Cinquantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Il Ministro degli Esteri dell’Artsakh chiede misure efficaci con maggiore pressione e sanzioni contro l’Azerbajgian (Korazym 04.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.02.2023 – Vik van Brantegem] – Il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Sergey Ghazaryan, ha inviato lettere agli Ambasciatori di un certo numero di paesi accreditati in Armenia, ha dichiarato il servizio stampa del Ministero degli Esteri dell’Artsakh. Nella sua lettera, Ghazaryan ha presentato i problemi umanitari nell’Artsakh causati dalla chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbaigian, nonché l’impatto negativo delle interruzioni della fornitura di gas naturale ed elettricità sulla vita quotidiana delle persone e sull’economia della Repubblica. Ha sottolineato che il blocco non è il primo tentativo dell’Azerbajgian di pulire etnicamente l’Artsakh, ma una continuazione diretta dell’aggressione scatenata dall’Azerbajgian nel 2020, a seguito della quale è stata occupata una parte significativa del territorio dell’Artsakh e 38.000 cittadini sono diventate rifugiati e sfollati interni.
Ghazaryan ha osservato che il rifiuto dell’Azerbajgian dell’offerta del governo dell’Artsakh di condurre un monitoraggio internazionale indipendente della miniera di Kashen è stata un’altra prova che la “protesta” guidata dai servizi speciali azeri perseguiva un obiettivo completamente diverso, in particolare, prendere il pieno controllo del Corridoio di Berdzor (Lachin) in violazione della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020.
Il Ministro Ghazaryan ha sottolineato che le false affermazioni dell’Azerbajgian secondo cui la strada era aperta sono state confutate dal fatto che dal 12 dicembre 2022 fino ad oggi nessun veicolo appartenente ai residenti dell’Artsakh è passato attraverso il Corridoio di Lachin. Infatti, solo i veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle forze di mantenimento della pace russo possono transitare sulla strada bloccata. Inoltre, non riuscendo a convincere la comunità internazionale della presunta natura ecologica della “protesta”, le autorità azere affermano che gli eventi che si stanno svolgendo nel Corridoio di Berdzor (Lachin) sono loro affari interni, che non devono discutere con nessun Paese. Nel frattempo, è ovvio che tutte le suddette azioni dell’Azerbajgian perseguono un unico obiettivo: la pulizia etnica dell’Artsakh.
Nella sua lettera, il Ministro degli Esteri dell’Artzakh, Sergey Ghazaryan, ha esortato gli Ambasciatori stranieri accreditati in Armenia a presentare ai rispettivi Governi il quadro reale di quanto accade sul campo. In particolare, Ghazaryan scrive: «Vi esortiamo a trasmettere al vostro governo il nostro appello affinché adotti misure efficaci, inclusa l’imposizione di sanzioni o l’utilizzo di altri strumenti di pressione, volte a revocare il blocco dell’Artsakh e prevenire le intenzioni criminali dell’Azerbaigian».
Il dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, sta rapidamente perdendo amici e guadagnando nemici. Lo sa, tuttavia non ha altra scelta che mantenere viva la fiamma della guerra. Questo è l’unico modo in cui il suo governo può sopravvivere.
Con i giorni che passano il video-propagandista Adnan Huseyn diventa più aggressivo e sconnessa dalla realtà (per quanto possibile con il livello che manteneva già da prima, quando non aveva postato nemmeno nulla relativo all’ecologia o all’ambiente al di fuori di UN tweet che faceva parte di una più ampia narrativa di propaganda di Stato azera. Il suo improvviso attivismo “ecologista” è iniziato il 12 dicembre 2022 con l’inizio del #ArtsakhBlockade. E da allora è il megafono della narrativa di Aliyev, dimostrando giorno dopo giorno in modo geniale che l’Artsakh è tenuto sotto assedio, mostrando che solo veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle forze di mantenimento della pace russo vengono fatte passare attraverso il blocco.
Per Huseyn e i suoi simili tutto è regolare lungo l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert: il Comitato Internazionale della Croce Rossa e le forze di mantenimento della pace russo stanno facendo quello che fanno regolarmente, proprio come Uber o FedEx, BRT e UPS. Hanno semplicemente preso in mano il trasporto. E i negozi a Stepanakert sono strapieni. Patetico.
