Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Pasqua (AciStampa 03.04.21)
Di Andrea Gagliarducci – Città del Vaticano, 3 aprile, 2021
Dalla via di uscita alla pandemia ai conflitti nel mondo, dalla persecuzione dei cristiani all’attenzione per gli ultimi e gli emarginati: cosa aspettarsi dall’Urbi et Orbi di Papa Francesco nel giorno di Pasqua? Anche se il messaggio a Roma e al mondo non verrà, per il secondo anno consecutivo, pronunciato dal balcone della Loggia delle Benedizioni, ma all’interno della Basilica Vaticana, in una atmosfera meno festosa e meno partecipata, le parole del Papa alla città di Roma e al mondo intero hanno sempre un certo impatto.
Di cosa parlerà dunque il Papa? Una idea si può avere dagli appelli che ha fatto recentemente al termine delle udienze generali e nelle preghiere dell’Angelus: c’è la difficile situazione in Nigeria, quella in Myanmar, anche il conflitto nel Caucaso. Ma c’è anche il Sud Sudan, sempre guardato da Papa Francesco con un occhio di riguardo; la costruzione del mondo post pandemia, con una particolare alla destinazione universale dei vaccini, in particolare dei più poveri; il conflitto israelo-palestinese, sempre menzionato dal Papa nei messaggi che hanno anche una ricaduta diplomatica. E ancora: il conflitto in Mozambico, il recente attentato della Domenica delle Palme in Indonesia. Alcuni dei temi si possono trovare nelle recenti attività della Santa Sede, delle nunziature, delle ambasciate presso la Santa Sede, di alcuni episcopati. Ecco i principali della scorsa settimana.
FOCUS CAUCASO
Armenia, il ministro degli Affari Esteri a colloquio con l’arcivescovo Gallagher
Il Ministero degli Affari Esteri armeno ha comunicato che lo scorso 31 marzo Ara Aivazian, ministro degli Affari Esteri, ha avuto una conversazione telefonica con l’Arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario delle relazioni con gli Stati vaticano.
Secondo il ministero, Aivazian ha “riaffermato che l’Armenia ha pronta ad approfondire ulteriormente e rafforzare le relazioni con la Santa Sede sulla base dei valori storici e universali che condividono pienamente. Hanno anche scambiato vedute sui passi da prendere per rafforzare il dialogo e i contatti di alto livello”.
Il ministero ha anche reso noto che durante la conversazione si è parlato anche “della sicurezza e della stabilità della regione”, e che il ministro degli Esteri ha ricordato come Papa Francesco abbia chiesto “la fine delle ostilità e la pace nel periodo post guerra”.
Aivazian – si legge ancora nella nota – ha spiegato all’arcivescovo Gallagher “i passi fatti per affrontare le questioni umanitarie” in quello che viene definita come “una aggressione turco-azera”; ha notato l’urgenza di “un sicuro rimpatrio dei prigionieri armeni”; ha “condannato con forza l’urgenza di preservare l’eredità religiosa e culturale armena nei territori sotto il controllo dell’Azerbaijan”; ha enfatizzato l’intervento della comunità internazionale”.
Sempre sul fronte del conflitto azero-armeno per i territori del Nagorno Karabakh (Artssakh in Armeno) è da segnalare che il Dipartimento di Stato USA ha pubblicato lo scorso 30 marzo il Rapporto 2020 sulle Pratiche Umanitarie, e ha dedicato anche una disamina alla situazione in Nagorno Karabakh.
Il rapporto parla di “significativi problemi umanitari” degli azeri, tra cui “uccisioni illegali o arbitrarie; torture; detenzione arbitraria; condizioni di detenzione difficili e a volte a rischio della vita”. Inoltre, il rapporto fa specifica menzione della situazione in Nagorno Karabakh, sottolinea che “il governo non ha sanzionato o punito la maggioranza degli officiali che hanno commesso abusi umanitari”,
Il rapporto del Dipartimento di Stato USA segnala anche due video diffusi riguardo degli abusi di alcuni soldati azeri “umiliati e uccisi” nella città di Hadrut, video considerato “genuino e autentico” da esperti e indipendenti, e lamenta “l’uso di missili di artiglieria, droni e bombe, nonché munizioni a grappolo che hanno colpito civili e zone civili nel Nagorno Karabakh”, accuse di aver colpito strutture civili “negate” comunque dal governo azero.
Il rapporto ha anche una sezione su “soldati e civili abusati dalle forze azere”, che si basa su rapporti definiti “credibili”, documentando un gran numero di persone e prigionieri di guerra.
