C’è un’Italia che si ribella alla pulizia etnica degli armeni (Tamoi 21.09.24)
All’inizio di settembre, Roma ha accolto calorosamente Ilham Aliyev, un dittatore sanguinario che un anno fa, il 19 settembre 2023, ordinò l’offensiva militare contro la popolazione indigena armena dell’Artsakh, noto anche come Nagorno-Karabakh. La ridenominazione dell’Artsakh in Nagorno-Karabakh, un termine ibrido russo-turco, riflette uno sforzo deliberato di oscurare la storica identità armena della regione, un atto simbolico di spartizione del territorio tra le sfere di influenza russa e turca. Gli ingenti danni causati dall’occupazione della Repubblica dell’Artsakh rappresentano non solo una perdita di proprietà, ma un attacco all’identità culturale armena e al retaggio storico della regione.
L’Artsakh è sempre stato armeno
L’Artsakh, regione abitata da secoli da armeni, aveva mantenuto a lungo la propria autonomia, ottenendo l’indipendenza di fatto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Per chi non conosce bene la storia del Caucaso del Sud. il nome stesso Azerbaigian è entrato nell’uso politico solo all’inizio del XX secolo, copiato dal toponimo di una regione persiana, mentre la presenza armena nell’Artsakh risale a tempi antichissimi.
Alla fine degli anni ’30, nel contesto del deterioramento delle relazioni tra l’Urss e la Turchia, chiamare gli azeri “turchi” divenne indesiderabile e Stalin decise che era necessario inventare un nome nuovo e diverso per i tartari turchi del Caucaso. Così il dittatore creò il popolo più giovane del pianeta Terra, chiamandolo “azerbaigiano”. Oggi, l’influenza della Russia nella regione sta rapidamente svanendo, come dimostra il ritiro della cosiddetta “missione di pace”, una forza che ha svolto un ruolo diretto nell’orchestrare la deportazione degli armeni dalla loro patria ancestrale.
Russia e Turchia dalla parte di Aliyev
L’attacco terroristico contro la popolazione armena dell’Artsakh dopo nove mesi di blocco criminale del Corridoio di Lachin, che portò alla pulizia etnica della regione, veniva presentato dal regime di Baku come una “operazione antiterrorismo”. L’operazione era guidata dai militari turchi – un fatto finora negato dalle autorità dell’Azerbaigian. Il dittatore Recep Tayyip Erdogan, che il mese scorso ha ammesso spudoratamente ai media internazionali che la Turchia era attivamente coinvolta nella guerra contro il Nagorno-Karabakh, ora sta spingendo ossessivamente il suo progetto di “corridoio extraterritoriale”.
Questa nuova agenda maniacale non è altro che un aperto tentativo di smantellare la sovranità della Repubblica d’Armenia.
Nel frattempo, lo stesso dittatore schiaffeggia la Russia di Vladimir Putin, dichiarando la Crimea parte indivisibile dell’Ucraina – un gesto di “gratitudine” verso Putin per il suo ruolo nella deportazione di massa e nel genocidio degli armeni dell’Artsakh. Proprio come un secolo fa: la Turchia sfrutta la politica anti-armena della Russia, conquistando territori armeni, mentre il suo stato satellite, l’Azerbaigian, continua a vendere il gas russo all’Europa!
Giorgia Meloni, cosa fai?
È in questo tetro contesto che gli armeni guardano Giorgia Meloni stringere la mano ad Aliyev, rimanendo in silenzio sul genocidio armeno in corso e sui 120.000 armeni dell’Artsakh, ai quali è stato negato il diritto di tornare alle loro case. Invece, il dittatore dell’Azerbaigian inventa nuove finzioni, sostenendo che i turchi azeri debbano “tornare” nel territorio dell’Armenia. Per aggiungere la beffa al danno, ribattezza cinicamente la Repubblica di Armenia come “Azerbaigian occidentale”.
Beh, si sa che non viviamo più in un mondo di onore e rispetto. Sono finiti i giorni di personaggi come Alain Delon e i fratelli Taviani, che visitavano l’Armenia per rendere omaggio alle vittime del genocidio armeno al Memoriale di Yerevan, di Charles Aznavour che chiedeva apertamente a Benjamin Netanyahu perché Israele non volesse riconoscere ufficialmente il genocidio armeno.
Oggi siamo intrappolati in un mondo freddo e pragmatico, guidato dal profitto e dall’interesse personale, dove tali valori stanno erodendo la democrazia stessa. Non stupisce il fatto che eventi internazionali come la Formula 1 e la Cop29 vengano ospitati nella capitale di un regime dittatoriale che continua a detenere illegalmente decine di prigionieri di guerra armeni.
Il legame tra Italia e Armenia
La vera democrazia è come una specie in via di estinzione. Tuttavia, rimane un barlume di speranza negli operatori umanitari che osano rompere il silenzio, non solo con le parole, ma con i fatti. Per me qualsiasi leader politico che stringe la mano e rafforza i legami con un regime antidemocratico e genocida non è altro che un opportunista che stringe accordi con i commercianti di petrolio. Per quanto mi riguarda, Meloni difficilmente rappresenta il vero spirito del popolo italiano.
Negli ultimi vent’anni mi sono dedicato a unire i popoli italiano e armeno attraverso l’insegnamento di lingue, la ricerca e le traduzioni, molte delle quali probabilmente rimarranno inascoltate, non lette e sconosciute. Tuttavia, credo che la più grande ricompensa per il mio lavoro siano state le persone che, attraverso questi sforzi letterari e accademici, hanno trovato un legame con me, con l’Armenia e con l’Artsakh.
Perché difendere la libertà dell’Artsakh
Pochi giorni fa un gruppo di italiani veneti ha visitato Arzakan, nella provincia armena di Kotayk. Sono persone attive, che hanno sostenuto per oltre quattro anni un progetto italo-armeno di assistenza ai rifugiati, indirizzato alle famiglie sfollate con la forza dall’Artsakh. Mentre piantavano alberelli su suolo armeno – dove le associazioni Sconfinamenti, Italia-Armenia di Padova e la ong Declipse Armenia hanno lanciato una nuova iniziativa per i bambini rifugiati – ho potuto sentire i loro cuori battere non solo per l’Armenia ma per i valori universali di pace e giustizia. In loro vedo non solo italiani, ma cittadini del mondo, il cui incrollabile senso di giustizia arde intensamente. Sanno, come me, che la pulizia etnica dell’Artsakh non è altro che un imperdonabile atto di genocidio contro il popolo armeno.
Coloro che hanno combattuto nel corso della storia per l’indipendenza dell’Artsakh sono degli eroi. Hanno combattuto non solo per difendere un fazzoletto di terra, ma per impedire la cancellazione di un popolo, del suo idioma unico e del suo patrimonio storico-culturale. E in questi tempi bui, non sono solo i combattenti ma anche coloro che onorano i sacrifici fatti per l’indipendenza e la democrazia a presentarsi come eroi.
Come disse una volta Albert Camus: «La libertà non è altro che un’opportunità per essere migliori». Coloro che difendono la libertà dell’Artsakh, in qualunque forma, mantengono viva questa possibilità per tutti noi.