E Paci Dalò ricorda il genocidio armeno (Messaggeroveneto 21.09.16)
UDINE. Cent’anni, un milione e mezzo di morti e il primo grande olocausto della storia. Queste tre frasi bastano a strozzare il fiato in gola, al ricordo del Medz yeghern, così come chiamano gli armeni il loro genocidio del 1915.
Grande crimine, questo il nome scelto, come se fosse umano comporre una classifica delle atrocità. E se pensare a una graduatoria dove infilare come macabre perline le barbarie umane fa quasi rabbrividire, un sospiro di speranza intellettiva ed emotiva lo suscita il fatto che qualcuno, attraverso l’arte, abbia deciso di contrastare l’oblio che queste barbarie portano con sé. Oblio di popoli e delle loro culture.
Roberto Paci Dalò è questo che ha provato a fare, con il suo 1915: The Armenian Files, progetto multimediale ispirato, appunto, dal Genocidio armeno, uscito nel 2015. E proprio con questo incredibile lavoro, Paci Dalò, compositore, regista teatrale, artista visivo e sonoro, inaugurerà stasera, alle 21, la stagione autunnale di Visi(on)Air, rassegna organizzata al Visionario dal Cec e curata dai The Mechanical Tales.
Un colpo di quelli pesanti, messo a segno dal Cec. Pesanti come la memoria legata al genocidio degli armeni da parte del governo ottomano e mai riconosciuto dal governo turco.
A partire da testi del poeta armeno Daniel Varoujan, torturato e ucciso a 31 anni nell’agosto del 1915, Paci Dalò ha deciso di mescolare elettronica, voci, strumenti acustici, ritmi e trame sonore tratte da materiale d’archivio in una tessitura fatta di suggestioni e citazioni che sono ormai il suo tratto distintivo. Boghos Levon Zekiyan (attualmente Arcivescovo di Istanbul) è la voce narrante di questo lavoro.
Attraverso la sua arte, è come se Paci Dalò voglia far nuovamente vibrare le corde vocali di quel milione e mezzo di morti, voglia ridare voce a un popolo sterminato, nel tentativo di non farlo ricadere nel buio della storia, e delle coscienze. Un lavoro non facile.
Non facile da recepire, ma anche da far vivere. Perché per parlare di morte, il compositore riminese fa parlare la vita. Quella vita che aveva celebrato Varoujan nelle sue poesie e che sembra quasi stridere con il graffio musicali che il pubblico udinese avrà il privilegio di ascoltare questa sera.
Graffi e profondità. Memoria e speranza. Morte e vita. Ossimori contenuti in un’opera che non è solo di ricerca, ma anche di denuncia, di «nota critica a Erdogan», così come ha dichiarato in un’intervista all’uscita del suo lavoro Paci Dalò, vincitore con 1915: The Armenian Files del Premio Napoli 2015 per essere «una delle figure più versatili del panorama italiani, uno dei nostri artisti più noti all’estero».
E proprio grazie alla sua versatilità, Paci Dalò avrà il merito di portarci dritti al cuore della nostra drammatica contemporaneità con una storia di cent’anni fa. «Tutte le parole chiave di questo lavoro – ha dichiarato il compositore in un’intervista – evocano qualcosa che ci è abbastanza vicino, perché noi stiamo parlando non soltanto di genocidio, noi stiamo parlando di profughi, rifugiati, allontanamenti, di separazioni, di famiglie…e se questo non è l’oggi, che cos’è?».