COP29: gas e petrolio sul red carpet (Imperialecowatch 06.12.24)
Cop29: un vertice “dirottato”, come ha dichiarato l’associazione Christian Aid, “dai paesi ricchi che non sono riusciti a negoziare in buona fede.” Il capo delegazione di Greenpeace ha chiamato “mercanti di morte” i grandi esportatori di gas e petrolio che quest’anno hanno fatto scorta di cartellini d’accesso alla 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima.
Dopo l’esperienza di due edizioni consecutive in Egitto ed Emirati Arabi Uniti, nel 2024 la Presidenza è stata nuovamente assegnata ad un regno del gas e del petrolio, l’Azerbaijan, assolutamente privo delle credenziali per ospitare un tavolo di negoziato sulla crisi climatica nel pieno rispetto di tutte le parti. E vengono sempre più trascurati i Paesi che meriterebbero di presiedere l’evento, quelli più colpiti dalla crisi climatica, che ai tavoli dei negoziati hanno avuto un ruolo marginale, ed hanno ricevuto un risarcimento vago e irrisorio.
Perché Baku
Doveva essere un Paese dell’Unione Europea ad ospitare il summit: nel 2023 accanto a quella di Armenia ed Azerbaijan si era profilata la candidatura della Bulgaria per la Cop29, una sede più consona, sia per gli interventi attuati finora dall’UE in materia di transazione energetica, sia per il principio di rotazione che assegna ogni volta la Presidenza ad uno stato di una macro-regione differente del pianeta. Il veto per l’organizzazione della Cop29 in Europa Orientale è arrivato dalla Russia, come risposta alle sanzioni economiche imposte dall’UE dopo l’aggressione all’Ucraina. Sono così rimasti in gioco Armenia e Azerbajgian, storici avversari militari che si sono opposti alle rispettive assegnazioni. Le truppe azere nel 2023 hanno invaso la regione separatista del Nagorno-Karabakh, causando l’esodo di migliaia di armeni e macchiandosi di atrocità su militari e civili, una vera e propria pulizia etnica. Il Lemkin Insitute for Genocide Prevention aveva invitato pertanto le Nazioni Unite a chiudere le porte della Cop29 all’Azerbajgian. Ma è stata l’Armenia stessa a cedere il passo, ritirando il suo veto in cambio del ritorno in patria di 32 fra i tanti prigionieri armeni detenuti tuttora a Baku insieme a molti giornalisti e attivisti dei diritti umani.
E Paesi come Romania, Ungheria, Bulgaria e Slovacchia non hanno posto ostacoli alla nomina dell’Azerbajgian: d’altra parte hanno tutti stretto nuovi accordi per l’importazione di gas azero e sostengono la creazione di un titanico gasdotto che dal Caucaso arriverà in Europa. Inoltre, per organizzare un evento mondiale come la COP occorrono denaro, spazi adatti e attitudine alle pubbliche relazioni: e Baku è stata così promossa.
E non è tutto…
Prima della Conferenza è stato filmato un incontro a porte chiuse fra l’amministratore delegato della Cop29 Elnur Soltanov, già Vice-Ministro dell’Energia, ed un’attivista dell’organizzazione per i diritti umani Global Witness, che ha finto di essere il referente di una società di investimenti di Hong Kong interessata a sponsorizzare il summit. Sembra che durante il colloquio Soltanov, dopo aver dimostrato con grande diplomazia la sua apertura alla politica di phase out dai fossili, abbia invitato il potenziale sponsor a stringere un accordo finanziario con SOCAR, la società statale di gas e petrolio di cui fa parte, che sta progettando di sviluppare nuovi giacimenti ed è interessata a nuovi, corposi investimenti. Tutto questo proprio a ridosso della Cop29, violando così il codice di condotta stabilito dalle Nazioni Unite per i funzionari del summit sul clima, che” devono agire senza pregiudizi, faziosità, favoritismi o interessi personali…”.
Nel corso della Conferenza un’altra grave violazione, questa volta commessa dall’Arabia Saudita con il beneplacito della Presidenza azera: è stato diffuso un testo sui negoziati per la transizione energetica, di regola non modificabile da nessuno dei Paesi coinvolti, con aggiornamenti apportati dal delegato del Ministero dell’Energia saudita Basel Alsubaity. Dal documento è stata cancellata la sezione in cui si incoraggiano le Parti a promuovere piani di adattamento nazionali e strategie di sviluppo con basse emissioni a lungo termine. Un atto di favoritismo inaccettabile che l’Azerbaigian avrebbe concesso ad un Paese come l’Arabia Saudita, palesando la sua solidarietà con chi intende frenare il programma di decarbonizzazione mondiale.
Riassumendo: l’Azerbaijan è un Paese dove il 92%delle esportazioni attiene a gas e petrolio, e che progetta di aumentare la produzione di gas di un terzo entro dieci anni; da anni compie atti di genocidio nei confronti del popolo armeno; le sue carceri traboccano di prigionieri politici; ha violato il codice della COP stessa, con azioni di corruzione e clientelismo.
