Col propagarsi della pandemia infuria anche la guerra in Nagorno-Karabakh (Globalvoices 11.03.21)
Nessuno può auto isolarsi in una zona di guerra.
E una zona di guerra è proprio ciò in cui si è trasformata Nagorno-Karabakh. Il 27 Settembre, sono scoppiati forti scontri nel mezzo di un attentato da parte dell’Azerbaijan per riconquistare il territorio a sud del Caucaso. La guerra in corso è ad oggi la più violenta dal 1994, quando un instabile cessate il fuoco ha lasciato Nagorno-Karabakh sotto il controllo delle forze etniche Armene come stato di fatto. Anche se il Nagorno-Karabakh non è riconosciuto dall’Armenia, Yerevan fornisce un ampio supporto economico e militare, e la maggior parte dei residenti nella regione sono cittadini armeni.
Le forze armate azerbaigiane hanno bombardato la capitale Stepanakert con artiglieria, droni, e secondo un recente report della Human Rights Watch (HRW), anche con munizioni a grappolo [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]. Le vittimi civili sono state segnalate nella città, e molti dei 55.000 abitanti si sono spostati nella vicina Armenia. I pochi rimasti devono mettersi al riparo nei rifugi antiaereo e nei sotterranei. Vi è inoltre stata un’interruzione dell’alimentazione elettrica.
Fino ad ora, due cessate il fuoco umanitari mediati dalla Russia sono falliti. Le forze armate Azerbaigiane hanno fatto rapidi progressi nel sud del Nagorno-Karabakh, lungo il confine con l’Iran. Il 23 ottobre, i soldati azerbaigiani si trovano a vari chilometri dal principale punto di passaggio tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, conosciuto come il Corridoio di Lachin’. [it]
Mentre gli scontri continuano, la domanda da porsi non è se Karabah possa fronteggiare una crisi umanitaria, ma come questa possa essere evitata. Questa guerra è stata combattuta nell’ombra di una pandemia — la COVID-19 incombe su uno stato non riconosciuto a livello internazionale, quasi separato dal suo unico collegamento con il supporto esterno, mentre si avvicina l’inverno.
Il 26 Settembre, il giorno prima che le ostilità iniziassero, Hetq, un media investigativo armeno, ha riportato le ultime cifre del Ministero della Salute di Nagorno-Karabakh. Afferma che sono stati registrati 421 casi di COVID-19 nel territorio. Quella settimana, anche i media armeni hanno riportato che il Nagorno – Karabakh ha registrato 12 nuovi casi di COVID-19 in un solo giorno; un grande aumento per un territorio di 140.000 abitanti.
Emerge che le autorità sanitarie non sono riuscite a stare al passo con le nuove statistiche sui casi di COVID- 19 da quando è iniziata la guerra.
Global Voices ha tentato di contattare il Ministero della Salute di Nagorno-Karabakh, ma senza successo. Tuttavia, il 22 ottobre, il Ministro della Salute Ararat Ohanjanyan indica all’agenzia Associated Press che molti degli operatori sanitari locali a Krabakh erano a conoscenza di essere stati infetti, ma hanno mantenuto il silenzio. “Non abbiamo avuto il tempo di rintracciare coloro che erano stati contagiati mentre Stepanakert veniva bombardata, e questo ha permesso una diffusione del contagio” afferma Ohanjanyan, che continua a lavorare nonostante sia risultato positivo al test.
Combattere efficacemente una pandemia mentre si cerca di sopravvivere ad una guerra risulta praticamente impossibile. Secondo un reportage di Euronews risalente al 21 Ottobre, alcuni dei pazienti affetti dalla COVID-19 a Stepanakert si sono dovuti riparare dalle bombe in alcuni scantinati insieme a persone non ancora infette, aumentando così il rischio di contagio.
“Oggettivamente e personalmente, nessuno può porre sufficiente attenzione alle misure di prevenzione”, ha spiegato il responsabile diritti umani in Nagorno-Karabakh, Artak Beglaryan durante una conversazione telefonica.
Lika Zakaryan, una giornalista di Stepanakert, in uno scambio con Global Voices, ha dichiarato senza tanti giri di parole che “a nessuno interessa della COVID-19 in questo momento. Molte persone probabilmente sono infette, date le ferite di guerra negli ospedali” ha dichiarato la giornalista di CivilNet, una testata giornalistica online armena.
Zakaryan inoltre aggiunge che per quanto è di sua conoscenza, la maggior parte degli ospedali in Nagorno-Karabakh, incluso il policlinico di Stepanakert, sono operanti. Mher Musaelyan, direttore del reparto di Clinica Medica del Republican General Hospital a Stepanakert, ha confermato a Global Voices, durante una conversazione telefonica, che non era a conoscenza di nessun monitoraggio su larga scala del tasso di infezioni da COVID-19. “Ad ora, il nostro compito principale è quello di curare i feriti”, ha spiegato il Dr. Musaelyan, sottolineando che i dottori faranno del loro meglio per curare tutti coloro che presentano sintomi della COVID-19.
