Echi persiani in Caucaso (Dissipatio 14.02.25)
La cronaca, spesso, tende a dipingere la realtà in bianco e nero, ma questa visione riduttiva rischia di distorcere la complessità delle questioni geopolitiche, portando a conseguenze pericolose. Ogni realtà ha il suo rovescio della medaglia, e il tentativo di rimuovere un elemento da un equilibrio precario può generare squilibri imprevedibili. Questo vale, ad esempio, per il ruolo dell’Iran nello scenario internazionale: sebbene l’autoritarismo teocratico degli ayatollah sia certamente lontano dal nostro modo di pensare, non si può ignorare il suo peso come forza di deterrenza essenziale per la stabilità di alcune aree.
Un caso emblematico è l’Armenia. La sua (r)esistenza dipende, in parte, dagli ottimi rapporti diplomatici e commerciali con la Repubblica Islamica. Paradossalmente, la teocrazia che i media occidentali spesso ammantano di una narrazione tenebrosa ha un ruolo vitale nel garantire la sicurezza della “terra dei monasteri”, minacciata dal sentimento panturco incarnato dall’Azerbaijan. Questo è particolarmente rilevante considerando la consistente minoranza azera presente in Iran, che obbliga Teheran a osservare con sospetto le ambizioni espansionistiche del presidente Aliyev. Il leader azero, con la sua retorica fortemente aggressiva e nazionalista, descrive gli Armeni come occupanti dell’“Azerbaijan Occidentale” andando a contribuire a una falsificazione storico-culturale funzionale al nazionalismo turco.
L’Iran, già impegnato in una lotta costante per mantenere la propria integrità territoriale (come dimostrano i casi del Kurdistan e di altre minoranze), non può permettere che Baku alimenti fuochi identitari all’interno dei suoi confini che minino la centralità dello stato. Da qui il ruolo di Teheran come difensore dell’Armenia in funzione anti-azera. Questo ruolo si è intensificato in un contesto in cui Mosca sembra progressivamente abbandonare Yerevan, costretta da dinamiche interne armene volute dal governo Pashinyan. Nonostante alcuni accordi con gli Stati Uniti, il sostegno iraniano all’Armenia rimane una costante immutata, sottolineando la rilevanza strategica della Repubblica Islamica.
In questa logica machiavellica s’inserisce Israele. Lo Stato ebraico, pur non avendo relazioni idilliache con la Turchia (storica alleata dell’Azerbaijan), vanta un’alleanza strategica con Baku. Questa collaborazione si manifesta non solo attraverso forniture di armi, ricompensate generosamente con petrolio, ma anche tramite l’uso di basi militari azere da parte delle forze israeliane, come confermato da fonti quali The Times of Israel. Israele sfrutta la posizione strategica dell’Azerbaijan per monitorare e potenzialmente colpire l’Iran. Episodi come la sospetta morte di Raisi, di ritorno da un viaggio in Azerbaijan, e l’uso massiccio di droni israeliani nel conflitto del Nagorno-Karabakh rafforzano questi sospetti.
L’elezione di Donald Trump, con il suo già ampiamente dimostrato sostegno a Israele e la sua posizione ostile nei confronti dell’Iran, ha accentuato la pressione sulla teocrazia di Teheran. Qualora si concretizzasse una sinora ipotetica “spallata finale” israelo-statunitese per terminare una volta per tutte il già traballante il regime teocratico iraniano, si potrebbe innescare un effetto domino dagli esiti imprevedibili. La frammentazione del Paese in micro-stati (Kurdistan, Arabistan, ecc.) potrebbe minare non solo la stabilità regionale, ma anche quella globale. Senza il ruolo di deterrenza dell’Iran e con la Russia sempre più defilata, l’Azerbaijan avrebbe condizioni militari e geopolitiche favorevolissime per perseguire le sue ambizioni, incluso il controllo del corridoio del Syunik che collegherebbe definitivamente Baku a Ankara.
A quel punto, l’Europa si troverebbe ad affrontare un gigante ottomano sempre più spavaldo e padrone del Mediterraneo con accesso diretto al Mar Caspio e alle sue risorse. La fusione tra Azerbaijan e Turchia, sebbene empirica nelle sue dinamiche poiché parte della dirigenza azera verrebbe molto annacquata visti i rapporti numerici tra turchi e azeri, non è uno scenario irrealistico, considerando il forte sentimento di unione tra i due popoli e il massiccio consenso che il gruppo nazionalista turco dei “Lupi grigi” gode in entrambi i paesi.
Pur non difendendo il regime iraniano, è impossibile ignorarne il ruolo, per quanto controverso, di stabilizzatore. Superando i limiti del politicamente corretto, si fatica a immaginare una Repubblica Islamica come un baluardo democratico, ma è altrettanto difficile trascurare il suo peso strategico in un contesto geopolitico estremamente delicato in un’area geografica dove tra Turchi, Russi, Sauditi e Israeliani vi sono interessi fortissimi nei quali l’Armenia è chiaramente oppressa con poche vie di fuga.