Due pesi, due misure… (Osservatorio repressioni 28.11.23)
Liberato in Turchia dopo sedici anni l’assassino (diciassettenne all’epoca del delitto) di un giornalista armeno. Mentre in Iran un minorenne accusato di omicidio (sedicenne all’epoca dell’uccisione di un uomo nel corso di una rissa) finisce sulla forca. Contraddizioni? Forse solo apparentemente …
di Gianni Sartori
Non si capisce perché la notizia dovrebbe suscitare particolare “sconcerto”. In fondo è normale amministrazione. Ogün Samast, l’assassino di Hrant Dink (intellettuale cristiano armeno, processato nel 2005 per alcuni articoli sul genocidio armeno del 1915) ha semplicemente goduto di ciò che la Turchia non concede nemmeno ai detenuti malati terminali (l’uscita anticipata per “buona condotta” o per gravi motivi di salute).
Uscito dal carcere dopo sedici anni (era rinchiuso nel carcere di tipo F di Bolu), il responsabile dell’uccisione del giornalista direttore di Agos (autore materiale, ma sui mandanti si rimane all’oscuro) non avrebbe usufruito di particolari favoritismi. Anche se, a quanto sostiene Gazeta Duvar “in carcere avrebbe commesso altri crimini” (non specificati). Il fatto comunque suscita qualche dubbio. Intanto non ha dovuto confrontarsi con l’aggravante, scontata in casi analoghi, dell’accusa di terrorismo. Un elemento che avrebbe sicuramente allungato la sua permanenza dietro le sbarre.
Va ricordato che al momento dell’arresto venne salutato come un “eroe” e che alcuni poliziotti vollero farsi fotografare accanto a lui esponendo una bandiera turca.
L’omicidio (una probabile operazione di “guerra sporca” eseguita con quattro colpi di pistola sparati bruciapelo) risaliva al 19 gennaio 2007 e Ogün Samast era stato condannato a 23 anni..
Per alcuni osservatori la sua prematura rimessa in libertà avrebbe tutte le caratteristiche di una “amnistia segreta”
Una chiara condanna è venuta da Eren Keskin (co-presidente dell’Associazione per i diritti umani) in quanto “Gültan Kışanak, Selahattin Demirtaş, Osman Kavala, Can Atalay sono in carcere solo per i loro pensieri, ma un assassino può tornare in libertà”.
Nel frattempo – il 24 novembre – in Iran un minorenne, Hamidreza Azari (17 anni, originario di Sabzevar – provincia di Razavi-Jorasán) saliva sul patibolo.
La sua condanna deriverebbe dall’applicazione della “qesas”, ossia del principio per cui un omicidio viene “risarcito” con la condanna a morte e l’esecuzione.
Hamidreza Azari era ritenuto il principale responsabile della morte (per una pugnalata durante una rissa) di Hamidreza Al-Daghi (definito “martire” da alcuni media iraniani).
Amnesty International ha ricordato che sono in vigore trattati internazionali per cui l’esecuzione di “minori all’epoca del crimine” dovrebbe essere interdetta.
Ma tale principio evidentemente non fa testo in Iran dove si ripetono le esecuzioni di persone minorenni all’epoca del delitto di cui sono accusate.
Dal principio dell’anno le condanne a morte eseguite nella repubblica islamica sarebbero almeno 684 (un record anche per Teheran).
Recentemente era stato giustiziato Milad Zohrevand, un ventiduenne arrestato nel corso delle proteste “Jin, Jiyan, Azadî “ dopo l’assassinio di Jina Mahsa Amini.