DIARIO DI VIAGGIO. Caucaso: i monasteri armeni e il lago di Sevan (mbnews.it 29.05.19)

Immersi tra luoghi ricchi di storia e ampi spazi naturalistici. Gli studenti dell’indirizzo turistico dell’Istituto Vanoni continuano il progetto “Viaggi diversi”. Nuova meta? Il Caucaso, ai confini tra Europa e Asia. Dopo i viaggi e reportage degli scorsi anni, tra cui il Marocco la Grecia e la Spagna, gli allievi della 3D e 3E si trasformeranno ancora in guide turistiche per i professori, i loro stessi compagni e i lettori di Mbnews.

Durante il tour, già preannunciato dal nostro giornale, saranno 5 le tappe che si raggiungeranno: Yerevan, Lago di Sevan, Parco nazionale di Dilijan, Kazbegi e Tbilisi. Partiti il 24 maggio, gli studenti attraverseranno così le due repubbliche della Transcaucasia, l’Armenia e la Georgia. L’iniziativa, che durerà fino al 31 maggio, non sarà solo un viaggio culturale ma una vera esperienza di alternanza scuola-lavoro, organizzata in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia, che sarà ente esterno per la certificazione.

Per godere delle bellezze del territorio e comprendere la storia del popolo, la partenza è stata preceduta da mesi di studio e approfondimento della cultura dello stato visitato. Per questo progetto gli studenti, come da veri tour operator, dovranno infatti occuparsi di aggiornare il sito, pubblicare contenuti sulle pagine Facebook , Instagram e il canale YouTube. Grazie alle idee proposte dagli insegnanti e all’impegno dei ragazzi nel raccontare le loro avventure, “Viaggi diversi” ha ricevuto il patrocinio del Touring Club Italiano.

Le giovani guide turistiche non saranno sole, all’iniziativa parteciperanno i docenti referenti del progetto, la professoressa di Storia dell’Arte Marilena Scarpino e il professore di Geografia Alfio Sironi. Presenti anche la Dirigente Scolastica, Elena Centemero, e l’esperto di foto e videomaking Oscar Bede.

1° TAPPA:  Kiev, Yerevan

Alle 4:00 di mattina ci imbarchiamo per Kiev, la capitale ucraina in cui sosteremo per mezza giornata prima di ripartire alla volta di Yerevan e dell’Armenia, la prima meta del nostro itinerario. Il programma prevede la visita del centro storico e un rientro all’aeroporto nel tardo pomeriggio, ma la giornata non sembra partire bene: le comunicazioni con il popolo ucraino risultano complesse, difficilmente incontriamo qualcuno che capisca l’inglese e la nostra scarsa conoscenza del cirillico ci conduce sul mezzo sbagliato. Ci ritroviamo così su un lentissimo treno che credevamo facesse più fermate e che invece ci porta lontano dal centro storico della città. Non importa, non ci demoralizziamo. Continuiamo col sorriso e decidiamo di procedere a piedi.

La cattedrale di Santa Sofia ci accoglie scintillante con le sue maestose cupole d’oro e la nostra guida del giorno, Sophie, ci spiega che siamo di fronte all’edificio religioso più importante di Kiev, commissionato da Yaroslav il saggio nel 1037 e utilizzato come luogo di sepoltura dello stesso fondatore. Il suo stile è un raro esempio di architettura bizantina, costruita sul modello in scala ridotta della Cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli.

Il viaggio continua. Procediamo per tentativi, faticando a destreggiarci nell’uso di mappe e incomprensibili indicazioni. Orientarsi ci sembra complicato in questa città in cui non disponiamo di internet e gps.

Piazza Maidan ci colpisce per la vastità dei suoi spazi architettonici. Luogo di note manifestazioni e proteste nella storia del popolo ucraino come la rivoluzione arancione del 2004 e le proteste antigovernative del 2014, il Campo dell’Indipendenza è il frutto di un rifacimento urbanistico dei primi decenni del XX secolo.