Sabato 11 febbraio 2023 alle ore 18.30 si terrà l’inaugurаzione della mostra fotografica di Antonio Ferrari Armenian Revolution presso l’Anda Venice Hostel in via Ortigara 10 a Mestre-Venezia. Ospiti: Prof. Aldo Ferrari, docente di Armenistica e Sona Haroutyunian ricercatrice di Armenistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
«La giornalista freelance a Stepanakert, Siranush Sargsyan, ha twittato oggi [3 febbraio 2023] evidenziando un matrimonio che ha avuto luogo a Stepanakert. Ha twittato: “L’amore non può essere bloccato. La giovane coppia Tigran e Christine ha deciso di mantenere il proprio impegno matrimoniale, ma senza alcun tipo di festeggiamento, solo una cerimonia in chiesa per ufficializzarlo e poi tornare a casa con le proprie famiglie. Oggi, sotto assedio hanno messo su famiglia”. Un momento di bellezza catturato nel caos. Un momento di speranza per le persone coinvolte nel matrimonio. Un momento per guardare insieme al loro futuro. Un momento d’amore che supererà tutte le difficoltà che hanno dovuto affrontare. L’amore supererà sempre l’odio indipendentemente dalla situazione. La caratteristica chiave dell’essere umano è essere amati e diffondere amore agli altri. Questo è un buon promemoria di ciò per il mondo che anche durante i tempi bui, freddi e affamati che Artsakh ha e dovrà affrontare, continueranno ad amare e creare bellezza» (Varak Ghazarian – Medium, 4 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
«L’amore in una città sotto assedio Giorno 54 #ArtsakhUnderSiege» (Siranush Sargsyan, 3 febbraio 2023).
«L’amore non può essere bloccato. La giovane coppia Tigran e Christine ha deciso di mantenere il proprio impegno matrimoniale, ma senza alcun tipo di festeggiamento, solo una cerimonia in chiesa per ufficializzarlo e poi tornare a casa con le proprie famiglie. Oggi, sotto assedio hanno messo su famiglia» (Siranush Sargsyan, 3 febbraio 2023).
«I mercati di carne di maiale e pollame sono stati colpiti, dato che questi animali sono alimentati con cereali, che in precedenza venivano importati dall’Armenia. Se il blocco continua, ci saranno anche carenze di mangimi concentrati e granulari, che avranno un impatto sulla produzione di tutto il bestiame» (Siranush Sargsyan 3 febbraio 2023).
«Una giornata intensa in Azerbajgian sta volgendo al termine. Si è parlato molto della nostra cooperazione nel settore del gas, ma allo stesso tempo anche l’energia rinnovabile deve ricevere una giusta quota di attenzione, poiché l’Azerbajgian ha un forte potenziale rinnovabile non sfruttato» (Kadri Simson, 3 febbraio 2023).
L’Unione Europea compra non solo il gas dall’Azerbajgian, ma indirettamente anche il gas russo, raggirando le sanzioni. Comprando il gas da questi due Paesi si permette il #ArtsakhBlockade. La Signora Simson, insieme al suo capo la Signore von der Leyen sta incoraggiando il dittatore Aliyev a commettere un genocidio.
L’Azerbajgian non si preoccupa della natura, non si preoccupa delle energie rinnovabili e non si preoccupa di Simson né di von der Leyen. Il suo dittatore Aliyev si preoccupa solo del proprio profitto.
Tutta quella corruzione, la diplomazia al caviale, l’oligarchia petrolifera e la violenza contro le minoranze etniche in Azerbajgian è davvero luccicante… così luccicante che ha accecato la Signora Simson dai suoi obblighi come rappresentante Unione Europea e di essere un essere umano decente.
