Comune di Padova: 24 aprile: discorso del sindaco Sergio Giordani in occasione della commemorazione del 108° anniversario del Genocidio Armeno (Padovanews 26.04.23)
Signore, signori, gentili ospiti
Ritrovarci qui oggi per commemorare il genocidio del popolo armeno, ha in questo momento storico un significato non solo di ricordo di un crimine terribile accaduto in Anatolia all’inizio del secolo scorso ma anche di riflessione su come il mondo, un secolo dopo, sia alle prese con simili violenze e massacri che speravamo di aver lasciato alle nostre spalle con la fine del ‘900.
Il popolo armeno, allora, fu sterminato e costretto a una diaspora in giro per il mondo dal governo ottomano, in un quadro di forte instabilità politica, nel quale prevalevano in modo esasperato istanze nazionaliste che miravano alla creazione di una stato turco etnicamente omogeneo.
E’ stato un crimine contro l’umanità, che lo stesso Papa Giovanni Paolo Secondo ha definito come primo genocidio del ventesimo secolo e che ancora oggi il Governo turco, nega contro ogni evidenza.
Interessi legati agli equilibri internazionali, anche dopo la fine del secondo conflitto mondiale hanno sempre tenuto sullo sfondo della storia questo dramma, che solo nel 1973 la commissione ONU per i diritti umani ha riconosciuto ufficialmente come sterminio della popolazione armena.
Eppure furono uccisi circa un milione e mezzo di persone, e chi riuscì a salvarsi anche dalle atrocità, dalla fame e dalle malattie dei campi di concentramento, fu costretto a emigrare e ricostruire una vita in altre nazioni del mondo.
La maggior parte di loro non ha più potuto rimettere piede nei luoghi in cui è nata.
Nazionalismo esasperato, discriminazioni su base etnica, portarono al genocidio del popolo armeno, sacrificato a cinici interessi locali e internazionali.
Un anno fa, davanti a questa lapide, sottolineavo il nostro sconcerto per l’invasione russa dell’Ucraina, e per un conflitto che, guardandolo bene in filigrana, alla fine ha le sue radici nelle stesse parole e concetti che hanno avvelenato tutto il 900 : sovranismo, rivendicazioni territoriali, divisione dei popoli su base etnica.
A un anno di distanza, quella guerra insensata alle porte dell’Europa è ancora in pieno svolgimento e quasi 180 mila profughi ucraini sono ospitati nel nostro Paese.
Non dobbiamo farci prendere dallo sconforto. Sembra che la lezione del ‘900 sia stata inutile che, che la guerra, prima o poi sia una realtà ineluttabile.
Non è così, non deve essere così. Vale per il genocidio degli armeni, come per il massacro degli ebrei e di tante altre popolazioni nel mondo in quest’ultimo secolo.
La conoscenza e la memoria sono fondamentali, non solo come omaggio, doveroso, che sorge dal profondo del cuore, per i milioni di persone che hanno perso la vita e per i milioni che hanno dovuto disperdersi nel mondo, ma anche perché è dalla conoscenza dei fatti, della storia, del dolore e dei drammi, che capiamo l’insensatezza della guerra e della violenza come strada per risolvere qualsiasi controversia tra stati e popoli.
I nostri padri costituenti, avevano vive nei loro occhi le immagini della guerra appena finita, nelle loro orecchie risuonavano ancora le richieste di aiuto dei civili che avevano perso tutto o erano rimasti feriti.
Misero da parte ideologie e schieramenti e scrissero quello che ancora oggi è il testo fondante della nostra Repubblica, quello che garantisce la nostra libertà e incardina la nostra democrazia.
Pochi anni dopo, grazie alla passione visionaria di alcuni uomini come gli italiani Altiero Spinelli e Alcide de Gasperi, il francese Robefrt Schuman e il tedesco Konrad Adenauer prese forma l’Europa Unita: volevano superare il concetto di nazione e di confine che divide i popoli e sostituire alla contrapposizione tra stati il dialogo e la collaborazione.
Questo obiettivo che ci ha assicurato 70 anni di pace in Europa, rischia di infrangersi oggi di fronte alla rinascita dei sovranismi, alla esaltazione dell’identità nazionale esasperata che nell’ altro vede sempre nel migliore dei casi un estraneo da respingere se non un pericolo.
Mi preoccupa il fatto che ai tanti giovani, curiosi di conoscere la storia e che anche grazie alle iniziative del nostro comune e delle nostre scuole intraprendono formativi viaggi della memoria, tanti altri giovani, troppi, secondo me, hanno un interesse per questi avvenimenti pari a quello per le guerre puniche. Nulla di più che un paio di righe sul loro libro di storia.
Il rischio è che progressivamente nella nostra società, svanisca la consapevolezza dell’enormità e della gravità di questi avvenimenti storici, e con essa gli anticorpi che permettono di evitarne la ripetizione e di capire quando il vento soffia in quella direzione.
E’ per questo che giornate come oggi, non sono retoriche celebrazioni, non sono riti oramai privi di significato, ma momenti di riflessione e condivisione che dobbiamo custodire con cura.
Grazie a tutti voi per aver voluto essere qui, davanti a questo monumento, oggi.