Dopo un veloce pranzo in piazza ci incamminiamo verso il Monastero delle Grotte. Gli spazi a Kiev ci sembrano infiniti e raggiungere la prossima meta ci porta via molto più tempo del previsto.

La collina di Pecherska Lavra ospita uno dei centri culturali e religiosi più importanti del mondo ortodosso. Su di essa sorge un enorme complesso monastico che, secondo la leggenda, è sorto spontaneamente nel X secolo ad opera del monaco Antonio il Venerabile. Questi, spinto dal desiderio di vivere in solitudine e meditazione, si recò in questo luogo isolato e cominciò a scavare delle grotte in cui man mano arrivarono molti monaci e pellegrini che nel tempo le trasformarono nel centro spirituale più importante della città. Marika ci racconta che il Lavra nei secoli si dotò della prima pressa da stampa dell’Ucraina centro-orientale, favorendo una produzione tale di testi e manoscritti di pregio che contribuirono alla formazione della prima università dell’Europa dell’est, quella di Kiev.

Nel pomeriggio ormai inoltrato ci accorgiamo che raggiungere l’aeroporto sarà più difficile del previsto. L’ora di punta e le distanze impreviste ci conducono molto lentamente, forse troppo lentamente, con una margine di soli dieci minuti di anticipo, a quello che scopriamo essere l’unico treno che ci riporterà all’aeroporto. L’imprevisto fa da padrone in questa strana giornata di mezzo. Per miracolo la preside e i docenti riescono ad acquistare i biglietti mentre noi, gesticolando, preghiamo il conduttore di attenderci un pochino. Sfoderiamo sorrisi, planiamo a braccia aperte sulla banchina indicando il cielo, finché sul fischio del treno li vediamo in corsa verso di noi. Biglietti alla mano ci indicano urlando di salire, e noi saliamo spintonando la folla.

Sventato il pericolo di perdere l’aereo, ci accasciamo stanchi ma entusiasti sugli zaini gettati a terra. La stanchezza ormai impera nel gruppo. Gli sguardi si spengono. È ora di riposare, eppure neanche questo sembra essere così scontato in questo strano inizio dell’avventura caucasica. Una volta atterrati, il bus ci conduce nell’hotel sbagliato. L’autista parla solo armeno e Yerevan ci sembra buia e desolata a mezzanotte. Eppure anche stavolta riusciamo a intenderci gesticolando e raggiungere la nostra meta.

La giornata successiva parte sotto un bel sole. Lasciamo la città per avventurarci tra le prime montagne fuori Yerevan. Il paesaggio cambia: si aprono vallate e montagne, i paesi diventano villaggi di piccole case povere. La prima tappa è il monastero di Ghegard. Incastonato dentro una parete di roccia, il monastero è famoso soprattutto per una fonte d’acqua naturale che scorre al suo interno e dona giovinezza eterna. I pellegrini armeni fanno la coda per accendere una candela e dire una preghiera, mentre dentro l’oscurità del monastero si tiene un concerto di sole voci femminili, un momento commovente per la sua bellezza.

