Dopo la guerra: ai confini dell’Armenia regna l’incertezza (Osservatorio Balcani e Caucaso 16.02.21)
“Tutti qui sono partiti volontari per la guerra. Anche chi aveva sessant’anni!”, racconta Vardan Hayrapetyan, dall’ufficio spartano del suo hotel nel sud dell’Armenia, vicino al confine iraniano. L’hotel si rivolge principalmente ai camionisti iraniani che trasportano gas e altre merci lungo la principale strada che attraversa la provincia di Syunik, una striscia di terra relativamente stretta che confina con il territorio azero su due lati, a est e ovest.
“La maggior parte degli uomini è andata a difendere il confine con il Nakhichevan e il sud del Karabakh”, ha aggiunto Vardan. “È lì che le battaglie sono state più cruente”.
Il Nakhichevan è l’enclave dell’Azerbaijan a ovest dell’Armenia, mentre il Nagorno-Karabakh è territorio conteso a est del paese. Per 44 giorni lo scorso autunno, l’Armenia ha combattuto con le unghie e i denti per difendere contro l’Azerbaijan il controllo del Nagorno-Karabakh, patria di migliaia di armeni (e prima di una guerra cataclismica negli anni ’90, patria di moltissimi azeri). Il 27 settembre, le forze azere hanno lanciato un’offensiva militare su vasta scala in Karabakh, costringendo i civili a lasciare le loro case con artiglieria e forze di terra e travolgendo le difese armene con l’aiuto di droni di fabbricazione turca.
Sono passati diversi mesi, migliaia di soldati sono morti o dispersi e molti civili sono sfollati. Sono stati documentati numerosi crimini di guerra. Un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia, annunciato a novembre, ha provvisoriamente messo in pausa i combattimenti, riconoscendo le conquiste dell’Azerbaijan in Karabakh e nella “zona cuscinetto” dei territori che lo circondano. In sei settimane, quanto aveva guadagnato l’Armenia dalla guerra combattuta con l’Azerbaijan negli anni ’90 è stato in gran parte annullato.
In Armenia, la perdita di questi territori ha causato una significativa crisi politica: il governo riformista del paese è stato sottoposto a enormi pressioni per vincere la guerra. L’attuale primo ministro armeno Nikol Pashinyan è stato eletto in maniera schiacciante dopo la “Rivoluzione di velluto” del 2018, ma il sostegno a questo leader rivoluzionario, un tempo molto popolare, ha vacillato nel corso della guerra.
Le truppe azere sono ora di stanza nel cuore di quello che un tempo era il Karabakh armeno e nella “zona cuscinetto”, e sono ben visibili dai confini dell’Armenia. In poco tempo i confini un tempo porosi tra Armenia, Nagorno-Karabakh e la zona cuscinetto si sono irrigiditi.
Lo sviluppo economico e l’apertura di collegamenti di trasporto transfrontalieri offrono una potenziale via d’uscita da questa crisi. È una prospettiva potenzialmente attraente per l’Armenia, un paese senza sbocco sul mare i cui confini sono di fatto aperti – fin dagli anni ’90 – solo a due dei suoi vicini, Iran e Georgia. Diventare un hub di transito regionale per il Caucaso meridionale trasformerebbe la sconfitta in un’opportunità. Ma per riattivare le rotte di trasporto interrotte durante la guerra negli anni ’90 sarà necessaria una fiducia senza precedenti tra le società armena e quella azerbaijana.
Da nessuna parte questo è più rilevante che nella regione di Syunik nell’Armenia meridionale, dal momento che l’accordo di pace di novembre prevede per l’Azerbaijan un collegamento stradale che l’attraversi fino alla sua enclave di Nakhichevan.
In gennaio, nel primo loro incontro dopo l’accordo di novembre, i tre leader – l’armeno Pashinyan, più i presidenti azero e russo Ilham Aliyev e Vladimir Putin – hanno annunciato un gruppo di lavoro trilaterale per preparare lo “sblocco di tutti i collegamenti economici e di trasporto” nella regione.