Il rilancio delle forniture di gas russo all’Azerbajgian solleva interrogativi sull’accordo Baku-Brussel
Le rinnovate vendite di gas russo all’Azerbajgian stanno rendendo molto più difficile il compito di impedire le esportazioni di gas di Mosca
IntelliNews, 22 novembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
La russa Gazprom ha annunciato il 18 novembre che consegnerà fino a 1 miliardo di metri cubi di gas naturale all’Azerbajgian entro marzo, in base a un nuovo contratto con la compagnia petrolifera statale Socar.
Gazprom è stato un fornitore di gas all’Azerbajgian tra il 2000 e il 2006, ma poi il Paese ha rapidamente ampliato la propria produzione di gas nel giacimento di Shah Deniz gestito da BP, consentendogli non solo di coprire il proprio fabbisogno di gas, ma anche di esportare forniture in Georgia e Turchia. Con gran parte del suo gas appaltato ad acquirenti stranieri, l’Azerbajgian è poi tornato alle forniture russe nel 2017-2018, solo per cessare nuovamente gli acquisti dopo che la seconda fase dello sviluppo di Shah Deniz ha fatto fluire il suo primo gas nel 2019.
L’Azerbajgian ha da tempo dato la priorità alla vendita del proprio gas all’estero rispetto al fabbisogno interno, al fine di massimizzare i ricavi delle esportazioni, e questo lo ha portato ad una compressione del gas interno. L’accordo con Gazprom arriva mentre l’Azerbajgian si prepara al picco della domanda di metà inverno. Tuttavia, la ripresa delle importazioni di gas russo ora solleva anche ulteriori interrogativi, considerando che l’Azerbajgian si è recentemente impegnato a pompare più gas in Europa, al fine di compensare la perdita della fornitura russa.
In una dichiarazione all’agenzia di stampa azera APA, Socar ha affermato di avere una lunga storia di cooperazione con Gazprom e che le due società “stanno cercando di ottimizzare la loro infrastruttura organizzando lo scambio reciproco di flussi di gas”.
Le forniture di gas azero all’Europa attraverso il Corridoio Meridionale del Gas erano state impostate per raggiungere quest’anno i 10 miliardi di metri cubi all’anno concordati contrattualmente. E in base a un memorandum d’intesa firmato tra Baku e Brussel a luglio, la parte azera si è impegnata ad aumentare le esportazioni a 12 miliardi di metri cubi nel 2022.
Sia Brussel che Baku hanno elogiato il nuovo accordo come un’espansione delle relazioni energetiche tra l’Unione Europea e l’Azerbajgian. La Commissione Europea ha pubblicizzato l’accordo come una vittoria nei suoi sforzi per diversificare l’approvvigionamento di gas dell’Unione Europea. Ma non è mai stato specificato se la fornitura extra sarebbe stata acquistata.
Secondo Eurasianet, citando una fonte vicina al consorzio Shah Deniz, responsabile di tutte le esportazioni di gas azero, non sono stati concordati ulteriori accordi di esportazione per vendere il gas dal giacimento, oltre i 10 miliardi di metri cubi all’anno già concordati contrattualmente. Ciò solleva la questione se il gas russo sarà rivenduto per adempiere all’accordo con l’Unione Europea.
La ripresa della fornitura di gas russo all’Azerbajgian potrebbe semplicemente indicare che Baku è ancora una volta preoccupata per la stretta dell’offerta interna. E infatti, l’accordo Azerbajgian-Unione Europea è solo un memorandum, e quindi non vincolante. Ma la tempistica desta sospetti e suggerisce che Brussel continui a sostenere lo sforzo bellico russo in Ucraina, anche se indirettamente, poiché l’Azerbajgian potrebbe essere in grado di utilizzare il gas russo per coprire la propria fornitura interna al fine di liberare volumi per l’esportazione in Europa.
L’Azerbajgian è, ovviamente, libero di importare tutto il gas che desidera. Ma se utilizza il gas russo per inviare maggiori forniture all’Europa, ciò minerebbe ovviamente lo spirito dell’accordo Baku-Brussel. Servirebbe anche come un altro esempio di quanto sia difficile per l’Europa assicurarsi alternative al gas russo nel breve termine.