Ci spostiamo a Garni. Un villaggio piuttosto grande con tante case dai tetti di lamiera, qualche chiosco con bibite e souvenir e mucche che pascolano a bordo strada. Qui arrivano molti turisti per osservare il tempio greco romano di Garni. In stile ionico, il tempio è l’unico simbolo rimasto nel paese dell’Armenia precristiana. Salendo sul  colonnato si possono scorgere impressionanti paesaggi delle gole di Garni, ricchissime di colonne di basalto ottagonali che vorremmo andare a vedere. I nostri compagni espongono il loro lavoro di ricerca, mentre grandi nuvole nere si accumulano sopra la nostra testa. Nonostante il cielo lasci intuire che fra poco pioverà, ci avventuriamo per il trekking che avevamo progettato a casa: quello al monastero di Havuts Tar passando per le gole. Scendiamo prima lungo una acciottolata che costeggia il promontorio su cui si erge il tempio. Prendiamo sentierini fangosi e pieni di enormi pozzanghere. Dopo mezzora di cammino siamo scesi nel fondo della gola. Di fianco a noi scorre chiassoso il fiume Azat. Inizia a piovere intanto: siamo indecisi su cosa fare. Andare avanti rischiando di prenderci in testa un diluvio o rientrare alla base? Ci guardiamo in faccia per un secondo e poi qualcuno di noi dice: “ragazzi, ma quando ci ricapita di essere qui? Non saranno due gocce di pioggia a fermarci!”. Il gruppo pian piano si affiata. Proseguiamo ancora per un po’ fino ad arrivare ad ammirare una delle zone più belle dal punto di vista geologico. Gli armeni questo sito  lo chiamano canne d’organo, perchè guardando dal basso le colonne di basalto dà l’impressione di guardare le tante canne di un organo enorme. Inizia a piovere più fittamente. Dovremmo inoltrarci nel cuore della riserva di Khosrov e da lì raggiungere Havuts Tar, ma decidiamo sia saggio rientrare alla base. La salita sarà tutta sotto la pioggia.

Tornati a Garni è tempo di pranzo.

Il nostro autista Sargis ci porta in una strada secondaria, piena di alberi di noci e case di pietra. Ci chiediamo un po’ dubbiosi dove sia il ristorante. Si apre d’improvviso un portone di legno alla nostra destra e veniamo invitati ad entrare in uno splendido giardino racchiuso da muri di pietra. Lì, sotto una bella tettoia, viene servito un tipico pasto armeno: si inizia con verdura e formaggi, si passa poi a della carne grigliata e si conclude con una fetta di un morbido pandolce con ripieno di burro e zucchero. Durante il pranzo assistiamo anche alla preparazione del lavash, il sottilissimo, onnipresente sulle tavole e tipico pane armeno. Le signore stendono la pasta sottile su un telaio rigido rettangolare, ricoperta da un telo. Poi con un colpo secco lo appiccicano sulle pareti verticali del forno tandoori, che i prof ci dicono essere tipico di tutta l’Asia centrale.

Ripartiamo alla volta di Yerevan dopo il grande banchetto. Ripartiamo… in verità ritroviamo il nostro pullman con la batteria a terra e rimaniamo fermi per un’ora in cerca di una soluzione. Prima si fermano dei ragazzi del villaggio con una vecchia Lada, si prova ad attaccare i cavi, ma la batteria della vecchia auto sovietica, non riesce a sostenere quella del pullman. Poi si ferma un pullman che ha appena scaricato turisti al tempio. Si collegano i cavi, ma anche questa volta il tentativo fallisce. Presi da una certa disperazione alcuni uomini del posto insieme al prof. Sironi si mettono a spingere a mano il bus: dopo 300 metri di spinta il pullman magicamente riesce a riavviare il motore. Una scena divertentissima che ci fa calare ancora di più nello spirito di questo viaggio diverso!

Siamo salvi!

Tornati a Yerevan partiamo per una visita del centro storico da Piazza della Repubblica. Bella, ampia, imponente nelle sue geometriche architetture realizzate  in tufo rosa e giallo, che combinano gli stilemi neoclassici con la tradizione armena. Poi, desiderosi di portare a casa un ricordo dell’Armenia, facciamo un salto al vernissage, il mercatino di prodotti artigianali – lungo quasi cinquecento metri – che sta a pochi passi dal centro.

Proseguiamo sulla pedonale che porta verso il monolitico teatro dell’opera godendo delle architetture che caratterizzano la città e che devono molto ad Alexander Tamanian, l’architetto che ha ridisegnato il volto dei principali luoghi storici di Yerevan su richiesta del governo sovietico allora in vigore. Il risultato dei suoi interventi, tuttavia, non è stato quello neoclassico di Mosca e Leningrado, ma una originale commistione di uso di materiali locali, come il basalto nero, e il suo amore per Palladio.