La posizione dell’Azerbaijan
Ma come nasce il conflitto armeno-azero in Nagorno Karabakh? La regione, a maggioranza armena, era stata data all’Azerbaijan su decisione di Stalin. Nel momento in cui l’Azerbaijan aveva deciso di lasciare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, un referendum aveva costituito il nuovo stato della federazione. Gli azeri reagirono militarmente, e ci fu un accordo di cessate il fuoco nel 1993. Da allora, le tensioni sono rimaste latenti, e sono arrivate quasi ad un aperto conflitto lo scorso agosto, e poi ad un vero e proprio conflitto che si è concluso con un accordo doloroso per gli armeni, i quali hanno visto molti monasteri storici passare sotto la giurisdizione azera.
Da allora, è stata lamentata una perdita del patrimonio cristiano nella regione, secondo una distruzione considerata sistematica da diverso tempo. Recentemente è stata segnalata da un reportage della BBC la scomparsa di una chiesa armena nei territori ora sotto il controllo azero.
Mammad Ahmadzada, ambasciatore di Azerbaijan presso l’Italia, ha voluto sottolineare che la regione del Nagorno Karabakh ha anche una storia che lo lega all’Azerbaijan. “Dai tempi antichi fino all’occupazione dell’Impero zarista nel 1805 con il trattato di Kurakchai – scrive Ahadzada – questa regione era parte di diversi stati azerbaigiani, da ultimo il khanato di Karabakh. Nel 1828, alla firma del trattato di Turkmanchay, al termine della guerra Russia- Iran, seguì un massiccio trasferimento di armeni nel Caucaso del Sud, in particolare nei territori dei khanati azerbaigiani di Irevan (attuale Yerevan, capitale dell’Armenia) e di Karabakh. Il flusso migratorio è proseguito fino all’inizio del XX secolo”.
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L’ambasciatore lamenta che lo Stato di Armenia è stato “creato nel territorio dell’Azerbaijan”, e “ampliato durante il periodo sovietico a spese della superficie azerbaijana”, mentre la provincia del Nagorno Karabakh fu creata nel 1923 con “confini amministrativi definiti in modo che gli armeni fossero etnia maggioritaria”.
L’amabasciatore accusa l’Armenia di “non aver riconosciuto autonomia per la minoranza azerbaijana”, e anzi ha promosso “un clima di intolleranza”, fino nel 1988 ad avviare “rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaijan”, deportando allo stesso tempo tutti gli ultimi azerbaigiani (più di 250 mila) in Armenia dalle loro terre natali”.
Per Ahmadzada “le radici del conflitto sono dunque nel trasferimento degli armeni nei territori azerbaigiani, oltre che nella decisione di creare una provincia autonoma nella parte montuosa della regione del Karabakh dell’Azerbaigian”.
L’ambasciatore parla di una “occupazione armena” dei territori azeri dopo la dissoluzione dell’URSS, denuncia “un genocidio contro civili azerbaigiani nella città di Khojali”, sottolinea che il conflitto ha “causato più di un milione di rifugiati e profughi azerbaigiani, senza lasciare un singolo azerbaigiano nei territori occupati”.
Ahmadzada afferma che l’ultimo conflitto nasce da provocazioni armene, che ora l’Azerbaijan ha già avviato nei territori acquisiti al termine del conflitto “un’imponente opera di ricostruzione, nel pieno rispetto e protezione della cultura e della diversità religiosa”.
Riguardo la chiesa scomparsa, l’ambasciatore sottolinea che “la cappella è stata costruita nel 2017 durante il periodo in cui l’Armenia stava distruggendo le case e il patrimonio culturale degli azerbaigiani a Jabrayil e in altri territori occupati dell’Azerbaigian, da dove tutti gli azerbaigiani erano stati espulsi dall’esercito dell’Armenia”.
La cappella – dice l’ambasciatore, citando l’OSCE – era stata costruita “come parte di un complesso militare a Jabrayil”, e per questo “non può essere considerata parte della storia culturale”. Piuttosto, l’ambasciatore lamenta le distruzioni armene nella regione, denunciando che l’Armenia “ha condotto una pulizia culturale e numerosi crimini di guerra nei territori un tempo occupati, inclusa la distruzione di 927 biblioteche, più di 60 moschee, 44 templi, 473 siti storici, palazzi e musei”, e allo stesso tempo “non ha permesso alle missioni internazionali di visitare i territori occupati”, nonostante l’Azerbaijan abbia chiesto all’UNESCO una missione di accertamento.