenian Philharmonic Orchestra, la madre pianista professionista.
«E così, a due anni già mi agitavo su un palco cercando di imitare i gesti di mio padre, a cinque, dopo che si era rotto il mio violino giocattolo, chiesi ai miei di regalarmene uno vero, a sette debutto in pubblico accompagnato al piano da mia madre. E a 20 il premio Sibelius», riassume Emmanuel, martedì 18 al Conservatorio per la Società del Quartetto con pagine di Mozart, Poulenc, Čajkovskij e Schumann da interpretare in duo con il pianista Maximilian Kromer, suo connazionale e coetaneo.
Siete anche amici?
«Ci conosciamo da quando eravamo adolescenti. Siamo diventati subito amici dentro e fuori scena. Suoniamo insieme dal 2014 e ogni volta ritrovarsi è una festa. Fare musica è fantastico, con un amico anche di più».
Inseparabile anche il legame con il suo violino, uno Stradivari «Cremona» 1698. Che rapporto si è stabilito con questo vecchissimo amico?
«Emozionante. Uno strumento versatile, sorprendente, suonarlo per me è una grande gioia e una grande responsabilità. A volte mi scopro a pensare che lui è venuto al mondo così tanto tempo fa, prima ancora di Mozart e di Beethoven. Eppure, quando entro in una sala di oggi e lo abbraccio, lui inizia a suonare con l’energia e la freschezza di un giovanotto!».
Raggiungere il successo così presto le ha comportato delle rinunce?
«Se si ama la musica profondamente come la amo io, nessuna rinuncia. Solo felicità».
Ama altri tipi di musica?
«Rispetto tutti i generi, ma per essere del tutto onesto, è solo la classica che amo».
Altre passioni oltre la musica?
«Il calcio. Ho giocato tutti i giorni fino a 19 anni. Adesso non più ma continuo a tifare per la mia squadra del cuore, il Real Madrid».
Lei è nato in occidente ma la storia della sua famiglia è nell’Armenia. Quanto contano per lei quelle radici?
«Moltissimo. Non conosco l’armeno ma i miei sentimenti verso quella terra e il suo popolo sono molto forti, difficili da esprimere. I miei nonni vengono da lì, il nonno dall’Armeni orientale, la nonna da quella occidentale, fuggiti al genocidio del 1915. Loro non erano musicisti ma spinsero tutti i loro figli a imparare uno strumento. Mio padre Loris scelse il violino. Aveva otto anni».
Lo stesso suo strumento.
«Mio padre è stato determinante nella mia formazione. Sotto la sua guida da otto anni studio direzione d’orchestra. Una doppia attività, podio e violino, molto stimolante. Ti consente di approfondire le partiture con il tuo strumento, e di stabilire maggiore sintonia con gli archi, che sono di gran lunga la sezione più ampia in un’orchestra».
Si è già cimentato come direttore?
«Ho debuttato con i Münchner Symphoniker e con la Camerata Salzburg. E tra poco inizierò a dirigere delle opere liriche».
E il violino? Continuerà a suonarlo?
«La mia doppia carriera terminerà a settembre. Intendo dedicarmi totalmente al podio, mentre come violinista terrò solo qualche apparizione speciale. La mia seconda vita inizia quest’anno».