Prospettive a lungo termine
In base all’accordo di luglio, l’Unione Europea sta cercando di espandere gli acquisti di gas azero a 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027. A lungo termine, l’Azerbajgian potrebbe avere il potenziale per raggiungere questo obiettivo, senza dover ricorrere a quantità significative di gas russo. Il Paese ha una serie di riserve non sviluppate che potrebbero essere assegnate al bisogno.
Tra le riserve non sviluppati nel Caspio azero, sono provati i campi di Absheron, Umid e Garabagh. La fase 3 di Shah Deniz, che comprende le riserve di gas situate al di sotto di quelle già in produzione, non è provata, né lo sono gli strati di gas più profondi nel progetto petrolifero Azeri-Chirag-Guneshli (ACG). Né le risorse sono state dimostrate alla prospettiva Babek.
Karabagh, che è stato sviluppato dalla Socar dell’Azerbajgian e dalla norvegese Equinor nell’ambito di un accordo di servizio di rischio, potrebbe fornire 2 miliardi di metri cubi all’anno al plateau, sulla base delle sue riserve e delle dichiarazioni del governo azero. Tuttavia, questo volume extra sarebbe pronto solo entro il 2025-26.
Absheron, sviluppato da una joint venture tra la Socar e la francese TotalEnergies, potrebbe fornire 5 miliardi di metri cubi all’anno, ma non fino a dopo il 2027. L’attuale giacimento di Umid sta attualmente producendo 1,7 miliardi di metri cubi all’anno e questo potrebbe aumentare fino a 3 miliardi di metri cubi. Nel frattempo Babek, situato adiacente al campo, potrebbe produrre 3-4 miliardi di metri cubi all’anno, secondo le stime dello Stato azero, ma allo stesso modo non per qualche altro anno.
A Shah Deniz Stage 3 e ACG Deep Gas, la perforazione di nuovi pozzi dovrebbe iniziare quest’anno e i risultati dei sondaggi contribuiranno a definire i volumi delle risorse e il potenziale di produzione. Ma in ogni caso, sembrerebbe che l’Azerbajgian abbia il potenziale per fornire all’Europa il gas che vuole. Tuttavia, in tutti questi progetti, saranno necessari investimenti stranieri, tecnologia e know-how per condurre lo sviluppo. Ciò è particolarmente vero a Umid e Babek, che sono entrambi campi geologicamente complessi che attualmente mancano di qualsiasi partecipazione occidentale.
Gli investimenti potrebbero anche essere più difficili da garantire, poiché molte major occidentali hanno annunciato piani per ridurre la spesa in conto capitale in petrolio e gas nei prossimi anni a favore delle energie rinnovabili e di altre tecnologie a basse emissioni di carbonio. Ciò include BP, il più grande investitore nel settore petrolifero dell’Azerbajgian, la cui strategia attuale prevede un taglio del 40% nella produzione di petrolio e gas nel prossimo decennio.
I finanzieri occidentali, allo stesso modo, si sono impegnati a eliminare gradualmente alcuni o tutti i loro investimenti in combustibili fossili, inclusa la Banca Europea per gli Investimenti, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’avvio del progetto del Corridoio Meridionale del Gas che collega l’Azerbajgian al mercato europeo del gas.
D’altra parte, il Corridoio Meridionale del Gas ha avuto successo in un momento in cui i prezzi spot del gas in Europa erano generalmente bassi. Grazie al sostegno politico dell’Unione Europea e degli Stati nazionali che ricevono il gas azero, sono stati concordati contratti a lungo termine anche se i prezzi in base a essi non sempre competono con la fornitura russa o con i carichi spot di GNL.
Ora la situazione è molto diversa. I prezzi spot sono ora eccezionalmente alti e l’offerta russa è ora inaffidabile e dovrebbe essere comunque eliminata secondo i piani dell’Unione Europea nei prossimi anni. Ciò conferisce al gas azero extra, prezzato in base a contratti a lungo termine, un vantaggio competitivo. Anche se c’è meno sostegno politico da parte di Brussel per i nuovi progetti sui combustibili fossili, è possibile che le condizioni di mercato spingano a sostenere un aumento dell’offerta.
