Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni? Huffingtonpost.it

Il primo gesto del nuovo presidente della Repubblica appena eletto è stato quello di recarsi al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, per rendere omaggio alla vittime della feroce barbarie nazifascista, a Roma.

D’altra parte solo qualche giorno fa, il 27 Gennaio, è stata celebrata la Giornata della Memoria per ricordare la liberazione dei campi di concentramento, e più in generale per condividere una memoria “storica” della strage operata dai nazisti contro il popolo ebraico. La Shoah. Il genocidio.

È risaputo che la descrizione del reato di genocidio sancita dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin è fondata sulle dinamiche stesse del genocidio armeno.

“Chi si ricorda oggi dello sterminio degli Armeni?”, chiese Hitler ai suoi ufficiali per spingerli alla soluzione finale della questione ebraica.
C’è una grande ignoranza in effetti riguardo allo sterminio del popolo armeno, di cui, quest’anno, si celebra il centenario. 1915-2015.
Il 24 Aprile è il giorno stabilito per la celebrazione, in ricordo della strage della intellighenzia armena, avvenuta proprio il 24 Aprile del 1915. Strage ad opera delle milizie paramilitari, sotto la diretta responsabilità dei Giovani Turchi.
“Medz Yeghern”, in armeno. Il Grande Male.
Genocidio.
“…singolare composizione di un etimo greco con uno latino. Si sarebbe dovuto dire “genicidio”, ma la parola era efficace e fu adottata”, leggo da uno stralcio della relazione del professor Vassalli, tenuta a Palazzo Valentini, a Roma il 3 maggio 2000 in occasione della tavola rotonda XX secolo: genocidio e genocidi.

Della questione armena e della Armenia si sa poco. I confini stabiliti nel 1991: a Ovest con la Turchia, a Est con l’Azerbaijan, a Sud una piccola striscia di confine con l’Iran.
Un punto nevralgico della politica medio-orientale attuale.
Dell’Armenia studiamo poco.
Forse più per assonanza che per vera consapevolezza, penso alla via degli artigiani napoletani dei presepi. Oppure alla bella chiesa armena di San Nicola da Tolentino, nel centro di Roma, proprio tra via XX settembre e piazza Barberini.

Tempo fa alla presentazione di un bel libro di fotografie Hotel Rebibbia, scatti realizzati all’interno della casa di reclusione da un amico fotografo, ho conosciuto un armeno.
Il primo, credo.
È un signore sulla sessantina, ben curato, capelli brizzolati, naso adunco, le mani forti nella stretta. Educato.
Mi raccontò di essere un ex detenuto. Aveva scontato una lunga condanna per reati legati perlopiù alla sua attività politica. È stato un militante dell’Asala, Armata segreta armena per la liberazione dell’Armenia. Anarchici e socialisti, si sono battuti, sanguinosamente anche, per il riconoscimento del genocidio degli Armeni e il conseguente risarcimento per le vittime delle stragi e della confisca dei beni.
Questa rivendicazione ora si sposta su un piano giuridico, al fine di tentare di ottenere il risarcimento da parte della Turchia e della Comunità europea.
Ci scambiammo i rispettivi contatti, con la promessa di risentirci e approfondire l’argomento.

Quando gli ho telefonato, è stato cordiale e contento di scambiare opinioni su un tema per lui così sentito.
L’appuntamento è in centro, davanti ad una delle più grandi librerie della città.
È un po’ in ritardo, ma quando esce dalla libreria mi mostra con un certo orgoglio il libro della sua relatrice di laurea, la professoressa Donatella Di Cesare, Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo.
Si è laureato in filosofia, con una tesi in filosofia del linguaggio.
In realtà nei lunghi anni di detenzione si è laureato in Architettura, e solo dopo si è laureato anche in Filosofia.
Ha avuto molto tempo a disposizione e tanta volontà.
Discutiamo un po’ di Heidegger, da punti di vista divergenti, dopo esserci salutati, mentre attraversiamo il ghetto ebraico diretti alla terrazza del Campidoglio.
C’è un bel sole ad illuminare i pochi tavoli sulla grande terrazza che si apre sul ghetto.
Dopo un paio di caffè, dopo aver saggiato la mia ignoranza riguardo alla questione armena, tira fuori dalla borsa che si porta dietro del materiale cartaceo che sospettava potesse servirmi.
Trascorriamo due ore a leggere le carte per avere intanto una idea, e quando ci salutiamo la promessa è di rivederci presto, con più coscienza e conoscenza della questione del primo genocidio del ‘900.

