Conflitto Azerbaigian-Armenia, l’Europa in campo con una missione civile (Thewatcherpost 30.01.23)
Mentre i riflettori dei grandi media internazionali sono puntati sull’Ucraina, non molto lontano, nel Caucaso meridionale. si è riacceso lo scontro tra Azerbaigian e Armenia per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra le due nazioni, in cui sussiste l’autoproclamata Repubblica indipendente dell’Artsakh, filo-armena, che conta 120.000 abitanti. Queste vicende sono poco conosciute a livello di massa, pur originando dalla storia dell’Unione Sovietica (precisamente con Stalin) e culminando con la sua fine, nel 1991, quando il clima nella regione diventa tumultuoso. Oggi la questione è importante perché coinvolge gli interessi della Russia e della Turchia, ma anche dell’Europa, che tratta con l’Azerbaigian per le forniture di gas alternative a quelle di Putin. Vista la situazione difficile, l’Unione Europea ha recentemente iniziato una missione civile denominata “Euma”, finalizzata al favorire un accordo tra Baku e Yerevan. La missione avrà un mandato inizialmente di due anni con a capo Stefano Tomat, amministratore delegato scelto per sua capacità di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae).
«L’Euma effettuerà pattugliamenti di routine e riferirà sulla situazione», ha precisato in una nota l’alto rappresentante Borrell, aggiungendo che la missione “contribuirà anche agli sforzi di mediazione nel quadro del processo guidato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel“. Obiettivo dell’Unione Europea è prendere il posto della Russia come mediatrice tra Armenia e Azerbaigian, sia lungo il confine sia nella regione del Nagorno-Karabakh. Nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è dal 1992 che si protrae un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7.000, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.
Il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli abitanti della Repubblica dell’Artsakh. Da più di 43 giorni su questa strada non transitano più beni essenziali come cibo e farmaci, ma Baku ha tagliato anche l’erogazione di gas e acqua potabile. Il Parlamento Ue ha intimato all’Azerbaigian a “riaprire immediatamente” la strada e ad “astenersi dal compromettere il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”. Il contesto è critico, mentre sul piano diplomatico il presidente del Consiglio Ue Michel è concentrato su contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, spingendo per colloqui sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi.
Quali sono i nodi geoplitici e perché l’Europa ha le sue responsabilità
Il destino dell’Armenia è intrecciato a quello della Russia, che ai tempi di Stalin decretò quali fossero i territori di competenza di Yerevan. Contemporaneamente l’Urss delimitò anche i possedimenti azeri, con l’intento di mettere fuori gioco sia l’uno che l’altro Paese, i quali condividendo profondamente i confini, avrebbero avuto più difficoltà nell’avocare una possibile indipendenza da Mosca. C’è da considerare poi la presenza turca, che dalla Russia degli zar aveva ottenuto le città armene di Krs e Ardahan, macchiandosi, nel 1915, di un terribile genocidio in cui persero la vita un milione e mezzo di armeni. Tuttavia, dopo lo scioglimento dell’Urss, l’Armenia contò sulla benevolenza russa in chiave anti-turca. Di fatto fu così fino alla ripresa delle ostilità nel 2020 in Nagorno-Karabakh quando, secondo Yerevan, l’apporto di Putin non fu sufficiente, mentre dall’altra parte Erdogan sosteneva concretamente l’offensiva dell’Azerbaijan, che tra l’altro è il Paese invasore. Ora, a due anni di distanza, l’attenzione di Mosca verso gli Armeni è ancora più debole, per ovvi motivi, e Baku sta diventando sempre più importante nel rimodellamento delle strategie energetiche. L’Unione Europea, ma anche la Turchia, chiedono più gas e petrolio dall’Azerbaigian, che però per potenziare i rifornimenti ha bisogno di un corridoio che da Baku e dall’Iran arrivi a Istambul e nel cuore dell’Europa. A questo punto, Vladimir Putin si trova in una posizione ambigua, perché non può prendere le parti di Baku, ma neppure può mostrarsi ostile a Erdogan e a Teheran, che nell’ambito del conflitto ucraino non gli sono ostili. Con il leader turco che non si sbilancia e anzi rallenta la Nato, mentre l’Iran fornisce armi a Mosca. A rendere ancora più intricato il quadro, il fatto che la compagnia petrolifera russa Lukoil è padrona di circa il 25% delle riserve petrolifere dell’Azerbaigian nel Mar Caspio, per cui Putin resterà ugualmente un attore nel gioco, anche nel caso l’Europa rifiuti di comprare direttamente da Mosca.
La situazione non tranquillizza neppure gli Stati Uniti i quali, non favorevoli a nuove rotte energetiche e non sicuri dell’adesione di Baku al fronte occidentale, hanno condannato le torture da parte degli azeri nei confronti dei militari armeni, additando Baku come il Paese aggressore, in occasione della visita della speaker della Camera Nancy Pelosi a Yerevan. Una tale complessità, ovviamente, non può che gravare maggiormente sulla parte più fragile, ossia gli abitanti del Nagorno-Karabakh.