Intervista in esclusiva con Ruben Vardanyan
Parla il Premier dell’Artsakh assediato. “Non potete ignorarci”
di Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiana, 4 febbraio 2023
Intervista effettuata via Zoom, consulenza per la traduzione di Patricia Gooding-Williams
Da due mesi prosegue la nuova crisi del Nagorno Karabakh (Artsakh), la regione a maggioranza armena incastonata nel mezzo dell’Azerbaigian e in lotta per l’indipendenza. L’Azerbaigian sta bloccando il Corridoio di Lachin. Dopo la guerra del 2020, è rimasta l’unica strada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia. La Bussola ha intervistato il Ministro di Stato Ruben Vardanyan. “Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più”. “Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci”.
Dal punto di vista politico, le ragioni dell’Azerbaigian sono ancora senza una spiegazione, se non quella di indurre gli armeni della regione indipendentista a piegarsi. La stampa azera (e di conseguenza anche quella parte di media europei che ne seguono la narrazione) attribuisce molte delle colpe al nuovo Ministro di Stato nominato a novembre dal presidente: Ruben Vardanyan. Cinquantaquattrenne, nipote di un sopravvissuto del genocidio armeno del 1915, nato a Erevan (Armenia), ma divenuto uomo d’affari di grande successo a Mosca, è per questo considerato dalla stampa avversaria come “emissario del Cremlino”. È però un fatto che dal 2021 sia diventato cittadino armeno e l’anno dopo, rinunciando alla cittadinanza russa, abbia accettato di supervisionare il governo della Repubblica di Artsakh, il nome politico armeno del Nagorno Karabakh. Era uno degli imprenditori, banchieri, filantropi più ricchi e corteggiati, vincitore di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, ma ora ha scelto di guidare il governo di una repubblica con 120mila abitanti, che non è riconosciuta internazionalmente ed è uno dei più pericolosi luoghi del mondo. E giusto per iniziare il suo mandato, l’Azerbaigian gli impone un blocco totale, un vero assedio. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha incontrato (virtualmente) nel suo studio a Stepanakert.
Signor Ministro di Stato, come mai, da miliardario ha scelto l’Artsakh?
Con mia moglie abbiamo preso questa decisione nel 2008, quando ho guadagnato per la prima volta molto denaro, e ne abbiamo discusso con mio figlio. Ci siamo detti che il mondo stava subendo una grande trasformazione, con molte crisi e sfide, e che volevamo lasciare ai nostri figli non tanto i soldi, quanto un mondo migliore; per questo abbiamo deciso che era meglio spendere la nostra ricchezza per la filantropia. La seconda ragione è la guerra del 2020. Ero molto legato all’Artsakh, il luogo di cui mi sono innamorato a prima vista, l’ho visitato molte volte, mio figlio vi ha fatto il servizio militare, mia figlia ci ha vissuto per anni, mia nonna era originaria di qui, e sentivo un legame molto stretto con questa terra e la sua gente. È orribile quello che è successo nel 2020. Ho tenuto discorsi pubblici che sono stati seguiti da milioni di persone ed ho ricevuto una reazione piuttosto emotiva. L’esperienza della guerra è stata come passare una linea rossa: «È ora che tutti capiscano cosa è possibile fare per l’Artsakh». E poi nel 2022, quando ho visto quello che stava accadendo in Artsakh di nuovo, quando gli azeri stavano lentamente entrando nei villaggi e iniziando a prendere il controllo del nostro Paese, mi sono detto: questo è il momento di fare una scelta, o continui a fare filantropia ed essere una persona generosa ma solo emotivamente legata alla causa, oppure diventare responsabile ed iniziare ad agire in prima persona. È per questo che mi piace la frase di Amedeo Modigliani, uno dei miei artisti preferiti: “La vita è un dono: dai pochi ai molti: di coloro che sanno o che hanno a coloro che non sanno o che non hanno”. Ci sono vari modi di fare filantropia e per me è importante restituire alla mia nazione quel che mi ha dato.
Quanto è grave la situazione nell’Artsakh dopo più di un mese di blocco del Corridoio di Lachin?
