Edo, dall’Armenia l’angelo della Casa degli angeli: “Imparavo l’italiano con Celentano” (Primonumero.it 16.08.16)
Anche a Ferragosto Varazdat Sargsyam (questo il suo vero nome), custode della struttura di via Monte San Gabriele, è stato alla mensa della Caritas insieme agli ospiti su cui veglia notte e giorno ormai da due anni. Dalla sua terra a Campobasso con la famiglia, dice dei molisani: “Siete accoglienti”
Campobasso. Varazdat Sargsyam. Con questo nome, che prese a 18 anni in ricordo di un fratello morto bambino, nessuno lo conosce. Ma, se lo si chiama Edoardo, alla Casa degli angeli “Papa Francesco” tutti sanno chi è.
51 anni, armeno, il custode dell’ex asilo di via Monte San Gabriele a Campobasso, che ospita il dormitorio e la mensa della Caritas, è molto amato. Sempre disponibile, per volere di don Franco D’Onofrio (il responsabile diocesano) è un vero e proprio tuttofare. L’ultima sua creazione è il giardino di fiori e spezie realizzato con grande fantasia nelle aiuole della struttura: scarpe e borse in disuso, cassette di legno recuperate qua e là, tutte colorate, ora ospitano azalee e gerani, basilico e rosmarino.
«Faccio ogni cosa con grande passione, per me è una vocazione – racconta Edoardo -. Ai migranti che passano di qui, soprattutto ai più giovani, dico sempre di non fare sciocchezze e di imparare qualcosa che possa aiutarli nel loro percorso, non di bivaccare. Anche quest’anno ho trascorso il mio Ferragosto alla mensa. Tra lasagne, bignè e tanta musica, insieme agli altri volontari, ho cercato di alleviare la solitudine degli ospiti. Lo scorso anno fu mia moglie a preparare i dolci, ma ora è in Armenia. Qui a Campobasso mi trovo molto bene, voi molisani non siete razzisti. Però ho il cuore pulito, mi sento cittadino del mondo e ho trasmesso questa convinzione ai miei due figli. Il primo parla ben cinque lingue e mantiene i rapporti via Skype con tutti i parenti sparsi nel mondo».
Sì, perché i membri della famiglia di Edo, è questo il diminutivo usato dagli amici che a volte lo chiamano anche san Edoardo, dall’Armenia sono emigrati un po’ ovunque. «Anni fa – continua – ho scelto di venire in Italia, per la precisione a Roma, perché la vostra storia antica mi ha sempre affascinato.
Edoardo è riservato ma lascia trasparire grande emozione quando parla del suo Paese d’origine dove faceva il poliziotto. «Al giorno d’oggi – dice con fermezza –, con tutto quello che sta succedendo, ci vorrebbero più persone solidali come lui (sempre Aznavour, ndr) che, dopo il terremoto del 1988 che fece migliaia di vittime, ha praticamente ricostruito un’intera città. Dalle mie parti la situazione è difficile da sempre, e non è mai stata affrontata in maniera adeguata dalla politica internazionale. L’unica cosa che possiamo fare noi è ricordare. In Armenia, il genocidio viene tramandato di padre in figlio. Il 24 aprile commemoriamo la mattanza di un milione e mezzo di concittadini ad opera dell’Impero ottomano ma noi ricordiamo 365 giorni l’anno. La memoria resta il punto di partenza». (gv)