Diana Markosian mette in scena la (sua) storia familiare dal punto di vista della madre ed è poesia (Elle 17.07.21)
L’influenza del piccolo schermo continua a cambiare la vita di generazioni, ma la trama del reale resta più avvincente dei programmi popolari che l’hanno segnata, ispirata e influenzata. Santa Barbara di Diana Markosian nasce così, insieme a nuove prospettive di viaggio e documentario, condensate nelle pagine della monografia di debutto edita da Aperture, un cortometraggio e una mostra omonima esposta al terzo piano del San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA).
Nasce rievocando la storia della sua famiglia, arrivata nella Santa Barbara Californiana, lasciando l’Armenia e le ceneri dell’Unione Sovietica, per inseguire il sogno americano, esportato nelle tv di tutto il mondo dalla celebre Soap Opera statunitense che ne ha ispirato bel più del nome. Usando la finzione per mettere in scena la realtà, scovata in vecchie foto e la parte più profonda di se, Diana Markosian mette in scena la storia familiare dal punto di vista della madre. Guardando per la prima volta Svetlana, non solo come figlia, ma come donna, fotografa, regista e artista, in grado di valutarne da nuove prospettive i sacrifici e dolorose scoperte, Markosian riscrive la trama del viaggio che ha portato sua madre e tutta la sua famiglia a Santa Barbara.
Insieme alla scrittrice della soap Lynda Myles, la fotografa sensibile al cambiamento, documentato per testate come The New Yorker, The New York Times e National Geographic Magazine, riscrive la sceneggiatura della memoria di famiglia e ne dirige il cortometraggio, ripartendo dalle case della sua infanzia con l’accurata ricostruzione scenografica di Freyja Bardell, il guardaroba della costumista Callan Stokes e un selezionato cast di attori. L’attrice Ana Imnadze, con background, spirito e natali perfetti per interpretare al meglio Svetlana, come neanche la fotografa da sola sarebbe riuscita a fare, insieme a sua figlia (Maro Imnadze) scelta per interpretare Diana, aiutano Diana Markosian a colmare le lacune del suo passato e capire le scelte che lo hanno determinato. Tornano nell’Armenia e le sue file per il pane, lasciate per studiare e lavorare a Mosca. La capitale russa dove l’economista con un dottorato di ricerca e due figli, sopravvive al collasso economico e sociale della dissoluzione dell’Unione Sovietica, vendendo al mercato nero vestiti fatti in casa per le bambole Barbie, insieme a quelle matrioska nella Piazza Rossa
La sceneggiatura del cortometraggio che intreccia fotogrammi del serial televisivo a nuovo girato, come le vecchie foto di famiglia e quelle nuove, scattate con una Polaroid degli Anni 80, una Olympus del 1996 e i meccanismi sfuggenti della memoria, amplificati nelle pagine del progetto editoriale che ne moltiplica letture e prospettive, ritornano indietro nel tempo con Svetlana. Rivivono i giorni in cui la prima soap opera americana trasmessa nella tv russa, con la sua saga d’intrighi e amori (interrazziali) tra due potenti famiglie rivali, è tra i pochi confronti della madre di due figli piccoli, mentre il marito Arsen, ingegnere con un dottorato di ricerca, lascia tutti per un’altra donna. Sono i bagliori della tv a rischiarare l’oscurità che ingoia gli attori che interpretano i piccoli Diana e suo fratello David, nel loro minuscolo appartamento a Mosca. Tradita dall’uomo con cui ha sognato un futuro, dal miraggio della Russia post-sovietica e dal destino che continua a perseguitare il popolo Armeno, con i figli a dargli forza e la soap a suggerire barlumi di speranza, Svetlana insegue il suo sogno americano.
“Sono una giovane donna di Mosca e vorrei incontrare un uomo gentile che possa mostrarmi l’America“. A rispondere all’annuncio di questa ‘sposa per corrispondenza’ che un’agenzia locale ha tradotto per i giornali americani, tra tanti uomini anche il destino che ha sognato, o meglio l’uomo che vive a Santa Barbara e la invita a raggiungerlo. Nell’ottobre del 1996, Svetlana sveglia i suoi figli nel cuore della notte e si imbarcano in un volo per l’America. Il pensionato in giacca a vento, jeans e New Balance che li accoglie all’aeroporto di Los Angeles, non somiglia al bel cinquantenne della foto che ha spedito a Svetlana. In compenso offre alla donna trentacinquenne e i suoi figli, una casa spaziosa a Santa Barbara, insieme all’orizzonte dorato della California e del sogno americano.
Scatti e fotogrammi di ieri e di oggi, immaginano il risveglio di Svetlana nella sua nuova vita, il suo primo giorno di lavoro e quello successivo al ritorno a scuola dei figli, il velo che svolazza sul nuovo matrimonio e quello che scende su altre solitudini, insieme agli immancabili segreti e incomprensioni. Il valore aggiunto del progetto, Diana Markosian lo raggiunge però lavorando a stretto contatto con sua madre, fino a comprenderne meglio le scelte difficili che sono costrette a fare molte donne, insieme alla storia di migrazione che condividono con moltissime altre famiglie. Santa Barbara affronta le scoperte dolorose di una figlia, nata a Mosca mentre crollava il muro di Berlino, da genitori che avevano già lasciato i natali Armeni e la sua storia negata. Arrivata in California con la madre che, inseguendo il sogno americano di una soap opera, lo ha raggiunto e superato, come fa spesso la realtà. Offrendo a tutti l’occasione di scegliere una vita diversa da quella a cui sembravano destinati e forse a Diana Markosian gli strumenti giusti per coltivare il suo grande talento.