Ma chi ne trarrà vantaggio? Come suggerisce una recente analisi pubblicata da Euractiv, la Turchia e l’Azerbaijan stanno spingendo per il corridoio attraverso l’Armenia meridionale, mentre la Russia mirerebbe a rilanciare i collegamenti ferroviari dell’era sovietica con l’Iran. Per alcuni, c’è la sensazione che questo programma di sviluppo, attualmente coperto dal segreto diplomatico, sia stato imposto all’Armenia dall’esterno: un’impressione che abbiamo riscontrato durante un nostro viaggio nella provincia di Syunik alla fine di dicembre 2020, dove abbiamo riscontrato sia sfiducia e delusione ma anche speranza per il futuro.
On the road
La strada principale che collega la capitale dell’Armenia, Yerevan, all’Iran passa a sud attraverso la provincia di Syunik, attraversando le città di Goris, Kapan e Meghri. Camion georgiani e iraniani ronzano lungo questo percorso fangoso e tortuoso che corre direttamente lungo il confine armeno-azero per alcuni chilometri, trasportando gas liquefatto, materiali da costruzione e altre merci.
Goris, la città più vicina al corridoio Lachin – è così denominato un passo di montagna tra l’Armenia e il Karabakh – è diventata frenetica dopo la guerra. In passato aspirava ad un futuro turistico, ora è divenuto il primo luogo sicuro per i civili in fuga dal conflitto.
Noi abbiamo viaggiato comodamente in una Lada guidata da Henrik, una persona del posto che usa spesso questa strada. Fino a poco tempo fa, durante al pandemia, era l’unica rotta transfrontaliera in tutta l’Armenia a rimanere permanentemente aperta al trasporto di merci.
Pochi chilometri a sud di Goris, Henrik ci ha indicato Shurnukh, un villaggio che si sviluppa tra la strada e il confine dell’Azerbaijan e dove ora sono stanziate truppe azere. Prima del crollo dell’Unione Sovietica Shurnukh era un villaggio in territorio armeno in gran parte popolato da azeri. I suoi abitanti dovettero abbandonarlo quando iniziò la prima guerra del Karabakh. “Il villaggio è stato preso dagli armeni negli anni ’90 e ora lo stiamo restituendo”, sottolinea Henrik.
Raggiunto Shurnukh, circa 20 residenti stavano bloccando il traffico, in segno di protesta contro la recente divisione del loro villaggio – e chiedevano un risarcimento finanziario per potersi trasferire in Russia. A dicembre, il primo ministro armeno ha riconosciuto che c’erano “alcune situazioni dolorose” a Shurnukh e Vorotan, un altro villaggio vicino colpito dalla demarcazione del confine con l’Azerbaijan e ha offerto sostegno finanziario alle persone costrette a lasciare le proprie case.
Tra di loro vi è Armen Haroutsounyan. Si è stabilito qui 30 anni fa. Originario di Goris, Haroutsounyan lavorava in una fabbrica militare, ma ora è un contadino. “Era meglio durante l’Unione sovietica, già allora queste case erano armene”, ci dice. “È meglio se il denaro del risarcimento [per la perdita di proprietà] va a coloro che sono stati feriti. Io comunque darà alle fiamme la mia casa prima di andarmene”. All’inizio di gennaio, l’amministrazione regionale di Syunik ha dichiarato che 11 case a Shurnukh erano situate sul lato azerbaijano della strada. Ai proprietari è fornito un ricovero temporaneo.
Dopo aver attraversato Shurnukh siamo arrivati a un posto di blocco militare russo: una tenda presidiata da quattro soldati che controllano la strada diretta a sud, verso Kapan, la città successiva a Goris. Secondo sia il moderno GPS che le mappe dell’era sovietica, i prossimi tre chilometri di strada fanno parte del territorio dell’Azerbaijan e dalla guerra d’autunno sono sotto effettivo controllo azerbaijano. Alla fine di dicembre, lungo la strada, è apparso il cartello “Benvenuti in Azerbaijan”.
