Dal fronte del martirio. Parla il capo della chiesa armeno-cattolica di Qamishli, Siria (Ilfoglio.it 08.07.15)
“Qui ora siamo al sicuro, grazie all’esercito siriano. Hassaké, attaccata nella notte tra il 24 e il 25 giugno dai miliziani dello Stato islamico, è ora quasi totalmente liberata. Solo le periferie sono ancora in mano loro, ma il peggio è passato”. Monsignor Antraning Ayvazian è il capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli, e in una conversazione con il Foglio descrive la situazione sul terreno in quell’estremo lembo di Siria orientale non ancora toccato dall’orda nera delle truppe al soldo del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Basta spostarsi d’una ottantina di chilometri più a sud, ad Hassaké, e il quadro cambia drasticamente. “Lì il novanta per cento dei cristiani se n’è andato, milleottocento sono arrivati qui, insieme a quattrocentocinquata famiglie musulmane”. Qamishli, più di centomila abitanti, è uno degli ultimi avamposti fedeli a Damasco prima del confine con la Turchia e non è troppo lontana da quello con l’Iraq, a est. Ed è proprio al dirimpettaio turco che mons. Ayvazian addebita gran parte delle colpe per il disastro in cui è precipitata la Siria: “Ci separano 998 chilometri di confine. Quasi mille chilometri da cui entra di tutto, a cominciare dai jihadisti. Li vediamo ogni giorno, passano a gruppi di trecento, anche cinquecento. E’ Ankara, insieme alla Georgia, a giocare un ruolo fondamentale nel caos che vediamo oggi. Un doppio gioco che l’occidente farebbe bene a troncare, prima che sia davvero troppo tardi. Un mio parrocchiano – racconta il sacerdote – è stato arrestato dalla polizia turca e gettato in carcere, in una cella di un metro per un metro. Vicino a lui, c’erano uomini con lunghe barbe pronti ad arruolarsi con lo Stato islamico. Per loro c’era ogni ben di dio, ogni richiesta veniva soddisfatta. Qualche agente li incitava a darsi da fare in Siria. Noi queste cose le sappiamo, perché le constatiamo con i nostri occhi e le nostre orecchie”. Continua