Siamo in difficoltà da ben 54 giorni. Non stiamo vivendo una situazione catastrofica, come Haiti dopo il terremoto. E nemmeno un assedio in cui la popolazione muore di fame perché è completamente privata del rifornimento di cibo, come era a Leningrado (nel corso dell’assedio tedesco del 1941-44, ndr). Direi che stiamo subendo una forte pressione da parte dell’Azerbaigian. Non abbiamo più normali consegne di cibo. Nessuno può lasciare l’Artsakh o entrare. Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più. Possiamo continuare a prendere qualcosa grazie a quel che ci viene fornito dalle truppe di pace russe e può passare la Croce Rossa. Il fatto di non poter uscire ha condizionato la psiche della gente. Non credono più nel futuro. Come nel lockdown durante la pandemia.
Le forze di pace russe non stanno intervenendo per tenere aperto il corridoio di Lachin. Perché?
Il loro mandato di peacekeeping è molto delicato, non possono usare armi, non hanno molti soldati in zona, vogliono evitare combattimenti. E non dimentichiamo che a bloccare il Corridoio di Lachin sono civili, non militari. Ufficialmente non è lo Stato, non è l’esercito, ma sono manifestanti che fermano il traffico sulla strada. Quindi è ancora più difficile usare la forza militare contro di loro.
Cosa pensa degli ambientalisti azeri che stanno bloccando la strada, considerando che ufficialmente si tratta di una manifestazione ambientalista?
Quante manifestazioni libere ci saranno mai state in Azerbaigian nell’ultimo trentennio, dall’indipendenza ad oggi? Tutte le manifestazioni sono state represse. Nessuno crede che questa protesta sul Corridoio di Lachin sia reale. È una manipolazione: è il governo azero che usa studenti e Ong. Noi abbiamo mandato lettere all’Azerbaigian e alle organizzazioni internazionali, chiedendo di mandare esperti per verificare di persona l’origine della protesta ambientalista (cioè la riapertura delle miniere, ndr). Ma l’Azerbaigian non accetta nessuno che non siano i loro esperti.
La nuova Comunità Politica Europea, riunita a Praga, aveva combinato un incontro fra Azerbaigian e Armenia. Ed eravamo tutti convinti che si potesse raggiungere un compromesso. Cosa è andato storto?
Una cosa è la tensione fra Armenia e Azerbaigian, tutt’altra è la questione dell’Artsakh. Noi vogliamo l’indipendenza dall’Azerbaigian sin dai tempi in cui eravamo tutti nell’Urss, dal 1988. La pace potenziale fra Armenia e Azerbaigian non cambia la nostra situazione. Il gruppo di Minsk, cioè Stati Uniti, Francia e Russia, cerca di risolvere il problema, ma l’Azerbaigian non accetta alcun consiglio perché ci considera come un problema interno. Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci, se volete trovare una soluzione, dobbiamo aprire i negoziati su questo punto.
Gli Usa ospitano una grande popolazione armena. Lei pensa che gli Stati Uniti possano intervenire in futuro?
Sì e no. Gli Stati Uniti sono lontani e pensano soprattutto a Stati più grandi: alla Russia, all’Iran, alla Turchia, l’Armenia è troppo piccola per loro. Ma comunque hanno già giocato un ruolo importante, assieme alla Russia, per fermare la guerra del 2020, facendo forti pressioni sull’Azerbaigian. Ritengono inaccettabili le operazioni di pulizia etnica e altre violazioni dei diritti e degli standard umanitari. Ci potrebbero fornire un grande aiuto con un ponte aereo, perché l’Azerbaigian non fermerebbe voli dagli Stati Uniti. Potrebbero fornirci assistenza alimentare e umanitaria e, potenzialmente, imporre anche sanzioni allo Stato azero, per la sua politica inaccettabile.
Il Parlamento Europeo ha condannato il blocco con una risoluzione del 19 gennaio, su basi umanitarie. Cosa pensa dell’azione dell’Ue?
Il problema, per l’Unione Europea, è che alle parole non seguono i fatti. Probabilmente perché l’Azerbaigian le fornisce petrolio e gas, con contratti molto vantaggiosi. Lanciare bei proclami è sempre un bene. Ma non abbastanza.