Per evitare che i soldati azerbaijani sparino sugli autotrasportatori i servizi di sicurezza armeni hanno istituito una linea telefonica diretta di emergenza. “Normalmente, sono i combattimenti a determinare i territori, non gli accordi”, ha commentato Henrik mentre passavamo.
Pochi chilometri dopo, quando abbiamo raggiunto Kapan, capoluogo della regione di Syunik, le truppe azere erano ben visibili subito fuori città, dall’altra parte dell’aeroporto. “Gli azeri continuano a comportarsi in modo aggressivo”, ci racconta in seguito Vardan Hayrapetyan, il proprietario dell’hotel. “Ci sono soldati azeri da Goris fino a Kapan. Non vediamo la fine di questa guerra”.
“Syunik, la spina dorsale dell’Armenia”
Dopo Kapan, abbiamo raggiunto Meghri, la città più vicina al confine con l’Iran. Nella piazza centrale era aperto un solo caffè. Assya Sarkissian, la proprietaria, è nata a Meghri e gestisce il caffè da quando è andata in pensione dal suo lavoro come guardia di frontiera per il Servizio di sicurezza federale russo (FSB), che controlla i confini dell’Armenia con la Turchia e l’Iran dagli anni ’90.
“Syunik è la spina dorsale dell’Armenia”, ci racconta Assya Sarkissian, spiegando che la regione è ora in difficoltà. “L’attività economica è diminuita durante il Covid, ma la guerra ci ha colpiti ancora di più”.
Come molte persone del posto, Assya è particolarmente preoccupata per la sicurezza. “Non sono più passata dalla strada per Yerevan dai tempi della guerra”, racconta. “Abbiamo paura dagli anni ’90: gli azeri sono imprevedibili. Chi garantirà la nostra sicurezza lungo quella strada?”.
Anche l’hotel di Armen Haroutsounyan è a Meghri e quest’ultimo condivide le preoccupazioni della sua concittadina. “È stato concordato che i russi garantiranno la sicurezza dei camion azeri che passeranno attraverso Meghri. Chi garantirà la sicurezza degli armeni che prendono la strada per Yerevan passando attraverso Nakhichevan?”, si chiede riferendosi alla recente presa di posizione del presidente armeno Pashinyan che ha chiesto che venga riaperta la strada che un tempo collegava Yerevan al confine iraniano dell’Armenia attraverso il Nakhichevan.
A gennaio, Mane Gevorgyan, addetto stampa del primo ministro armeno, ha annunciato che, nell’ambito dei negoziati diplomatici di Mosca, le parti stavano discutendo la possibilità di consentire all’Armenia di utilizzare una linea ferrovia – già esistente – che attraversa Nakhichevan fino a raggiungere l’estremità meridionale della provincia di Syunik. “Vorrei sottolineare che a Mosca non vi è stata alcuna firma su alcun documento che riguardi la questione del Karabakh o su qualsiasi questione territoriale”, ha aggiunto Gevorgyan.
Non è la prima volta che la regione di Syunik – e Meghri, in particolare – sono sotto i riflettori. Gayane Ayvazyan, un ricercatore che studia come l’Armenia si approccia al Nagorno-Karabakh, ci spiega che Meghri è stata al centro del contendere tra Armenia e Azerbaijan fin dai colloqui di pace ospitati negli Stati Uniti a Key West, in Florida, nel 2001.
“Allora si ipotizzava che l’Armenia cedesse Meghri come scambio territoriale in cambio della regione autonoma del Nagorno-Karabakh dell’era sovietica. Armenia e Azerbaijan inizialmente erano d’accordo, ma Heydar Aliyev, all’ultimo, rifiutò di firmare”, sottolinea Ayvazyan. “Ricordo che al tempo chi viveva a Meghri era fortemente contrario all’idea”. Un piano di pace successivo, conosciuto come “I principi di Madrid”, tolse Meghri dalla discussione, ricorda Ayvazyan.
Confini sicuri consentirebbero lo sviluppo economico locale e nazionale, con Meghri a fungere da hub commerciale regionale. Oltre a rappresentare un punto di transito per il gas proveniente dall’Iran, il clima tropicale di Meghri fa si che vi siano fertili terreni agricoli dove si producono kiwi, fichi, melograni, cachi e frutta secca che riforniscono il resto dell’Armenia e vengono esportati in Russia. Nella regione vi sono anche miniere di rame.
