Dal vino al turismo gastronomico: il riscatto dell’Armenia (Repubblica 13.12.24)
I voli diretti tra Milano e Yerevan partono e tornano sempre pieni: ci sono i russi che passano dalla capitale armena per entrare in Europa ma soprattutto ci sono i turisti, attratti dalle tante sfaccettature di questo piccolo paese del Caucaso. Piccolo solo geograficamente, perché l’Armenia ha segnato la storia mondiale fin dall’antichità: prima nazione ad adottare il cristianesimo come religione di stato (nel 301 d.C.), qui si trova la cantina vinicola più antica del mondo (6mila anni) e la scarpa di pelle più antica, una destra numero 37 creata circa 5.500 anni fa. E se i suoi monasteri, molti dei quali patrimonio Unesco, rappresentano da sempre un richiamo per i viaggiatori, oggi si sceglie l’Armenia anche per i suoi paesaggi naturali, per i suoi ottimi vini e per la ricca cucina.
Turismo in crescita
Non è un caso che Lonely Planet l’abbia inserita nel Best in Travel 2025, la raccolta di previsioni degli esperti su dove viaggiare il prossimo anno. Merito dei paesaggi, della vibrante cultura e della possibilità di fare esperienze destinate a rimanere nella memoria. E, ovviamente, anche della facilità di accesso: dall’Italia la separano quattro ore di volo e i collegamenti aerei sono aumentati rispetto all’anno scorso. La prima è stata Wizz Air, che nel 2023 ha aperto la tratta Venezia Yerevan, seguita quest’anno da voli diretti anche da Milano Malpensa e da Roma Fiumicino. A questi si è aggiunto anche il collegamento diretto di FlyOne da Malpensa alla capitale armena.
Di pari passo, aumenta il numero di visitatori: nei primi otto mesi dell’anno, dall’Italia sono arrivati 12.350 turisti (il 2023 si è chiuso con oltre 14.200). Si registra una crescita costante dal 2019, eccettuati ovviamente i due anni di lockdown, un trend che mette la Penisola tra i mercati target dal punto di vista turistico.
Oltre le rotte di massa
“Essere riconosciuti da Lonely Planet come una delle mete imperdibili per il 2025 – sottolinea Susanna Hakobyan, direttore ad interim del Tourism Committee dell’Armenia – mette in luce il fascino unico, la storia e l’ospitalità che rendono l’Armenia speciale”. L’obiettivo, ora, è far scoprire tutte le sfaccettature del paese, che oltre agli antichi monasteri includono molto altro. Non a caso, lo slogan scelto dall’ente del turismo è The Hidden Track: “Non vediamo l’ora di accogliere visitatori da tutto il mondo per esplorare percorsi meno noti”.
Terra ricca di storia, antica e recente, l’Armenia è una destinazione culturale da scoprire tutto l’anno e dove l’ospitalità è un valore ancora molto sentito. Si parte dalla capitale Yerevan, che nei piani di Aleksandr Tamanian, l’architetto che nel 1924 fece il primo piano regolatore della capitale, doveva essere una città giardino. Oggi qui risiedono un milione di armeni (sono 2,7 milioni in totale) e il centro storico garantisce ristoranti, locali, il monumentale Cascade, l’iconico complesso di scale e fontane simbolo della città con le tre statue di Botero e le altre opere d’arte regalate alla città dal collezionista Gerard Cafesjian, naturalizzato americano ma di origine armena. E poi l’imperdibile Museo di storia dell’Armenia in piazza della Repubblica, fondato nel 1919 per custodire reperti preziosi per l’umanità: dalla scarpa più antica del mondo alla scrittura cuneiforme, fino alla rappresentazione del sistema solare creata oltre mille anni prima della nascita di Cristo. A 20 km da Yerevan si trova la cattedrale Etchmiadzin, patrimonio Unesco: costruita nel 301 d.C., è la sede della Chiesa apostolica armena ed è stata riaperta al pubblico lo scorso settembre dopo anni di lavori di ristrutturazione.