Cosa pensa del silenzio, relativo, dei media europei?
Quando vivi in un periodo con così tante crisi assieme, pandemia, guerre, shock economici… è difficile che la gente voglia leggere notizie di qualche altra tragedia. Secondo: anche i problemi interni all’Europa sono tanti e gravi. Terzo, e ancor più importante si dovrebbe pensare alla solidarietà per tante altre parti del mondo e non solo per la nostra regione. Noi non forniamo abbastanza informazioni, forse non stiamo facendo un buon lavoro. Ma siamo troppo lontani, la gente non riesce ad interessarsi.
Conta il fatto che siete alleati della Russia?
Probabile, ma in Europa c’è sempre stato un grande rispetto per la democrazia. E l’Artsakh è una democrazia. Si sono alternati quattro capi di governo di Stato, abbiamo le elezioni, abbiamo un’opposizione vera e una società aperta. L’Azerbaigian, al contrario, è una tipica autocrazia, dove una sola famiglia comanda e non c’è alcuna libertà, nessuna democrazia, nessun rispetto per i diritti umani.
Nagorno-Karabakh/“Armeni isolati, l’Azerbaijan vuole la pulizia etnica”
Gli armeni del Nagorno-Karabakh sono isolati dal Blocco del corridoio di Lachin voluto dall’Azerbaijan. E ormai sono ridotti alla fame. Neppure la Russia interviene
Intervista a Pietro Kuciukian
di Paolo Rossetti
Il Sussidiario, 4 febbraio 2023
Il Corridoio di Lachin, per arrivare nel Nagorno-Karabakh, continua a rimanere chiuso. E gli armeni intrappolati nell’area tra l’Armenia e l’Azerbaijan sono protagonisti, loro malgrado, di una vera e propria crisi umanitaria, che la guerra in Ucraina ha fatto passare in secondo piano.
“Rischiano di morire di fame” dice Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, console onorario dell’Armenia in Italia, figlio di un sopravvissuto del genocidio armeno, commentando il blocco dell’area voluto dagli azeri. Una situazione sempre più drammatica per la quale l’Occidente si sta muovendo, anche se, finora, non ha ottenuto gran che: “A parole si muovono tutti – continua Kuciukian – ma non succede nulla”.
Perché prosegue il blocco del corridoio e dei rifornimenti agli abitanti della regione?
Praticamente sono due mesi che questo passaggio vitale per 120mila armeni del Nagorno-Karabakh è bloccato, malgrado ci siano i mantenitori di pace russi, che però non sgombrano il passaggio. Mancano elettricità, gas, petrolio, medicine, cibo: i banchi dei supermercati sono vuoti. Hanno messo le tessere per il razionamento: un disastro. Io paragono la situazione a quella del ghetto di Varsavia: un blocco totale attorno ai confini con un’unica porta dalla quale non si passa.
Gli azeri dicono di esercitare il blocco per tutelare l’ambiente, un evidente pretesto. Qual è la richiesta di facciata che copre i veri motivi dell’intervento?
Dicono che vogliono andare a vedere la situazione di una miniera a Nord, per vedere se lì l’attività si svolge in modo corretto. Siccome non gliela fanno vedere, bloccano il corridoio. Evidentemente non c’entra nulla con le vere ragioni e cioè che si vuole depauperare la zona dagli armeni.
Quali sono gli scenari possibili, quali opzioni hanno di fronte agli armeni del Nagorno Karabakh per reagire a questa situazione?
Hanno tre opzioni. La prima è di diventare cittadini azeri. Si sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale. Se anche volessero diventare azeri bisogna ricordare che quando la regione, pur autonoma, è stata sotto l’Azerbaijan, non è mai stata sviluppata, è stata lasciata senza industria, senza trasporti, non si poteva insegnare l’armeno a scuola: se dovessero tornare azeri sarebbero vessati come in passato. Adesso, tra l’altro, c’è un’armenofobia montante, nelle scuole si insegna l’odio.
Questa opzione, insomma, non possono prenderla in considerazione. Quali altre scelte possono avere?