Meghri è stata a lungo considerata la chiave per rafforzare i legami economici con l’Iran. Nel 2017, l’allora primo ministro armeno Karen Karapetyan annunciò che proprio a Maghri sarebbe stata istituita una zona economica franca. Investimenti diretti esteri non si sono però mai materializzati e nel 2019 il governo post-rivoluzionario dell’Armenia ha aperto un’indagine per corruzione che avrebbe riguardato la privatizzazione di terreni pubblici che sarebbero poi stati utilizzati per creare la zona franca.
“Abbiamo vissuto un lungo periodo di opportunità perse”, spiega Vahagn Khachatryan, economista ed ex sindaco di Yerevan. L’Armenia ha attualmente tre cosiddette zone economiche franche, che Khachatryan ritiene potrebbero essere utilizzate per stimolare la produzione locale. Meghri potrebbe essere particolarmente attraente per le aziende miste iraniano-armene, poiché entrambi i paesi fanno parte dell’Unione economica dell’Eurasia. Khachatryan aggiunge che tra le priorità vi dovrebbero essere la costruzione di una fonderia di rame a Meghri, in modo che il minerale estratto localmente possa essere lavorato piuttosto che esportato grezzo e lo sviluppo di infrastrutture idroelettriche sul fiume Araks, che corre lungo il confine iraniano.
Il vice primo ministro dell’Armenia, Mher Grigoryan, ha dichiarato a OpenDemocracy, via e-mail, che “un nuovo modus operandi per la Meghri FEZ [zona economica franca] è in fase di sviluppo da parte del ministero dell’Economia dell’Armenia e sarà annunciato nei prossimi giorni”.
Vahagn Khachatryan, che si è candidato al parlamento nel 2017 per una piattaforma politica che sosteneva la necessità di pace e la riconciliazione con i vicini dell’Armenia, è più cauto. “Mi rendo conto che non è molto facile, ma l’Armenia deve persuadere i suoi vicini che vogliamo solo vivere in pace e in collaborazione economica, il che sarebbe reciprocamente vantaggioso”. Pur riconoscendo che la società armena è ancora sotto shock per la guerra ed ha bisogno di tempo per prepararsi alla pace e al commercio.
Un’agenda poco chiara
Il corridoio di trasporto proposto che dovrebbe collegare l’Azerbaijan con la sua enclave di Nakhichevan si dovrebbe estendere da est a ovest attraverso la regione di Syunik, nel sud dell’Armenia. “Ma, oltre alla questione dell’ostilità al progetto da parte dell’opinione pubblica armena, non è ancora chiaro come funzionerebbe nella pratica il corridoio e come si conformerà al diritto internazionale”, afferma Taline Papazian, professoressa all’Università di Aix-Marseille in Francia e a capo dell’ong “Armenia Peace Initiative”.
“Chi ne garantirà la manutenzione e lo status legale una volta che la strada sarà completata? Chi controllerà la strada e quali valute vi potranno essere utilizzate? Quali tipi di merci, armi e personale potranno circolarvi? E forse la cosa più importante per Syunik: sarà collegata a Meghri o ad altre città armene?”, si chiede Taline Papazian.
Le risposte a queste domande saranno probabilmente determinate, almeno in parte, dalla Russia, il principale intermediario dell’accordo di pace. “Comprendiamo che la priorità per la Russia è aprire strade e ferrovie per consentire un trasporto rapido ed efficace per creare aperture nella regione”, aggiunge Papazian. Nell’immediato, tuttavia, lo sviluppo implica buone relazioni e una più stretta cooperazione tra Armenia e Azerbaijan. “Senza questo, gli effetti attesi dell’apertura – e questo riguarda tutti gli attori coinvolti – non si vedranno”, sottolinea Taline Papazian.
