Come procede l’integrazione europea di Armenia, Georgia e Moldavia (L’Inkiesta 26.03.24)
A inizio 2022 Vladimir Putin immaginava di raggiungere Kyjiv in poche settimane e sostituire Volodymyr Zelensky con un presidente fantoccio al servizio di Mosca. Il piano è fallito ma a distanza di più di due anni la guerra voluta dal Cremlino ha prodotto alcuni risultati che sembravano inimmaginabili solo poco tempo fa. Per iniziare, ha ricompattato la Nato: un organismo che nel 2019 veniva definito da Emmanuel Macron «in stato di morte celebrale» e che dopo l’invasione russa ha ritrovato un’identità e una coesione che non si vedevano dalla Guerra Fredda. L’Alleanza Atlantica negli ultimi due anni si è allargata in maniera significativa accogliendo due eserciti all’avanguardia come quelli di Svezia e Finlandia.
Putin è poi riuscito ad aumentare ulteriormente l’appeal dell’Unione europea agli occhi di quei Paesi fuori dal blocco dei ventisette che ora giustamente si sentono minacciati dalle mire imperialiste del dittatore russo. Al netto del percorso dei Balcani occidentali che, seppur lentamente, sta andando avanti già da tempo (qualche giorno fa è arrivato l’annuncio dell’avvio dei negoziati con la Bosnia), la spinta russa verso Bruxelles ha riguardato soprattutto quelle realtà da sempre legate al Cremlino per motivi economici o politici come la Georgia, la Moldavia e l’Armenia.
A seguito dei deliri imperialisti di Mosca, la percezione dell’opinione pubblica nei confronti della Russia è cambiata e questo ha fatto sì che negli ultimi due anni, in maniera più o meno decisa, siano stati fatti dei passi in avanti verso l’integrazione europea. La Georgia è da pochi mesi candidata ufficialmente ad entrare nell’Unione europea, con la Moldavia sono già stati avviati i negoziati, mentre l’Armenia sembra intenzionata ad avviare il percorso di adesione. Certo, Bruxelles richiede standard piuttosto alti ed è difficile che il processo si concluda in tempi brevi soprattutto per Yerevan e Tbilisi, mentre Chişinău sembra essere un po’ più avanti.
Sogno georgiano
A dicembre 2023 la Georgia ha guadagnato lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione, spinta anche dall’ampio sostegno tra i cittadini. La strada è lunga e mancano ancora molte delle riforme richieste dall’Ue, ma a preoccupare maggiormente Bruxelles è l’ambiguità che il partito di governo “Sogno georgiano” continua a mostrare nei rapporti con Mosca. Tbilisi non ha mai applicato le sanzioni per evitare un’escalation e con Putin i rapporti restano tutto sommato normali, nonostante il ruolo della Russia nei conflitti in corso sul territorio georgiano.
«La Georgia vive una situazione un po’ particolare − dice a Linkiesta Giorgio Comai ricercatore e analista presso l’Osservatorio Balcani Caucaso − perché al di là dei proclami europeisti Tbilisi mantiene una posizione aperta nei confronti di Mosca, anche se questo genera fastidio in una parte importante della popolazione che ha ben presente il ruolo russo nei conflitti in Abkhazia e Ossezia del sud. I problemi principali nel percorso di integrazione non riguardano però né la Russia né davvero i conflitti irrisolti, ma soprattutto questioni di politica interna: il governo continua a far leva su una retorica nazionalista, accompagnata da critica a società civile e limitazioni a diritti civili, che si ispira al modello di Viktor Orbán. È evidente che stando così le cose, pur avendo lo status di candidato ufficiale, non ci sono i presupposti perché il percorso di integrazione sia veloce».
Vicini all’Europa, lontani da Mosca
In Moldavia si è innescato un percorso di europeizzazione grazie alla nuova leadership di Maia Sandu che sta modernizzando il Paese attraverso delle riforme strutturali. Riforme che hanno permesso a Chişinău di arrivare alla quasi totale indipendenza da Mosca, sia dal punto di vista economico che energetico. «È indubbiamente il Paese più avanti in questo percorso − sottolinea Comai − si è staccata dalla Russia quasi definitivamente a livello energetico, economico e culturale. Alcuni settori dell’economia moldava sono in crescita e il Paese può contare su una leadership giovane e capace ma va registrata anche una certa fragilità politica e la continuità di questo Governo europeista non deve essere data per scontata. La Transnistria è trascurata in questa fase da Chişinău, che la considera questione secondaria rispetto all’avvicinamento all’Unione, ma se non gestita con la dovuta attenzione la regione potrebbe causare effettivi problemi al percorso di integrazione nel lungo periodo».
Inaffidabilità russa
Il caso dell’Armenia è quello più emblematico. Il Paese, anche per mancanza di alternative, ha accettato per anni la protezione di Putin. Nel momento del bisogno, però, Mosca si è girata dall’altra parte sia sull’invasione del Nagorno-Karabakh sia sulle continue violazioni dei confini da parte dell’Azerbaijan. L’Armenia si è sentita tradita ed è venuta meno la principale condizione che la teneva legata al Cremlino.
«Negli ultimi mesi − prosegue Comai − Yerevan ha iniziato a fare qualche passo più deciso verso Bruxelles e questo soprattutto a causa dell’inazione russa nei conflitti armati che hanno coinvolto gli armeni in questi ultimi anni. Mosca aveva un impegno formale di protezione dei confini armeni e avrebbe dovuto garantire quantomeno un corridoio umanitario in Nagorno-Karabakh.
Evidentemente in entrambi i casi gli impegni sono stati disattesi e l’Armenia si è resa conto di non potersi più fidare della Russia, ma allo stesso tempo sa che per la propria difesa non potrà contare sull’Europa. Il Paese si trova in un contesto geopolitico difficile e bisognerà valutare quanto questo avvicinamento all’Unione sia realistico. Credo sia difficile immaginare un percorso di integrazione effettivo nel brevissimo periodo».
La strada è quindi ancora lunga ma Georgia, Moldavia e Armenia hanno iniziato a percorrerla in maniera decisa e dopo che la Russia ha riportato la guerra in Europa i tre Paesi chiedono una maggiore integrazione europea. Bruxelles sembra voler ascoltare le richieste iniziando a guardare al vicinato orientale in modo diverso rispetto al passato. E dopo aver ricompattato la Nato, questo è a tutti gli effetti un altro risultato della criminale guerra di Putin.