Nonostante questo biglietto da visita tutt’altro che green, ha ottenuto la presidenza di una Conferenza nata per favorire la transizione all’energia pulita e risarcire economicamente i popoli danneggiati dal riscaldamento globale provocato dai Paesi sviluppati.
Climate Action Network, il gruppo di circa 2000 organizzazioni ambientaliste, ha chiesto a gran voce di modificare la procedura di nomina della sede ospitante del summit, affinché a fare da padrone di casa sia un Paese che abbia già intrapreso azioni serie per decarbonizzare il pianeta.
Finanza climatica: mancano ancora molte pagine
Nel frattempo gli stati più colpiti dal disastro ambientale stanno perdendo terreno alla COP, che quest’anno si è chiusa con un accordo sulla finanza climatica che ha deluso le attese: erano stati chiesti 1300 miliardi all’anno, ne sono stati concessi 300, che i Paesi con i conti in attivo come Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Unione Europea, dovranno inviare entro il 2035 ai Paesi più fragili come quelli di Africa, Sudamerica e piccole isole. “Troppo pochi e troppo tardi”, hanno commentato i destinatari del finanziamento, per sanare i danni del riscaldamento globale che ha mietuto vittime, ha distrutto abitazioni e raccolti, ha accelerato la desertificazione e rischia di far scomparire intere isole come Tuvalu, provocando l’aumento dei migranti climatici. Inoltre, più della metà di questi soldi sarà erogata sotto forma di prestito, a Paesi già appesantiti da forti debiti. E alcuni destinatari come l’Alleanza dei Piccoli Stati Insulari, che realmente rischiano di finire sommersi con l’innalzamento del livello del mare, avrebbero voluto un finanziamento privilegiato specificatamente riservato a loro.
Nel documento conclusivo della COP29 si esortano i Governi delle Parti a raccogliere altri fondi per raggiungere la cifra di 1300 miliardi richiesta in origine, attraverso sia attori privati (che finora hanno elargito cifre non adeguate) che le banche multilaterali di sviluppo, istituti a servizio dei paesi più poveri, che forniscono prestiti a tasso agevolato. Inoltre, è stato richiesto un contributo volontario anche a Cina, Singapore e Paesi del Golfo, che ancora rientrano nella categoria “in via di sviluppo” ma che di fatto sono in grado di elargire un finanziamento ai veri poveri.
La domanda ora è: chi dovrà erogare questi 300 miliardi annui, e come? Il documento finale di questa COP azera non risponde in modo puntuale, ma rimanda ad un altro file, “Baku to Belém Roadmap to 1.3T”, che dovrebbe essere pronto prima della COP30 brasiliana
Troppi falsi verdi in Sala Blu
Cosa aspettarsi da Belem nel 2025? Sarà anche questa una Conferenza inquinata dalla presenza di aziende che partecipano per lanciare falsi programmi a favore dell’ambiente e riciclare la propria reputazione?
Sono stati 1770 i lobbisti dei combustibili fossili presenti alla Cop29. Li ha conteggiati l’Organizzazione Kick the big polluters out, che sostiene che almeno 480 di loro utilizza ormai abitualmente la Cop per promuovere la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CUS), una soluzione giudicata inefficace dalla controparte ambientalista, perché non abbatterebbe in modo significativo le emissioni ma le ricicla, o semplicemente le nasconde nel sottosuolo e nel fondale marino. Dall’analisi di Kick the big polluters out sembra che il numero dei badge dei lobbisti di gas e petrolio superasse quello di tutti i delegati dei dieci paesi più colpiti dalla crisi climatica (come Somalia, Ciad, Eritrea, Sudan, Tonga, Micronesia, Isole Salomone), diminuendo così la possibilità di questi ultimi di ricevere attenzione e ascolto in un evento in cui si decide del futuro del pianeta.
Il marchio dei giganti di gas e petrolio ha tappezzato lo Stadio Olimpico, sede della Cop29, e i delegati di queste aziende sono stati ammessi come osservatori nella Zona Blu dei negoziati, riservata di regola a funzionari governativi, giornalisti ed organizzazioni. L’escamotage: molti dei lobbisti appartenevano ad associazioni di categoria ammantate di verde, come International Emissions Trading Association (che ha i suoi quartier generali in Svizzera, Stati Uniti, Belgio, Canada e Singapore), il cui motto è “raggiungere gli obiettivi climatici con il minor danno economico”. Dal Giappone il colosso del carbone Sumitomo, e poi 39 lobbisti di Chevron, ExxonMobil, BP, Shell ed Eni. Dall’Italia ambasciatori di Enel ed Eni. Persone che fino a due anni fa potevano accedere alla Cop senza doversi identificare. Le Nazioni Unite hanno infatti deliberato che dalla Cop28 in avanti chiunque desideri registrarsi al summit è tenuto a dichiarare la propria affiliazione. Sapere con esattezza chi sta partecipando e da che parte sta dovrebbe consentire almeno un’interpretazione più obiettiva di quello che viene dichiarato ai microfoni della Cop.