Il vice primo ministro dell’Armenia ha rifiutato di commentare i piani specifici previsti per i prossimi incontri con i rappresentanti azeri e russi. “L’obiettivo è trovare la formula migliore e più efficiente per la cooperazione che alla fine contribuirà ad aumentare le esportazioni, a promuovere gli investimenti e a ridurre i prezzi delle importazioni”, ha affermato Mher Grigoryan. “In questa fase, stiamo considerando e valutando tutte le possibili opzioni”.
Gerard Libaridian, accademico ed ex diplomatico, ha dichiarato a Open Democracy che proprio le rotte di trasporto sono viste da Russia, Turchia e Azerbaijan come fondamentali, il che spiega la loro importanza nell’accordo di novembre. Questioni come il futuro status del Karabakh e il destino dei prigionieri di guerra armeni sono state finora relegate in secondo piano nei negoziati.
Più importante per l’Armenia, ha detto Libaridian, ex consigliere del primo presidente del paese Levon Ter-Petrosian, è la domanda “Cosa fare per limitare la sconfitta e la diminuzione del livello di sovranità dell’Armenia?”. Per l’Armenia – continua Libaridian – potenziali opportunità economiche dovrebbero essere viste “contesto politico-strategico all’interno del quale queste sono diventate possibili”.
Una tabella di marcia per la crisi elaborata dai rappresentanti della società civile armena a dicembre si è concentrata sulle conseguenze della guerra in Armenia e suggerisce che l’autostrada Nakhichevan-Azerbaijan dovrebbe essere negoziata “solo alla fine”. Libaridian ha affermato che la situazione attuale può essere meglio definita come assenza di guerra e come “processo di pace” più imposto che negoziato.
La rivoluzione ha raggiunto la regione di Syunik?
A Syunik, l’ansia per ciò che verrà è mitigata da un senso di autosufficienza nei confronti dei centri urbani dell’Armenia. Alcune persone che abbiamo incontrato scherzavano dicendo di star ancora aspettando che la rivoluzione del 2018 – guidata dall’attuale primo ministro Nikol Pashinyan – raggiungesse la regione (nel 2018, ad esempio, gli elettori del capoluogo Kapan hanno eletto un sindaco indipendente invece di un candidato sostenuto da Pashinyan).
Diverse persone che abbiamo incontrato hanno espresso la preoccupazione che gli interessi dei residenti di Syunik – che sono particolari, a causa della loro vicinanza a diversi confini – fossero trascurati dai leader armeni e che fosse necessaria una qualche forma di convivenza con l’Azerbaijan.
“Occorre smetterla di farsi prendere dal panico e avere pazienza per capire qualcuno che vive vicino ai confini”, afferma Assya Sarkissian, la proprietaria del caffè a Meghri. Hayrapetyan. Il direttore dell’hotel è stato ancora più schietto: “La guerra è un problema della politica elitaria”, ha detto. “Ci prendiamo cura dei nostri figli proprio come gli azeri si preoccupano dei loro. Ero un ingegnere edile e ho lavorato con gli azeri. La gente di Yerevan fa affari all’estero con gli azeri in Russia. Dobbiamo vivere con i nostri vicini, dobbiamo costruire la pace. Abbiamo già avuto 30 anni di tensione. Non possiamo andare avanti così per altri 30 anni”.
Henrik, il nostro autista, non è stato meno diretto: “Riceviamo meno aiuti del Karabakh”. Due dei suoi fratelli hanno combattuto a Jabrayil, una parte del Karabakh occupata dagli armeni fino ad una battaglia particolarmente cruenta nello scorso ottobre.
Tatevik Hovhannisyan, una politologa originaria di Kapan, ha dichiarato a OpenDemocracy che il governo armeno non è riuscito a tenere adeguatamente informato il pubblico sulla guerra e le sue conseguenze, il che – nella regione di Syunik – ha portato al panico e alla sfiducia. “C’è una mancanza di comunicazione tra il governo e le istituzioni, [o con] le autorità elette locali, così come con il pubblico in generale”, ha sottolineato. “Ai cittadini non viene detto cosa aspettarsi e cosa fare”.