Tuttavia, alcune strutture mediche sono state danneggiate dai bombardamenti. Per esempio, anche se è presumibile che i più grandi ospedali del territorio abbiano i loro generatori di corrente, un attacco azerbaigiano sulla principale centrale elettrica di Stepanakert ha portato alla perdita di elettricità nella città il 3 ottobre. Il 14 ottobre, invece, sono comparse alcune foto mostranti il bombardamento di un ospedale nella fortemente contestata città di Martakert, per le quali gli ufficiali Armeni affermano sia stato un attacco intenzionale, negato dalla controparte azerbaigiana.
Questa guerra arriva insieme ad un aumento dei casi di COVID-19 in tutto il Caucaso del Sud.
L’Armenia è stata quella più colpita duramente all’inizio. Il 22 ottobre, i media hanno riportato un incremento di 2306 casi di COVID-19 in un solo giorno – il dato peggiore dall’inizio della pandemia a marzo. Ma non sono buone le notizie neanche per l’Azerbaigian; il 21 ottobre la capitale Baku ha registrato il record giornaliero con 825 casi.
Dato l’elevato aumento di casi, gli ufficiali armeni iniziano a dubitare che il loro già tormentato sistema sanitario sia in grado di affrontare un incremento della richiesta. E quella richiesta è considerevole, dal momento che la guerra ha già portato migliaia di armeni da Nagorno-Karabakh a fuggire verso il sud dell’Armenia [ru]. Beglaryan stima che circa il 60% della popolazione del territorio sia già stata dislocata.
“Il nostro sistema sanitario potrebbe presto collassare se la situazione continua così, e potremmo non essere più in grado di ricoverare i casi più gravi. Al momento abbiamo 2000 pazienti negli ospedali,” ha segnalato l’epidemiologa Lusine Paronyan in una conferenza stampa il 22 ottobre. Paronyan, che dirige il Centro Nazionale di Controllo delle malattie del Ministero della Salute dell’Armenia, ha aggiunto che i servizi sanitari stanno lavorando con i militari per assicurare che, tramite il rintracciamento dei contatti, il virus non abbia raggiunto il fronte.
“Stiamo tracciando ogni singolo caso diagnosticato della COVID-19 per chiedere a tutti coloro che sono stati in stretto contatto di isolarsi. Questi dati sono forniti dal Ministero della Difesa della Repubblica di Armenia, così da essere in grado di impedire al virus di raggiungere le prime linee.” – Lusine Paronyan, Ministro della Salute.
Paronyan e i suoi colleghi, inoltre, hanno sollecitato gli armeni a ricordare che ora il paese si trova a fronteggiare due guerre, e che nessuna delle due è stata ancora vinta:
Ufficiale del Centro Nazionale per il Controllo delle Malattie e Prevenzione dell’Armenia: Dallo scoppio della guerra in Artsakh, i casi della COVID- 19 sono drasticamente aumentati del 13%. Ha chiesto alla gente di rimanere vigile e di seguire i protocolli di sicurezza.
Arsen Torosyan, il Ministro della Salute Armeno, insinua che la leadership dell’Azerbaigian sarebbe colpevole di qualunque incremento delle morti dovui alla COVID-19 in Armenia e Karabakh:
Le #aggressioni militari durante la #pandemia hanno raddoppiato la natura #terrorista della leadership azerbaigiana.
Le organizzazioni internazionali evocano sempre più la pandemia nei loro appelli per un ridimensionamento.
“L’Armenia non sta vincendo. L’Azerbaigian non sta vincendo. La COVID-19 sta vincendo. Dobbiamo fermarlo.” sollecita il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gutierres il 21 ottobre.
Per Hans Klüge, capo dell’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), ulteriori ostilità contribuirebbero direttamente ad una seria diffusione dei casi della COVID-19.
“Non prevedo che la guerra abbia un impatto; già so che ce l’ha,” conclude Beglaryan, difensore dei Diritti Umani. “È chiaro che il conflitto ha influenzato negativamente la pandemia, molto negativamente. Non abbiamo i numeri esatti a causa del carico di lavoro che il sistema sanitario si trova a fronteggiare. Questo non sta testando e trattando i casi adeguatamente come faceva prima, quindi non abbiamo nemmeno delle statistiche generali. Sulla base delle mie conversazioni con i dottori e il Ministero della Salute, è abbastanza chiaro che i numeri sono aumentati svariate volte. Non due volte e nemmeno tre, ma probabilmente dieci o quindici. Si sta attivamente espandendo.”
Ma la nostra conversazione è stata interrotta.
“Stanno colpendo di nuovo” ha detto Beglaryan, e chiude la chiamata.
Questa sera, Stepanakert è stata attaccata ancora una volta.