L’identità armena
Fa parte dell’offerta della capitale anche la fabbrica di brandy Ararat, fondata nel 1887 e il cui simbolo richiama quella che a tutti gli effetti è considerata la montagna sacra degli armeni. L’Ararat, dove secondo il racconto biblico si fermò l’arca di Noè, oggi è in territorio turco ma domina l’Armenia e fa parte della sua identità storica e culturale: un’immagine potente che unisce anche gli armeni della diaspora, sette milioni di persone (tra cui i genitori di Charles Aznavour, molto legato alla madre patria tanto da finanziare gli aiuti dopo il terremoto che colpì l’Armenia nel 1988) scappate dopo il genocidio perpetrato tra il 1915 e il 1916, che causò la morte di un milione e mezzo di armeni. La storia, le immagini e i numeri sono visibili nel museo costruito accanto al memoriale del genocidio armeno, a Yerevan.
La cima innevata dell’Ararat domina il monastero Khor Virap, dove si può visitare la grotta nella quale san Gregorio l’illuminatore fu tenuto prigioniero per 13 anni da re Tiridate III, che poi si convertì adottando, nel 301, il cristianesimo come religione di stato. È un luogo di grande impatto scenografico, con la montagna sacra da un lato e i vigneti dall’altro.
L’antica tradizione del vino
La tradizione vinicola in Armenia è molto antica: del resto, lo racconta anche la Bibbia che fu Noè a piantare la vite da cui ricavare il vino. E infatti nella grotta Areni-1, nella regione di Vayots Dzor, è stata ritrovata una cantina di oltre 6mila anni fa, a testimonianza di quanto il vino rappresenti una parte fondamentale della cultura armena. E piace sempre di più: dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, che aveva privilegiato la produzione di brandy a discapito di quella del vino, l’Armenia ha investito per ripristinare la viticoltura e i vitigni autoctoni, tra cui l’Areni a bacca rossa e il Voskahat, a bacca bianca. Oggi si contano 150 cantine (erano 25 nel 2019) tra piccoli imprenditori e grandi realtà, impegnate a sviluppare l’enoturismo con musei, degustazioni ed esperienze tra i vigneti. Un esempio è la cantina Momik Wines ad Areni, a conduzione familiare: produce 4mila bottiglie all’anno e si trova sulla wine route Vayots Dzor Areni. “Arrivano molti turisti, soprattutto dall’Italia – racconta Nver Ghazaryan, proprietario insieme alla moglie Narine – oltre a pranzare con vista sul vigneto, possono fare una degustazione dei nostri vini durante la quale spieghiamo il terreno, la qualità delle uve. L’anno prossimo apriremo tre cottage con le camere per ospitare i turisti”.
Diversi sono i numeri di Armenia Wines, cantina che ogni anno produce 40 milioni di bottiglie vino, il 60% delle quali è destinato all’export in Russia, Cina, Stati Uniti e Polonia. L’azienda, che ha anche una produzione annua di 35 milioni di bottiglie di brandy, offre ai turisti visite guidate nello stabilimento, un ristorante aperto a pranzo e cena con specialità tipiche locali e un museo dedicato alla storia del vino armeno, visitato da 12mila persone all’anno.
Viaggio enogastronomico
Non solo buon vino: si viene in Armenia anche per fare turismo enogastronomico perché la cucina tipica è di qualità e usa ingredienti e preparazioni che si ritrovano anche in quella greca, turca e iraniana. Dal pane lavash, patrimonio immateriale Unesco che viene cotto nel tradizionale forno interrato, alle pregiate trote del lago Sevan, luogo di villeggiatura estivo con i suoi monasteri di epoca medievale. Proprio sulle sponde del Sevan c’è un ristorante particolare, considerato uno degli esempi più belli di architettura sovietica: di proprietà statale, è accanto a quella che un tempo era la Casa degli scrittori, voluta dal regime sovietico per ospitare gli artisti.
Un pasto armeno si apre sempre con un varietà di insalate e verdure: pomodori, cetrioli, melanzane, il matsum, ovvero lo yogurt, formaggi. E poi piatti a base di riso come il gaphama, una zucca intera cotta al forno e ripiena di riso, uvetta, frutta secca e cannella, carne alla griglia o in umido, e i dolci, tra cui il gata, la torta tipica.
Sedersi a una tavola armena, magari dopo una giornata passata a esplorare il tempio di Garni, unico esempio di architettura greco-romana in Armenia affacciato sulla gola del fiume Garni, il monastero di Geghard, patrimonio Unesco, o quello di Noravank, in mezzo alle pareti di roccia rossa che lo circondano, è la degna conclusione di un viaggio destinato a rimanere a lungo nella memoria.