A metà gennaio, il governo armeno ha istituito una task force interministeriale per “gestire le attività per individuare i problemi esistenti nella regione di Syunik e per affrontarli in modo operativo” dopo la guerra. Solo uno dei 16 membri della task force, Melikset Poghosyan, governatore di Syunik recentemente nominato, proviene dalla regione. Gli altri sono viceministri o funzionari di altri organismi statali. “Nessuno a Syunik sa di questo nuovo ente”, afferma Tatevik Hovhannisyan. “Questo la dice lunga anche sulla mancanza di comunicazione”.
Un portavoce dell’amministrazione regionale di Syunik ha rifiutato di commentare la situazione nella regione, affermando solo che molte questioni erano diventate molto delicate. “Quando c’è un cambiamento significativo nella vita, è ovvio vi siano delle preoccupazioni”, ha dichiarato Karen Hambardzumyan, ex governatore di Syunik ed ora parlamentare della coalizione “Il mio passo”, che governa l’Armenia. “In generale, tuttavia, posso dire che nella regione di Syunik non siamo né irrequieti, né spaventati e nemmeno depressi”.
Fine della strada
Nell’area in cui la strada da Yerevan raggiunge il confine iraniano, incontra il fiume Araks, che scorre vicino al confine. Dominato da una serie di torri di guardia, il fiume – che dalla Turchia scorre attraverso Nakhichevan e lungo il confine con l’Iran – è protetto da una recinzione originariamente costruita per impedire alle persone di fuggire dall’Unione Sovietica. Prima della pandemia, gli agricoltori armeni locali vendevano i loro prodotti nel mercato iraniano, immediatamente dall’altra parte del confine.
In una trattoria che si affaccia sulla piazza centrale del villaggio di Agarak, al valico di frontiera con l’Iran e vicino all’enclave di Nakhichevan dell’Azerbaijan, Anna Vardanyan prepara il pranzo ai camionisti di passaggio. “Non importa dove verranno tracciati i confini, sarò sempre io a lavare i piatti”, ci dice.
“Fin dalla rivoluzione Pashinyan ha guardato alla gente comune”, continua. “Tutti ricevono regolarmente la pensione e sono quindi in grado di pagare le proprie bollette. Prima della rivoluzione dovevamo pagare le tasse senza che le nostre pensioni di vecchiaia venissero pagate per mesi”.
In una stanza separata del ristorante, tre uomini stanno pranzando mentre fumano. Aram Hayrapetyan, Gor Lachinyan e Leo Zakaryan, armeni, appena ventenni, per vivere trasportano salumi da Kapan ad altre zone della regione di Syunik. Durante la guerra hanno combattuto anche a Jabrayil. “Utilizziamo la strada Goris-Kapan anche se è pericolosa. Gli affari devono andare avanti”, commenta Aram Hayrapetyan.
A dicembre, i partiti di opposizione hanno promosso una manifestazione di massa a Yerevan chiedendo le dimissioni del primo ministro Pashinyan, per protestare contro l’accordo di pace di novembre. La gente nella trattoria di Anna Vardanyan si arrabbia contro chi manifestò allora. “Non si vergognano?”, dice Anna. “’Sono stati i governi precedenti che non sono riusciti a prepararci per questi droni [forniti dalla Turchia all’Azerbaijan]. Non c’era niente che il governo armeno potesse fare contro di loro. Pashinyan ha fatto bene a fermare quello che sarebbe stato un bagno di sangue”.
Leo Zakaryan, uno dei tre camionisti, è ancora più diretto: “Chi protesta porta alla rovina l’intero paese”. Nelle elezioni politiche anticipate annunciate prima della fine dell’anno i residenti della regione di Syunik avranno presto la possibilità di esprimere un giudizio su Pashinyan e sull’agenda dello sviluppo economico del dopoguerra. Tornando a Meghri, Assya Sarkisyan lancia un appello per l’unità: “Quello che mi preoccupa di più è la lotta per la carica di primo ministro. Occorre mostrare intelligenza e fermare queste lotte di potere. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia forte nelle proprie azioni e nella propria strategia”.