Comunità Armena di Roma: “L’Armenia sarà anche un Paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai”. (Sardegnagol 03.09.20)
Continua in modo incessante lo scambio di vedute a mezzo stampa sulla nostra testata giornalistica tra l’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, e la Comunità Armena di Roma.
Recentemente l’ambasciatore azero in Italia era intervenuto sulla recente recrudescenza dell’ostilità tra l’Armenia e lo Stato azero, ribadendo che “La soluzione del conflitto passa dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian”. Posizione criticata dalla Comunità Armena di Roma che ha tacciato di negazionismo l’intervento del rappresentante della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia.
Oggi, invece, la Comunità Armena di Roma ha fatto recapitare una nuova controreplica, alle dichiarazioni dell’Ambasciatore azero, alla nostra testata.
Egr. direttore,
i Suoi lettori hanno avuto modo di leggere nei giorni scorsi il confronto a distanza sulla irrisolta questione del conflitto del Nagorno Karabakh e La ringraziamo per lo spazio che ha voluto dedicare a tale tema.
L’ambasciatore Ahmadzada – che ringraziamo per aver accettato il confronto con la nostra piccola realtà – ha dunque ritenuto opportuno controreplicare tempestivamente alla nostra precedente risposta. Dobbiamo rilevare però che lo stesso elude ancora una volta le nostre domande sugli scontri dello scorso luglio e sulla responsabilità degli stessi preferendo accusare la parte armena di non avere argomenti.
Ribadiamo le domande: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone?”.
Sua Eccellenza Ahmadzada definisce “campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian” l’evidenza delle organizzazioni internazionali che collocano il suo Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di informazione (Freedom press index) e tra i più corrotti (Corruption perception index) utilizzando un linguaggio tipico dei regimi totalitari. A titolo esemplificativo facciamo presente che la classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.
Il diplomatico di Aliyev piuttosto che analizzare (come potremmo d’altronde dargli torto…) i problemi di casa propria preferisce divagare sulla storia politica dell’Armenia che al pari dell’Azerbaigian nel 1991 concluse la propria esperienza nell’Unione sovietica e che in questi trenta anni di storia, senza dubbio politicamente ed economicamente travagliata, ha saputo però progressivamente disegnarsi un ruolo di Paese sempre più democratico e partner fidato dell’Unione europea.
Conveniamo tuttavia con il nostro interlocutore allorché individua nell’obiettivo della Diaspora lo sviluppo e la prosperità della propria patria; se non che, ritiene che questo risultato sia perseguibile solo attraverso linee da lui dettate L’Ambasciatore chiede la normalizzazione delle relazioni dell’Armenia con i suoi vicini che sono, oltre a Georgia e Iran, la Turchia che continua a negare il genocidio armeno e il cui presidente anche recentemente ha minacciato di “proseguire l’opera dei padri” (ovvero lo sterminio degli armeni) e l’Azerbaigian che da decenni ha fatto dell’armenofobia il cardine della propria politica estera.
Insomma, secondo Ahmadzada l’Armenia potrebbe stare tranquilla solo rinunciando alla propria dolorosa memoria e al proprio futuro, ovvero alla libera, indipendente e pacifica esistenza del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh.
L’Armenia sarà anche un paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai.