COP29 e l’Armenia: pecunia non olet? (Nicolaporro 17.11.24)
Quest’anno, la periodica conferenza mondiale organizzata dalle Nazioni Unite, dedicata ai temi del clima, della pace e dell’alimentazione, si tiene a Baku, capitale dell’Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre. La scelta della sede, operata dall’ONU, ha avuto il sostegno dell’Unione Europea. Come noto, il paese ospitante è uno dei maggiori esportatori di combustibili fossili e non nasconde il progetto di raddoppiare, entro il 2027, le forniture all’Europa.
Lo scorso anno l’Azerbaigian ha compiuto una pulizia etnica radicale nel Nagorno Karabakh (Artsakh in armeno), regione transcaucasica dove gli armeni vivevano da oltre 3000 anni. Diversamente da quanto avvenuto in occasione di altri conflitti etnico-politici, come quelli di un recente passato nei Balcani e quello in corso nel Vicino Oriente mediterraneo, le reazioni delle istituzioni internazionali (politiche e giudiziarie) sono rimaste circoscritte a dichiarazioni di principio, non seguite da interventi concreti. L’Unione Europea ha pronunciato ampollose prediche, totalmente inascoltate dal governo azero, il quale non ha comunque subito la benché minima ripercussione negativa. Storicamente, durante il periodo sovietico, la regione dell’Artsakh era stata inclusa nei confini della repubblica dell’Azerbaigian in conformità con un criterio di delineazione dei confini interni dell’URSS mirante a ridurre l’omogeneità etnica delle repubbliche e, conseguentemente, la loro capacità di intraprendere iniziative indipendentiste.
Le operazioni belliche dell’esercito azero sono state accompagnate dal blocco del transito di derrate alimentari per la popolazione e da trasparenti intenti di genocidio (quanto meno) culturale. Agli armeni dell’Artsakh non è rimasta altra alternativa di sopravvivenza che quella dell’abbandono del proprio paese. Occorre amaramente rilevare che anche la postura assunta dal nostro governo appare improntata a una forma di realpolitik, espressa verbalmente in un’intervista del viceministro degli esteri con delega al Caucaso, il quale ha sostanzialmente imputato agli armeni la colpa del conflitto e della pulizia etnica subita, accusandoli di aggressione, nazionalismo, revanscismo, e sottolineando che la loro sconfitta è anche una sconfitta della Russia. In pratica, durante e dopo il conflitto, l’Italia ha mantenuto invariati i suoi rapporti economici con l’Azerbaigian, attraverso l’acquisto di idrocarburi e la vendita di armamenti. Se è pur vero che “la coerenza è la virtù degli imbecilli” (Prezzolini), non possiamo non chiederci quale coerenza vi sia tra questa postura internazionale e i principi a cui si ispira il nostro governo, fra i quali, al primo posto si colloca la difesa della civiltà occidentale: tra tutti i tasselli che la compongono, non è forse l’Armenia (il primo paese cristiano del mondo) quello più a rischio di soppressione? Altrettanto incoerente è la postura assunta da Israele a favore dell’Azerbaigian in ragione dell’ostilità tra quest’ultimo e l’Iran: una scelta che sembra obliterare la Storia del secolo scorso, che accomuna la vicenda ebraica a quella armena.
In ambito bellico, decisiva è stata la passività della Russia (storico difensore degli armeni) e il sostegno della Turchia al paese fratello. Unici paesi che hanno prestato sostegno materiale e ideale agli armeni sono stati Francia e India. Oggi i governanti azeri non nascondono il progetto di completamento del genocidio culturale e della pulizia etnica mediante la conquista di quello che chiamano “Azerbaigian occidentale”, cioè la Repubblica di Armenia. Ciononostante, le immagini che provengono in queste ore da Baku mostrano i rappresentanti delle istituzioni internazionali e i governanti dei paesi democratici (eroici difensori dei diritti umani in ogni angolo del globo) mentre stringono sorridenti la mano al presidente azero Aliyev, in un contesto congressuale istituito – ripetiamo – per affrontare i problemi climatici legati all’utilizzo degli idrocarburi e quelli della pace e del rispetto dei diritti umani.
All’inizio di novembre, alcune associazioni europee e americane di armeni che vivono all’estero hanno inviato un appello alla Presidente della Commissione Europea von der Leyen perché intraprenda iniziative concrete di contrasto alla politica estera aggressiva e a quella interna repressiva, portate avanti dal governo azero. Nell’appello si evidenziano i crimini in atto e la spettacolare recita del governo azero impegnato a indossare, durante la COP29, la maschera del benefattore. Ma finora pare che da Bruxelles non sia giunta alcuna risposta, né positiva, né negativa: pecunia non olet?