Arrivati al palazzo dell’opera troviamo un comizio di qualche partito politico. Non capiamo niente di quanto si dice, ma campeggiano sopra il palco bandiere del Nagorno-Karabakh, la più spinosa questione politica per gli armeni, inerente la zona del paese che rimane contesa con l’Azerbaigian a seguito del conflitto del 1993.

Infine, arriviamo alla Cascademonumento celebrativo del tempo sovietico, più di cinquecento scalini che si ergono verso il cielo, una piramide della modernità, una cascata sì, ma di  solido cemento. Al suo interno si sviluppa oggi il più importante museo di arte contemporanea della città, ai suoi pieni si possono trovare tante opere anche di artisti del calibro di Botero. Dall’alto ascoltiamo i nostri compagni parlare della città e ci perdiamo a guardare il tramonto. Rimaremmo lì per ore, ma la cena nei bei locali all’aperto di Piazza della Libertà ci chiama. Di sera Yerevan è piena di vita, di gente, di locali che ci piacciono e che, se avessimo più tempo, ci farebbero fare una sosta per un aperitivo.

Concludiamo così una lunga giornata di visite. Ci aspettavamo un Armenia poco turistica e forse anche con delle città un po’ tristi, abbiamo trovato un paese in cui il turismo si sta espandendo e una città piena di vita.


Sono in viaggio in Caucaso e noi li stiamo seguendo virtualmente pubblicando i loro racconti. Gli studenti della 3D e 3E dell’Istituto Vanoni di Vimercate, indirizzo Turismo ci stanno raccontando giorno per giorno il loro tour che hanno interamente programmato con il progetto “Viaggi Diversi” allo scopo di approfondire la materia dell’Itinerario turistico.

Bellissimo progetto!

TAPPA 2

Il caldo sole del mattino erevanita ci dirige verso una nuova meta, sono le 9 quando salendo sul pullman di Sargis ci accorgiamo che la stanza 307 manca all’appello. Con 10 minuti di ritardo carichiamo le nostre pesanti valigie e, ancora assonnati per la frenetica giornata passata, partiamo verso Khor Virapuno dei tanti monasteri che caratterizzano il territorio armeno.

Khor Virap, situato alle pendici del monte Ararat, noto per la leggenda che narra lo sbarco dell’arca di Noè, è uno dei primi monasteri ad essere eretto da San Gregorio l’Illuminatore, colui che costruendo molteplici chiese sopra i templi pagani, riuscì a diffondere e predicare il cristianesimo in Armenia.

Durante la visita abbiamo notato un fenomeno che non ci saremmo mai aspettati da un paese come questo: gente di tutto il mondo affollava l’intero monastero togliendo quell’atmosfera sacra che dovrebbe caratterizzate luoghi come questo. Sperando di avere un attimo di pace ci avviamo verso il secondo obiettivo di giornata.

Il viaggio è turbolento con strade impervie percorse in velocità dal nostro autista abituato a questi percorsi tortuosi; pur con qualche brivido osserviamo un paesaggio mozzafiato che abbiamo chiamato: “Il Gran Canyon d’Armenia” che ci accompagna fino al complesso di Noravank.

Giunti a destinazione, entriamo nel sito e esplorandolo per intero. Quello che impressione del complesso di Noravank è che le chiese sembrano uscire dal terreno, fondersi con lo scenario minerale, sembrano fatte della stessa sostanza del paesaggio roccioso che hanno attorno.

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Terminata la visita decidiamo di pranzare a nei pressi di Noravank. Carne alla brace e un tripudio di verdure, tra i sapori l’immancabile aneto, a cui i nostri palati ancora devono abituarsi.

Concluso il pranzo ci rimettiamo in “carrozza” per dirigerci verso la penultima tappa di domenica 26 maggio, il Caravanserraglio di Selim. Si sale vicino al passo omonimo a 2.500 metri d’altezza, in quello che è il vero e proprio tetto d’Armenia.

