Curdi, Stato Islamico e armeni: i nemici trasversali di Erdogan (La Repubblica 14.11.22)
Una strage di passanti con una bomba nel centro di Istanbul ci porta subito verso due grandi sospettati: il primo è il Pkk, il partito curdo dei lavoratori, che della Turchia è nemico acerrimo; il secondo è lo Stato islamico, il gruppo di fanatici che in Medio oriente non è più potente come un tempo e che considera il governo turco una potenza infedele da colpire – e non un alleato come talora si dice in modo davvero troppo sbrigativo.
La pista islamista è quella più debole. Di solito lo Stato islamico è veloce nelle rivendicazioni, che arrivano il giorno stesso degli attentati sui canali Telegram del gruppo perché sono preparate con grande anticipo, ma questa volta non è successo. Inoltre il gruppo estremista usa nel novantanove per cento dei casi attentatori maschi. Invece ieri le autorità turche hanno pubblicato le immagini di una donna accusata di avere piazzato la bomba, dentro a una borsa, ai piedi di una panchina. Tutto, dalla sua maglietta ai pantaloni mimetici attillati, fa pensare che la sospettata non sia una seguace dello Stato islamico, che segue regole molto rigide in fatto di vestiario.
Esplosione a Istanbul, morti e feriti a terra
La bomba è stata fatta detonare con un comando a distanza e anche questo non coincide con il modus operandi degli islamisti, che quando possono usano un attentatore suicida per massimizzare l’effetto dell’attacco. Quest’ultimo – volontario suicida oppure no – non è un elemento dirimente, ma è necessario tenerlo presente assieme a tutto quello che sappiamo. Un giro sui canali Telegram del gruppo, che solitamente sono molto sensibili alle notizie di attentati, non tradiva picchi di attenzione da parte dei simpatizzanti.
Il Pkk è l’altro grande indiziato. Da nove mesi siamo assorbiti dall’invasione russa in Ucraina, ma naturalmente questo non vuol dire che le altre aree di crisi nel mondo abbiano cessato di produrre violenza estrema. A ottobre i curdi hanno accusato l’esercito turco di avere usato armi chimiche contro un campo del gruppo nel nord dell’Iraq, durante uno dei raid che la Turchia lancia con frequenza contro i militanti del Pkk nei paesi vicini.
Istanbul, l’esplosione ripresa dalla telecamera di sorveglianza
La notizia non è stata ancora verificata, ma rende l’idea dell’intensità della lotta in quella regione. Negli ultimi dieci giorni ci sono stati anche molti bombardamenti turchi nel nord della Siria, sempre nelle zone controllate dai curdi. Già a giugno, durante una visita di Repubblica in una zona contesa del confine siriano, le unità militari curde avevano spiegato che i droni di Ankara “ci colpiscono almeno un paio di volte a settimana”. Il sospetto contro il Pkk ha scatenato la solita ridda di polemiche contro i politici curdi, che in Turchia sono considerati contigui ai terroristi.
Ieri i media armeni hanno parlato anche di una rivendicazione dell’attentato da parte del gruppo Asala, sigla dell’Esercito segreto armeno per la liberazione dell’Armenia. Si tratta di una fazione che è in ibernazione dal 1991. Quando era attiva, firmò una lunga sequenza di attentati contro la Turchia come rappresaglia per il genocidio degli armeni e per il negazionismo turco. Il fatto che arrivi dopo trent’anni di silenzio rende la rivendicazione poco credibile – per adesso.
Esplosione a Istanbul, le immagini dal bar davanti al luogo della deflagrazione
Ecco, il problema della Turchia è che è al centro di troppe piste e di troppi scenari per attribuire con certezza la responsabilità di un attacco, in mancanza di rivendicazioni chiare. La bomba fatta esplodere a quell’ora di pomeriggio di sabato aveva l’obiettivo di attirare il massimo dell’attenzione su Ankara, che in questo momento è protagonista sulla scena internazionale.
Da mesi il presidente Erdogan è il mediatore più efficiente fra Ucraina e Russia, l’unico a portare a casa qualche risultato – dalla sospensione del blocco navale che impediva l’esportazione del grano ucraino fino alle complesse trattative per gli scambi di prigionieri. Ora che Kherson è stata liberata e anche l’Amministrazione Biden fa pressione sugli ucraini affinché accettino di negoziare con i russi, il ruolo da mediatore di Erdogan è sempre più forte – e a lui non dispiace, soprattutto in vista delle elezioni del giugno 2023. Il leader turco oggi parte per il G20 di Bali.
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