E’ il lavash il patrimonio dell’Armenia: nel sottile pane tradizionale c’è la storia bimillenaria del Paese asiatico (Turismoitalianews.it 13.07.18)
Giovanni Bosi, Yerevan / Armenia
E’ lo specchio del Paese. Un testimonial autentico e immutato di un popolo e di un Paese che ha saputo mantenere intatte le sue tradizioni difendendo la propria storia. E non è stato facile perché il passato ha riservato agli Armeni prove difficili e dolorose. Non è un caso che proprio un alimento sia il loro elemento distintivo e che l’Unesco abbia voluto iscriverlo nel Patrimonio culturale mmmateriale dell’Umanità : il Lavash, il sottile pane tradizionale che fa parte integrante della cucina armena. La sua preparazione, caratterizzata da un lavoro di gruppo al forno, rafforza i legami familiari, comunitari e sociali.
(TurismoItaliaNews) A tavola non manca mai, servito in generose porzioni in cestini intrecciati. Così quando giri per l’Armenia e sei pronto a sederti a tavola, lo sguardo corre subito sul lavash in bella mostra e il buon odore stimola l’acquolina pregustando come potrai combinarlo, in genere formaggi locali ed erbe aromatiche come il prezzemolo, il basilico rosso, il coriandolo, la menta, il dragoncello, il timo oppure la cipolla.
Ma del lavash, al di là del sapore, colpisce il metodo di preparazione sistematico intrapreso da un piccolo gruppo di donne richiedendo un grande sforzo, coordinazione, esperienza e abilità speciali. E’ dal 2014 che l’Unesco ha apposto il suo bollino di tutela perché considerato simbolo della famiglia e della prosperità e perché nel corso dei millenni ha mantenuto intatta la sua essenza e il suo sapore. Del resto la cucina armena è una delle più antiche in Asia, frutto di elaborazioni sviluppate dal popolo armeno per millenni. E si sa che il pane oltre ad un valore nutriente, ha anche un grande valore simbolico, a maggior ragione in Armenia, primo Stato cristiano del mondo, con Haik discendente di Noè considerato dalla tradizione cristiana antenato di tutti gli armeni. Fu proprio Haik, stabilitosi ai piedi del monte Ararat (che oggi si trova in territorio turco ma praticamente visibile con la sua splendida silhouette da buona parte dell’Armenia) ad assistere alla costruzione della Torre di Babele per poi sconfiggere il re assiro Nimrod presso il lago di Van.
Se dici Armenia non puoi non dire storia, non puoi non immergerti nel passato epico e tremendo di questo popolo. Così quando mangi il lavash, nel suo sapore ritrovi un passato mai dimenticato.
Già, ma come si fa? Un semplice impasto a base di farina di grano e acqua, un pizzico di sale e senza lievito, viene lavorato e composto in palline. Una per volta, le palline vengono preparate a mo’ di “sfoglie” sottili con un mattarello e affinate facendole volteggiare con le mani, quindi stese su uno speciale cuscino ovale che viene “schiaffeggiato” contro il muro di un tradizionale forno conico in argilla, il tonir, rivestito di pietra o di ceramica, scavato nella terra. Dopo trenta secondi il pane cotto viene estratto dalla parete del forno. Assistere alla preparazione è come trovarsi davanti a un rito ancestrale, con le donne che sorridono quando si rendono conto della nostra meraviglia nel vederle all’opera. Perché davvero di maestria si tratta nei loro movimenti rapidi e decisi, frutto di un’esperienza acquisita giorno dopo giorno, tramandata di generazione in generazione.
Il lavash (che è meglio mangiarlo appena sfornato, anche se può essere conservato per un massimo di sei mesi, in fogli essiccati e impilati l’uno sull’altro) svolge un ruolo rituale nei matrimoni, dove viene posto sulle spalle degli sposi per portare fertilità e prosperità. Non solo donne comunque nella fase di preparazione: gli uomini sono coinvolti ancor prima nella creazione dei cuscini e dei forni, con l’impegno di trasmettere la loro abilità a studenti e apprendisti come passo necessario per preservare la vitalità della produzione del lavash.
Se il lavash è una presenza irrinunciabile a tavola, la gastronomia armena si rivela una piacevole scoperta, per la sua varietà e i suoi sapori delicati tanto che in passato ne hanno parlato con ammirazione lo storico greco Senofonte e Alessandro Magno. Come nel caso delle zuppe, nelle quali insieme alla carne si possono trovare patate, cipolle, mele, mele cotogne e albicocche secche; mentre nelle zuppe di pesce si aggiunge il corniolo e in quelle con i funghi compaiono prugne e ciliegie o uva passa.
Sapori dunque di grande effetto. Una curiosità: in cucina si usano molto i vasellami di terracotta e così molti piatti hanno finito con il prendere i nomi delle stoviglie piuttosto che del contenuto, come ad esempio putuk, kchcuch e tapak.