A casa, cerco un documentario a cui ha accennato I figli dell’Ararat, realizzato da Piero Marrazzo, giornalista Rai.
Scopro che Aznavour è armeno. Il nome originario è Aznavourian.
È intervistato anche il mio amico, qualche anno fa, più giovane più sveglio. Ma anche rinchiuso tra le mura gli odori i rumori del carcere di Rebibbia.
È stato giudicato per i suoi reati ed ha scontato la sua condanna. Io non lo giudico.
Cerco semplicemente di ascoltare ciò che ha da dire. Anche solo per imparare ciò che non so: le sue ragioni.

C’è un testo molto chiaro e semplice della professoressa Maria Immacolata Macioti Il genocidio armeno nella storia e nella memoria. È una prima lettura necessaria.
Sfogliando i documenti che mi ha fornito, ciò che per primo risulta è il parallelismo tra il genocidio ebraico e quello armeno. Entrambi possono essere definiti “modelli di genocidio” dell’epoca moderna, del secolo breve. Nonostante questo, però, è necessario anche scorgere le caratteristiche proprie di ognuno.
Innanzitutto gli Ebrei a differenza degli Armeni, in quanto accusati di deicidio, hanno patito, già prima dello sterminio, una più marcata esclusione sociale.

Altra sostanziale differenza, che è messa in luce, è che gli Ebrei vivevano in territori diversi in Germania e nel resto d’Europa, mentre gli Armeni popolavano la loro terra tra la Cilicia e l’Anatolia.
Pertanto se si è tentato di sterminare gli Ebrei a livello mondiale, gli Armeni sono stati sterminati “solo” sulle loro terre di origine.

Terre che dopo la scomparsa quasi totale del popolo che le coltivava, sono state confiscate.
Queste nuove conoscenze fanno barcollare un certo “tono” tutto occidentale di certezza e di sapere.
Quando rivedo il mio “amico”, mi racconta pezzi della sua storia a sprazzi. Armeno di terza generazione. In Armenia ancora non c’è mai stato. I suoi nonni sono riusciti a sfuggire allo sterminio e a fuggire in Libia dove lui è nato. Si è poi trasferito in Italia con una parte della sua famiglia.

La condizione di esilio e spesso di povertà che subisce una popolazione costretta alla diaspora verso altri paesi (gli armeni verso Usa, Medio-Oriente e Russia, Europa) è solo uno dei crimini contro l’umanità che rivendica la giusta attenzione al fine di rompere quel silenzio “complice”.

“Il silenzio, ‘in quanto negazione’ è l’ultimo atto di un genocidio”, c’è scritto negli atti della Commissione parlamentare della Camera dei deputati.
“(…) in altri termini è quell’atto (il silenzio) che rende il crimine del genocidio, un crimine perfetto”.

La Turchia ha sempre posto in atto questa strategia del silenzio, negazionista. Nel corso degli anni ha tentato non solo di negare ogni responsabilità diretta o indiretta del genocidio, ma ha anche ostacolato il riconoscimento del genocidio da parte dell’Onu.
Ha negato l’apertura degli archivi affinché non potessero emergere le responsabilità relative al genocidio e alla sua pianificazione da parte del Comitato unione e progresso, Ittihad Ve Terraki.

A questo proposito, le dichiarazioni del premier Erdogan dello scorso aprile sono sembrate una reale svolta ai fini della riparazione del danno compiuto dalle unità paramilitari.
Erdogan, ed era la prima volta da parte di un primo ministro turco, ha presentato le condoglianze della Turchia ai discendenti degli Armeni sterminati intorno al 1915.
L’Italia e altri venti paesi oltre al Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa e la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, definisce “genocidio” la strage perpetuata contro il popolo armeno.

Il prossimo 24 aprile pertanto può essere anche l’occasione per tentare di trasmettere ancora alle giovani generazioni il ripudio dell’odio razziale e la ricchezza dei rapporti tra popoli, civiltà e culture differenti.

In Italia, con una risoluzione della VII Commissione, dello scorso Luglio, si è impegnato il Governo “ad avvivarsi per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado durante l’anno scolastico 2014/2015 si promuova la conoscenza e lo studio del genocidio del popolo armeno, attraverso testimonianze e lezioni (…) favorendo la diffusione della cultura della pace e della concordia tra i popoli, nel rispetto delle differenti identità religiose e culturali”.