Chi si ricorda dei profughi armeni del Nagorno Karabakh? (AciStampa 04.12.23)
Sono statti più di centomila a dover lasciare tutto. Casa, lavoro e patria. Quella per cui hanno lottato fino all’ultimo: il Nagorno Karabakh. Quella enclave cristiana nello stato dell’ Azerbaijan islamico.
Sono fuggiti in Armenia, la loro patria di provenienza. Una tragedia che ha preso poco le prime pagine dei giornali. Niente grandi stati dietro il conflitto, niente fonti energetiche da difendere. Ma il dramma è lo stesso della Terra Santa. Si tratta della incapacità di due popoli di vivere in pace nella stessa terra.
Come ricorda Francesco Pistocchini sul numero di dicembre di Terra Santa, “dopo il violento attacco, sferrato il 19 settembre dall’Azerbaigian e durato pochi giorni, quello che restava dell’autonomia degli armeni che da secoli vivevano in questa regione montuosa, ufficialmente parte della repubblica azera, è finito”. Attraverso il tristemente famoso corridoio di Lachin la gente è fuggita “abbandonando case e terreni, chiese e cimiteri, le memorie della presenza antica di una minoranza cristiana”. E lo hanno fatto affrontando pericoli anche solo per fare rifornimento di benzina, coma i 170 morti neell’esplosione di un serbatoio di carburante.
A portare la sue testimonianza a Terra Santa è Ami Manukian, ricercatrice del Matenadaran, l’ Istituto che si occupa a Yeravan di manoscritti e pergamene dell’ Armenia. Lei come altri hanno portato gli aiuto ai profughi in uno centri armeni di prima accoglienza. “Dal 19 settembre- dice a Terra Santa- gli armeni del Nagorno Karabakh erano stati lasciati senza rifornimenti e beni essenziali che arrivavano dall’Armenia per la loro sopravvivenza, perché il transito nel corridoio di Lachin era interrotto e i militari russi che dovevano garantirne il funzionamento non si preoccupavano più della sua apertura. Affamati, nascosti nelle cantine, molti armeni del Karabakh, soprattutto ex-combattenti nelle due guerre precedenti, si sono sentiti sotto minaccia delle vendette dei soldati azeri. Dal 24 settembre hanno capito che la loro sicurezza personale era sempre più precaria ed è iniziata una fuga di massa precipitosa”.
La storia di questa regione è molto particolare. Dopo la guerra 1988-1994 vinta con l’aiuto dei russi, gli armeni della regione avevano creato un piccolo Stato autonomo: l’ Artsakh. Ma nel 2020 gli azeri riprendono il territorio: “pogrom, episodi di stragi di civili, hanno contrassegnatomomenti della storia recente per entrambi i popoli. La chiave di lettura dello scontro tra musulmani azeri e cristiani armeni è una semplificazione, anche se oggi si assiste a una pulizia etnica di una minoranza di cristiani orientali, come se le tragedie del Novecento, anche in quelle terre, si riproponessero senza fine”. Francesco Pistocchini ripercorre la storia recente di Armenia e Azerbaigian che dal 2001 sono Paesi membri del Consiglio d’Europa. “Ma né l’esistenza della Convenzione europea sui diritti umani, né le pressioni politiche dei Paesi europei (Ue e altri vicini) dove vivono in pace decine di minoranza etniche, religiose e linguistiche hanno permesso di costruire un percorso di pace e convivenza” L’Armenia poco più grande della Sicilia e con meno di 3 milioni di abitanti, ha sostenuto con gli alloggi e il lavoro per gli esuli.
Ma l’Azerbaigian sogna una continuità territoriale al Nakhchivan che confina con la Turchia e con il resto del Paese a Est. E questo può succedere solo con una Armenia isolata, e invadendo la regione meridionale del Syunik. Un rischio che purtroppo non sembra lontano.