Durante il tragitto rimaniamo incantati dalla splendida vista che appare ai nostri occhi, immense distese di praterie, caratterizzate dalla presenza di piccoli cumuli di neve non ancora  sciolti, e una distesa infinita di pascoli.

Proseguendo lungo il tragitto Filippo, il nostro esperto ornitologo, ci intrattiene illustrandoci molteplici specie di volatili autoctoni; diverse persone si mostrano interessate, mentre altrettante si sono addormentate (forse) per la stanchezza. Per queste ultime il risveglio sarà magico, davanti alla visione del tanto immaginato lago di Sevan.

Dormiamo in un villaggio turistico sulle rive del lago, ci sistemiamo in piccoli cottage, sotto un cielo che cambia in continuazione: l’ambientazione è quasi esotica.

Passiamo il tempo prima della cena stando in spiaggia. La piccola baia è punteggiata da ombrelloni in paglia tutti spettinati dal vento. Solra le nostre teste: un tramonto estasiante.

Si fa ora di cena e, dopo aver passato giorni mangiando i piatti tradizionali a base di carne, finalmente ecco arrivare in tavola la famosa trota endemica di Sevan. Pesce pregiato che popola il lago e che fin dai tempi dello zar veniva richiesto in mezza Russia ed esportato per migliaia di chilometri nei palazzi del potere prima zaristi e poi sovietici. Le carni, leggermente salmonate, sono gustosissime e compatte: una vera goduria per il palato, ma attenti alle lische!

La notte è fredda a 2000 metri d’altezza e passa lentamente. Risvegliati dal soave cinguettio degli uccellini e dalle onde del “mare d’Armenia”, che si increspano sulla riva, ci prepariamo all’attività del giorno: la navigazione sul Sevan. La nostra guida Giada ci spiega che è il lago d’altaquota più grande d’Europa ed ospita un’ampia varietà di specie animali. Il sole riflette sulle sue acque color smeraldo e noi, accompagnati da un nostromo del luogo, abbiamo  la possibilità di apprezzarne la grande biodiversità.

Attraccati al molo del nostro resort e dopo uno squisito pranzo vista lago, dove incontriamo ancora le carni della trota locale, partiamo per l’ultima visita al Sevan.

Eccoci a Sevanavank, monastero che sorge sulla sponda nord occidentale della penisola di Geghardkunik, nasce dal sogno di Grigor Yeghirvadezi che, richiamato dagli apostoli di Gesù, innalza due di quelle che oggi sappiamo essere tra le cattedrali più visitate d’Armenia.

Il lago da qui sembra davvero un mare. Percorrere la piccola penisola tra lago e cielo blu è un’emozione bellissima: staremmo qui tutto il giorno!

In seguito abbiamo lasciato il lago e ci siamo inoltrati nel vicino Parco nazionale di Dilijan. Il paesaggio a poche curve dalle rive del Sevan cambia repentinamente, torna ad essere montuoso e ammantato ora di foreste. Lungo la strada per l’hotel in cui sosteremo per la notte ci fermiamo per una breve escursione fino al “Re della foresta” come lo chiamano da queste parti.

Un grande albero in parte scolpito con le sembianze di un monarca, indiscusso padrone del bosco. Una piccola chicca scoperta dopo lunghe ricerche in internet e che oggi si raggiunge con qualche difficoltà poiché il sentiero di accesso ufficiale è chiuso e sbarrato da un cancello con tanto di guardia: bisogna contrattare un po’ per poterci arrivare.

Conclusasi anche questa tappa, siamo rimasti sbalorditi e soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto sia come gruppo che singolarmente. È stata un’esperienza unica e indimenticabile soprattutto nel magnifico luogo in cui ci siamo ritrovati, una meta sconosciuta a molte persone. L’Armenia ci ha sorpresi: appena la si scopre non la si vuole più lasciare.

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