Potrebbero emigrare, andare via, in Armenia, in Russia, dove vogliono: sarebbe una pulizia etnica e culturale. C’era un analogo territorio, il Nachicevan, autonomo, assegnato all’Azerbaijan, abitato da armeni: lì non c’è più neanche un armeno. Non solo, c’erano 250 monasteri che sono stati rasi al suolo. Un intero cimitero di 10mila croci di pietra è stato completamente distrutto. Gli emissari dell’Onu che volevano andare a visitare questo luogo non hanno potuto farlo. Ultimamente hanno utilizzato sistemi satellitari per vedere se erano rimaste le fondamenta dei monasteri: non ci sono più. Se se ne vanno tutto ciò che c’è di armeno viene cancellato. E gli armeni sono lì da duemila anni, con le loro città, monasteri, chiese; c’è la più antica scuola armena fondata nel 400. Gli armeni cercano sempre di conservare la loro cultura: sono sparsi in tutto il mondo, ma in ogni dove, compreso ad esempio a Milano, mantengono le loro tradizioni, hanno la loro chiesa.
C’è anche la possibilità di rimanere e di cercare di resistere?
La terza opzione è di resistere. Gli abitanti della regione sono dei montanari abbastanza duri, potrebbe anche succedere che riescano ad opporsi a questa situazione. A questo punto, però, potrebbe verificarsi un genocidio: gli azeri potrebbero entrare e uccidere tutti, donne, vecchi e bambini.
Qual è il ruolo dei Paesi dell’area, della Russia, ad esempio?
L’Armenia rientra in un trattato di mutua difesa e assistenza fra le ex repubbliche sovietiche (Csto, nda), comprese Russia, Kazakhistan, Kirgizistan, Bielorussia e altre. Nel caso ci sia un’aggressione questo trattato deve entrare in funzione. C’è stata un’aggressione nell’ottobre 2020 (degli azeri a cui risposero Armenia e Nagorno Karabakh, nda) ma nessuno è intervenuto. La Russia, al di là della questione ucraina, ha interesse a sostenere gli azeri perché petrolio e gas russi passano attraverso le pipeline dell’Azerbaijan, arrivando fino in Italia con il Tap. Vuole mantenere buoni rapporti con gli azeri a costo di inimicarsi l’Armenia.
L’Unione Europea ha fatto qualcosa?
L’Europa ha chiesto di inviare degli osservatori, ma la Russia ha detto no. Gli armeni degli Stati Uniti, che a Los Angeles sono più di un milione, hanno chiesto a Biden di creare un ponte aereo per portare cibo e materiale in Karabakh. L’Azerbaijan ha risposto che qualsiasi aereo passerà sul suo territorio verrà abbattuto.
E la Turchia, invece, quale ruolo sta giocando?
La Turchia è alleata strettissima dell’Azerbaijan, il suo obiettivo risale ancora a cento anni fa: vuole ricongiungersi con i Paesi turcofoni e adesso è interessata moltissimo ad avere un pezzo di territorio armeno.
Quindi è a rischio anche l’Armenia?
Certo, già tre o quattro territori sono stati conquistati. La Turchia vuole un passaggio, l’Armenia sarebbe disposta a concederlo sotto il controllo della dogana. Ma i turchi vogliono proprio una parte di territorio a Sud.
Si sta muovendo qualcosa per risolvere la situazione?
Biden ha mandato un suo emissario, l’Europa vorrebbe mandare osservatori, sono tutte cose in fieri, nel frattempo la gente muore di fame. Nessuno sa come andrà a finire.
C’entrano anche la Georgia e l’Iran?
È stata convocata una conferenza dei Paesi asiatici, la Georgia insieme alla Russia e alla Turchia ha escluso l’Armenia. L’Iran è vicino all’Armenia, non vuole che venga scippato del territorio a Sud perché è un punto di passaggio per le sue merci. Ultimamente si sono ulteriormente deteriorati i rapporti tra Iran e Azerbaijan perché in quest’ultimo Paese c’è una base militare degli israeliani. Pare che siano partiti da lì i droni che hanno attaccato la fabbrica di Isfahan.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]