Eco-attivisti o agenti speciali? La difficile situazione del Nagorno Karabakh (Italiachecambia 20.04.23)
È il 21 marzo 2023 quando un gruppo di “eco-attivisti” azeri blocca nuovamente la strada nota come corridoio di Lachin – o Laçin in lingua azera –, l’unica porzione di terra che collega l’Armenia con la (de facto) Repubblica autonoma dell’Artsakh, meglio noto come Nagorno Karabakh. La motivazione ufficiale della protesta riguarda lo sfruttamento delle miniere di rame e molibdeno del sopracitato, vi sono però delle incongruenze in questa situazione.
Bisogna innanzitutto ricordare la situazione geopolitica dell’area: Armenia e Azerbaijan si contendono da circa trent’anni le zone del Nagorno Karabak – che si trova interamente in territorio azero – e periodicamente le tensioni si riaccendono. Gli scontri iniziano nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, potenza che fino a quel momento aveva avuto la funzione di “collante” tra i due paesi. Dopo quella data, le ostilità proseguono ininterrottamente per tre anni circa, fino ad arrivare all’inizio del 1994, quando gli armeni – che in quella fase erano in netto vantaggio sui nemici – costringono gli azeri a sedere al tavolo di pace.
Il 5 maggio Artsak e Azerbaijan firmano dunque un cessate il fuoco a Biskek, capitale del vicino Kirghizistan. Il trattato aggiungeva circa 12000 chilometri quadrati al territorio dell’Artsak, tutti a maggioranza azera. La fine della guerra diede inizio a una grande diaspora da entrambi i Paesi: centinaia di migliaia di azeri abbandonarono le loro case per fuggire in Azerbaijan. Parallelamente molti Karabaki, fuggiti in Armenia durante la guerra, tornarono alle loro case e molti Azerbaijani di origine armena affluirono nei nuovi territori dell’Artsak in fuga da un paese che non li voleva più.
La situazione si è poi raffreddata fino al 2020, quando l’Azerbaijan ha lanciato un attacco fulmineo e brutale nei confronti della piccola repubblica montana conquistando ampi territori e lasciando l’Artsakh praticamente circondato. L’unico collegamento tra la Repubblica autonoma e la madre-patria armena è per l’appunto il corridoio di Laçin, che da dopo il cessate il fuoco del 2020 è presidiato da una forza di interposizione russa.
La presenza di questi peacekeeper impedisce qualsivoglia azione violenta da ambo le parti ed è qui che entrano in gioco gli “eco-attivisti”. Come ho già accennato prima, la strada che si snoda lungo il corridoio di Laçin è l’unica via per far arrivare medicine, beni alimentari e qualsiasi altro tipo di materiale nel territorio autonomo e ormai i blocchi degli attivisti continuano da mesi. Già a dicembre infatti il corridoio era stato occupato da civili azeri per lo stesso motivo.
Il prolungato blocco della strada sta portando l’Artsakh al collasso e le autorità temono una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo le autorità armene questi “eco-attivisti” non sarebbero altro che agenti sabotatori dello stato azero, che utilizzano la scusa della protezione dell’ambiente per portare avanti la guerra con mezzi più subdoli.
Le accuse armene suonano molto verosimili, da un lato perché l’Azerbaijan e il suo leader Alijev sono noti per il loro odio per il popolo armeno. Inoltre le truppe azere hanno dimostrato una certa crudeltà e uno sprezzo quasi raccapricciante per le più basilari regole del diritto internazionale. E dall’altro lato proprio perché – come riporta OC Media – gli attivisti vengono trasportati e scortati da polizia e forze speciali azere fino davanti alla zona di interdizione controllata dai peacekeeper.
La notizia è tornata a far scalpore grazie al video postato su internet da uno dei suddetti “eco-attivisti” nel quale uno dei loro proclamava che presto avrebbero aggiunto “sangue armeno ai loro kebab”. A che punto siamo giunti dunque? Il livello del conflitto non sembra diminuire e le autorità armene, così come il presidente dell’Artsakh Arayik Harutyunyan o il presidente della repubblica dell’Armenia Nicol Pashinian, accusano gli azeri di cercare il genocidio e chiedono l’intervento delle forze russe.