CAUCASO: MENTRE IL MONDO SI PREPARA ALLA GUERRA, IN ARMENIA POTREBBE “SCOPPIARE” LA PACE (Difesa On Line 23.09.24)
Mentre mezzo pianeta si prepara alla guerra, nel Caucaso sembra finalmente aprirsi una strada verso la pace dopo oltre un secolo di tensioni. Le crisi tra Armenia e Azerbaijan non sono infatti nuove, hanno radici nel XIX secolo quando rivalità etniche e religiose emersero già sotto l’Impero Russo.
Nel 1921, l’Unione Sovietica assegna il Nagorno-Karabakh, una regione a maggioranza armena, all’Azerbaijan, creando una frattura territoriale. Il contenzioso rimane sopito fino alla fine degli anni ’80, quando il Nagorno-Karabakh dichiara la volontà di unirsi all’Armenia, scatenando scontri violenti.
Dopo il crollo dell’URSS, nel 1991, scoppia una guerra su larga scala che termina nel 1994 con un cessate il fuoco e il controllo armeno sulla regione. Le tensioni persistono per decenni, con sporadici scontri armati.
Nel settembre 2020 scoppia l’ennesimo conflitto, noto come la “Guerra dei 44 giorni”, che culmina con un cessate il fuoco mediato dalla Russia (che è rimasta sostanzialmente ad osservare la sconfitta dell’alleato armeno). L’Azerbaijan riesce a riconquistare una parte significativa del territorio perso durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh. La tregua ha cambiato gli equilibri della regione, ma non ha risolto la questione territoriale.
Nel settembre 2023 il Nagorno-Karabakh subisce l’ultima violenza dopo aver subito un lungo blocco di beni di prima necessità, come cibo e medicine: l’Azerbaijan lancia un’offensiva militare che porta alla resa delle forze armene e al controllo totale della regione. Oltre 100.000 armeni fuggono in Armenia, creando un esodo di massa. La Repubblica del Nagorno-Karabakh termina il 1° gennaio 2024. La regione è da quel momento completamente sotto il controllo azero.
Nonostante la presenza di un vincitore ed uno sconfitto, la guerra non potrà dirsi conclusa senza un vero accordo di pace. Un epilogo che, liberando o creando nuove linee di comunicazione e commercio, potrebbe far ulteriormente decollare un’economia già oggi in forte crescita.
Durante una nostra recente visita a Yerevan abbiamo incontrato il vice ministro degli Esteri armeno, Paruyr Hovhannisyan, che ci ha raccontato i progressi fatti nelle trattative con l’Azerbaijan.
Possiamo parlare dello stato attuale delle negoziazioni con l’Azerbaijan per il trattato di pace?
Sì, penso che, nonostante tutte le difficoltà, abbiamo fatto progressi negli ultimi mesi. La parte preambolare e 13 dei 17 articoli totali dell’accordo di pace sono già stati accettati dalle parti. Tra i quattro capitoli rimanenti, tre sono già quasi completamente concordati, ci sono solo alcune questioni di formulazione. In sostanza, rimane un solo articolo da discutere.
Quindi non siamo mai stati così vicini e recentemente il mio primo ministro ha proposto di rendere pubblico all’Azerbaijan che potremmo firmare tutto ciò che abbiamo già concordato.
È possibile conoscere l’unico articolo che è ancora in discussione?
Non è molto importante, non posso rivelarlo poiché le negoziazioni sono ancora in corso. Ma possiamo dire che non è l’articolo più importante. La cosa più significativa per questo accordo è che i principi fondamentali per l’istituzione della pace sono tutti concordati, come lo sono tutti gli elementi necessari per stabilire normali relazioni, inclusi i punti per l’istituzione di rapporti diplomatici e una commissione bilaterale per monitorare l’attuazione del trattato.
Anche senza l’articolo in questione l’accordo è valido e rilevante.
Se ci fosse la possibilità di incontrarsi, potremmo completare in un’ora e firmare o approvare il testo!
Penso che le negoziazioni siano per lo più concluse. Potrei dire che con l’ultima versione che abbiamo scambiato, abbiamo raggiunto questo livello.
Di recente siamo anche riusciti a firmare le regole di procedura per la delimitazione dei confini, che facevano parte dei colloqui di pace. Questo è il primo documento che abbiamo mai firmato con l’Azerbaijan, letteralmente MAI. Significa che non ci sarà più il pretesto “non esiste un confine”.
Con l’accordo si avvierà un vero lavoro di delimitazione – che è una delle parti più importanti della normalizzazione delle relazioni – e, infine, l’apertura delle comunicazioni nella regione. Siamo pronti ad aprire i confini per avere il trattamento più libero per le comunicazioni, i collegamenti energetici, qualsiasi cosa. Ma avverrà sotto la nostra sovranità e giurisdizione, non dovrebbe esserci controllo militare o di sicurezza di un paese terzo. Questa è una questione basilare per noi.
Con una volontà politica dall’altra parte, potremmo raggiungere la pace anche oggi, anche ora.
La pressione sull’Armenia è nel frattempo aumentata.
Abbiamo fatto tutti i compromessi possibili e il nostro impegno per la pace è stato dimostrato recentemente con una serie di passi e dichiarazioni. Siamo davvero pronti a firmare in qualsiasi momento.
Sarà possibile, dopo il trattato di pace, cambiare anche le relazioni con la Turchia?
