Dopo il riconoscimento del genocidio in Germania, armeni in Turchia nella paura. Arcivescovo armeno “solidale” con Erdogan (Asianews 08.06.16)
I cittadini turchi di origine armena e gli immigrati armeni temono ritorsioni e violenze dopo la decisione del parlamento tedesco di riconoscere il genocidio armeno. In una lettera a Erdogan mons. Aram Atesyan parla di “strumentalizzazione” della tragedia. Il prelato vuole difendere la comunità da attacchi, ma è accusato di scarso coraggio dai fedeli.
Istanbul (AsiaNews) – Il riconoscimento da parte del Bundestag tedesco del genocidio armeno e della corresponsabilità della Germania nella strage fomenta nuove polemiche in Turchia e nel panorama internazionale. Berlino è stata all’epoca dei fatti (1915) alleata, presente e compartecipe della distruzione di elementi cristiani – armeni, aramaici, siriaci, greci – nell’Impero Ottomano . E la decisione tedesca di fare “mea culpa” è stata fonte di gioia per la diaspora armena sparsa per il mondo. Fra i motivi di festa, il fatto che la Germania non vanta al suo interno una nutrita comunità armena; al contrario, essa ospita tre milioni di turchi e, secondo logica, avrebbe dovuto continuare a optare per la via del negazionismo adottata in questi ultimi 100 anni. Tuttavia, non si può dire lo stesso per i 100mila cittadini turchi di origine armena, ancora oggi presenti in Turchia, che si sentono intrappolati nella morsa del risentimento e oggetto di rappresaglie di gruppi ultra-nazionalisti. Questi ultimi sono fomentati e sostenuti dal governo di Ankara, dai servizi segreti turchi e dagli apparati militari. La reazione veemente, e ormai proverbiale, del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha fatto scattare i campanelli d’allarme. In un intervento televisivo del 5 giugno scorso, egli ha minacciato di “espellere” gli oltre 100mila armeni dalla Turchia, così come gli immigrati di origine armena presenti oggi nel Paese. Cittadini turchi di origine armena interpellati da AsiaNews riferiscono che nei loro quartieri “domina un clima di paura”. La campagna mediatica della stampa governativa ha assunto livelli di “armenofobia” tali che possono istigare reazioni inaspettate, come è avvenuto spesso a Istanbul nel corso della storia della Repubblica turca. Un insegnante armeno in pensione afferma che gli armeni della Turchia “si sentono ostaggi” e, se da un lato “si rallegrano” per il “trionfo della giustizia” e del “colpo mortale che la Germania ha sferrato al circolo vizioso della vile menzogna del negazionismo”, dall’altra si guardano bene “dall’esternare questa gioia” e si aspettano di “pagarne il prezzo”. “Quello che la Turchia non riesce ad accettare – continua il docente – è che la Germania abbia ammesso le proprie corresponsabilità nell’annientamento del popolo armeno, togliendo così ad Ankara la possibilità di negare la propria parte di responsabilità”. E conclude: “Ora viviamo nel terrore”. Nel tentativo di calmare le acque, l’arcivescovo armeno ortodosso e vicario patriarcale di Istanbul mons. Aram Atesyan – che nutre l’ambizione di diventare futuro patriarca col benestare di Erdogan – ha inviato ieri una lunga lettera di “dispiacere e solidarietà” al presidente turco. Il prelato ha espresso il “rammarico suo e degli armeni (sic!)” per la risoluzione adottata dal parlamento tedesco, definendola un “abuso della nazione armena da parte dei poteri imperialisti”. Nella lettera, che ha trovato ampio spazio all’interno della stampa turca, soprattutto in quella legata al partito di governo, il vicario armeno ha persino messo in dubbio il fatto che questa risoluzione possa “rappresentare la volontà del popolo tedesco”. “Come abbiamo affermato in altre occasioni – ha continuato mons. Atesyan – utilizzare la tragedia che ha traumatizzato la nazione armena sul piano della politica internazionale provoca pena e dolore”. Egli ha ripetuto in sostanza le stesse parole espresse dal presidente turco il 5 giugno, nel suo intervento di fuoco contro la Germania; parole condannate dalla stessa cancelliera tedesca Angela Merkel, che le ha definite “inammissibili”. Il vicario ha quindi aggiunto che “il dolore storico” è utilizzato “come strumento per accusare e punire lo Stato turco e la nazione intera”. La situazione e la posizione del vicario, futuro possibile patriarca della sede di Istanbul, sono comprensibili in quanto giustificati dall’obbligo di proteggere il suo gregge dall’ira di un nazionalismo ed estremismo islamico dilagante nella Turchia di Erdogan. Tuttavia, parte della stampa armena e in particolare quella legata alla diaspora – in mano ai discendenti delle vittime del genocidio – hanno criticato il “mancato coraggio di un successore degli apostoli di Cristo”, che dovrebbe dire la verità “ad ogni costo”. Gli armeni della diaspora invitano mons. Atesyan ad agire “come vero capo della Chiesa di Cristo” e imparare dal papa il valore del “coraggio”. Il riferimento è alle parole di papa Francesco, che ha chiamato “il male con il suo nome”, in occasione del centenario del Genocidio armeno celebrato il 12 aprile scorso nella basilica di San Pietro. (PB) |