Chi ha interesse a rinfocolare il conflitto tra Armenia e Azerbaigian? (Affarinternazionali 31.07.20)
Questa volta il teatro degli scontri non sono le montagne del Nagorno-Karabach, ma il confine che corre nella regione di Tavush/Tovuz, incuneata più a nord, verso la Georgia. Circa 230 chilometri lungo i quali si snodano piccoli villaggi armeni e azeri, abitati perlopiù da contadini, che vivono di raccolti non abbondanti, in una terra remota e bellissima. Ai tempi dell’Unione Sovietica era solo una linea amministrativa, oggi prevale diffidenza, paura, tensione. Le forze di sicurezza di Azerbaigian e Armenia si confrontano dalle rispettive postazioni, a volte per raggiungere i campi c’è bisogno di un lasciapassare. Ma finora lì non si era sparato.
Il conflitto tra Baku e Yerevan riguarda soprattutto il Nagorno-Karabach ed è esploso con il collasso dell’Urss, che ha lasciato la regione, culla della cristianità armena, entro l’Azerbaigian. Da allora, una sanguinosa guerra tra il 1991 e il 1994, esodi massicci di popolazioni, occupazione armena di 7 distretti azeri a protezione degli abitanti dell’area contesa, frequenti episodi di scontri armati con il corredo di vittime civili. Si tratta, in larga sintesi, di un conflitto tra l’indomita difesa armena della propria identità culturale e il caparbio richiamo azero all’integrità territoriale senza troppo riguardo ai diritti delle minoranze.
Crescendo di reazioni e contro-reazioni
Speranze di una tregua duratura erano state alimentate dall’inedita intesa tra il presidente azero Ilham Aliyev e il suo omologo armeno Nikol Pashinyan nell’ottobre 2018, all’indomani dell’arrivo al potere di quest’ultimo sulla spinta di una ‘rivoluzione arancione’ promossa dalla gioventù armena. L’intesa aveva previsto il cessate-il-fuoco e un canale di comunicazione diretto, un ‘telefono rosso’ tra comandi militari, per prevenire incidenti o malintesi. Ma nessuno ha alzato il telefono, o ha avuto il tempo di alzarlo, quel 12 luglio, e il crescendo di reazioni e contro-reazioni sta lasciando sul terreno decine di vittime. Non è chiaro se si sia trattato di un banale sconfinamento di pattuglie azere che ha creato allarme negli armeni, o di un’iniziativa calcolata per provocarne la reazione. Ma perché proprio ora che il clima trai due vertici era parso rasserenarsi? Chi ha interesse a rinfocolare il conflitto? Tre aspetti vengono in rilievo.
Primo. All’accorato appello di Papa Bergoglio ad entrambi i contendenti per la cessazione delle ostilità e la ripresa dei negoziati, e alla ferma dichiarazione del Segretario generale dell’Onu António Guterres nello stesso senso, è seguita una tiepida esortazione ad ‘astenersi dall’esacerbare il conflitto’ del Gruppo di Minsk, guidato da Stati Uniti, Francia, Russia, che per conto dell’Osce quel conflitto ha idealmente la responsabilità di sanarlo da quasi trent’anni. Segno che almeno due membri del Gruppo intendono non impegnarsi troppo, e cioè evitare incursioni nelle dinamiche dei veri protagonisti esterni, Russia e Turchia, quest’ultimo membro della Nato. In questo come in altri casi, né Stati Uniti né europei immaginano di imbarcarsi in un confronto con Ankara.
Lo scacchiere caucasico e le pedine di Mosca e Ankara
Secondo. Più chiare e nettamente divergenti le reazioni dei co-protagonisti esterni: Mosca e Ankara. Né poteva attendersi diversamente. Lo scacchiere caucasico è di fatto il prolungamento della contesa sotterranea in corso altrove tra i due Paesi, in Siria, Libia, Mediterraneo orientale, Balcani, per rimanere solo nelle vicinanze. Eurasia, per allontanarsene. Sono i due ex-imperi che si confrontano con ambizioni analoghe, ispirandosi ognuno al proprio passato.
Mosca, in continuità con posizioni che furono sovietiche – i suoi interventi nel passato si sono sempre ispirati a due principi, protezione dei diritti degli armeni ma integrità territoriale dell’Azerbaigian – ha assunto un approccio ‘equidistante’ segnalando anche la disponibilità a una mediazione, forte delle strette relazione politiche e di sicurezza con Yerevan entro e fuori la Csto (Trattato per la Sicurezza Collettiva del 1992), ma anche dei buoni rapporti con Baku consolidati da ultimo mediante forniture militari (che certo non sono piaciute agli armeni). Ma soprattutto in omaggio alla classica visione russa che l’”estero vicino” è di sua competenza e che Mosca ha tutte le carte in regola per farvi valere la propria influenza. Per contro, Ankara non ha esitato ad esprimere un appoggio a Baku che è parso al limite dell’incoraggiamento allo scontro, fino a ventilare un intervento militare “al fianco delle forze azere”. Una retorica bellica che apre la strada a un’altra avventura della Turchia?
La partita in gioco è rivelante
Terzo e non ultimo. A rigore, appare poco probabile uno scontro diretto Mosca-Ankara, se non altro considerando le acrobazie diplomatico-logistiche in corso in Siria, in particolare nella zona di Idlib e dintorni, oltre che il sopracitato interesse russo a mantenere i rapporti con entrambi i contendenti. Ma non sono da escludere altre forme di confronto secondo lo schema collaudato di guerre per procura, di cui sia Mosca sia Ankara sono diventati grandi esperte. La partita in gioco è rilevante. Per la Russia, si tratta di non tollerare l’esclusione da un’area di ‘tradizionale influenza’, e nemmeno di recedere, se questa fosse l’idea turca, da altre aree quali la Libia o la Siria. Per la Turchia, è cruciale preservare il ruolo di snodo strategico di infrastrutture energetiche in direzione Europa (oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyan, gasdotto Baku-Erzerum e relativo collegamento con il Tanap e poi con il Tap verso Brindisi), nonché la sicurezza del corridoio stradale e ferroviario Baku-Kars che apre orizzonti verso l’Eurasia.
Lo scenario complessivo suggerisce che anche in questo caso lo scontro in atto potrebbe tradursi in un ‘conflitto congelato’ che congelato non è. Valga per tutti, lo schema Donbass. Il bilancio delle vittime potrebbe rivelarsi pesante nel tempo. A meno che la sperimentata diplomazia di Mosca non riesca a riattivare il recalcitrante Gruppo di Minsk, o meglio i suoi protagonisti occidentali, quantomeno per calmare il gioco.