Lo spero, perché siamo stati in un dialogo molto attivo con la Turchia, un’attività senza precedenti. Ci sono state telefonate e incontri tra Erdogan e Pashinyan. Ci sono stati numerosi incontri con i ministri. Un ministro ha partecipato a un forum dopo il terremoto1 e ha consegnato assistenza umanitaria.
Purtroppo, queste relazioni sono sempre state ostaggio dei colloqui con l’Azerbaijan. Credo che con il raggiungimento della pace ci dovrebbe essere un progresso anche in quella direzione. Sfortunatamente, un certo numero di misure che avevamo concordato è rimasto in sospeso per quasi due anni, se non di più. Parliamo dell’apertura del confine per i cittadini di paesi terzi, come lei, o per i diplomatici, come me o turchi. Purtroppo, anche quegli accordi non sono stati implementati. Penso che l’eccessiva influenza dell’Azerbaijan su questa questione abbia sabotato i progressi con la Turchia.
Se ci fosse la volontà politica, saremmo pronti a impegnarci immediatamente. Questo confine, che è stato sigillato dall’inizio degli anni ’90, è l’unico confine della Guerra Fredda che rimane ancora sigillato. Naturalmente, ciò avrebbe un impatto molto positivo sull’intero Caucaso meridionale: stiamo parlando di comunicazioni, energia, vari progetti regionali. Tutto questo avrebbe un effetto molto positivo sulla pace, ma anche sulle prospettive economiche e di sviluppo.
Alla luce del raffreddamento delle relazioni con la Russia – che vi ha vergognosamente tradito (non solo per ’30 denari’, data l’utilità odierna della Turchia e dell’Azerbaigian per Mosca) – qual è la strategia dell’Armenia per diversificare le sue alleanze di sicurezza?
In questi giorni, le parole più frequenti che si sentono in Armenia durante conferenze e discussioni sono “diversificazione” e “resilienza”.
Penso che sia sempre negativo dipendere troppo da un singolo attore, anche se il miglior amico, anche se il miglior partner; dipendere, o dipendere eccessivamente, indebolisce le tue opzioni. E purtroppo, nel caso dell’Armenia, ci è sempre mancata questa strategia.
Una delle priorità dell’attuale governo è proprio quella di diversificare, non solo le opzioni economiche e le capacità difensive, ma anche, in generale, la nostra politica estera ed economia, e con ciò ricostruire o costruire la nostra resilienza, che deve essere rafforzata.
Ma probabilmente lei è più interessato alle nostre capacità difensive… La recente decisione del Consiglio dell’Unione Europea di ammettere l’Armenia, consentendo al paese di utilizzare il meccanismo della European Peace Facility2, è un passo molto importante in questa direzione, portando il settore della difesa dell’Armenia in linea con gli standard europei, beneficiando di progetti specifici.
Le missioni EUMCAP ed EUMA4 sono state utili?
È stato l’esempio più tangibile di una reazione rapida da parte dell’UE quando l’Armenia è stata attaccata nel 2022. Abbiamo inviato lettere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla CSTO, alla Russia con un accordo bilaterale e all’UE. L’Unione Europea è stata quella che ha reagito. Questo contributo è stato raggiunto a Praga.
In origine, doveva essere sottoscritto durante il vertice della Comunità Politica Europea, c’era l’incontro quadrilaterale con Charles Michel, il presidente Macron, Aliyev e Ban, e l’accordo era di avere questo strumento su entrambi i lati. In seguito, l’Azerbaijan ha respinto questa opzione, iniziando a criticare la missione umanitaria per varie argomentazioni ridicole, come lo spionaggio e altro. La missione europea è stata molto positiva e ha ridotto il numero di vittime.
La componente di sicurezza più importante è ancor oggi rappresentata dagli osservatori europei, che svolgono un ruolo stabilizzante molto importante con la loro presenza ai nostri confini, anche se non sono armati e hanno solo binocoli; con la loro presenza ed i loro rapporti inviati a Bruxelles danno alla popolazione armena, che vede ogni giorno la bandiera europea, un senso di sicurezza.
Presto ci uniremo alle missioni CSDP3 dell’Unione Europea, e questo sarà un nuovo passo avanti. Abbiamo anche avviato nuove cooperazioni. Abbiamo iniziato un dialogo politico e di sicurezza con l’UE l’anno scorso.
Altre iniziative?
Abbiamo attivato i contatti con la NATO, abbiamo attivato la cooperazione bilaterale con paesi come India, Francia, Grecia e altri.
Aspettiamo di poter attivare la cooperazione anche con paesi come Italia, Germania e Paesi Bassi in questo settore. Naturalmente, tutto ciò non è mai diretto “contro” nessun paese, ma è solo per ricostruire le nostre capacità difensive.
Che non possono contare su budget azeri…
Assolutamente, non possiamo permetterceli. Ma non possiamo nemmeno trascurare completamente il settore. Il nostro desiderio di modernizzare le nostre capacità di difesa è molto naturale.
Quello che mi ha sorpreso nel suo paese è vedere come sia cambiata la cultura popolare da semplici aspetti: gli edifici più vecchi hanno ancora scritte in cirillico, ma tutte le nuove insegne sono in inglese o armeno. Sembrano indicare che il popolo armeno si sia sentito profondamente tradito dalla Russia…
Tutti gli accordi che avevamo stipulato non hanno funzionato, che siano stati con la CSTO o bilaterali, o con i peacekeeper nel Nagorno-Karabakh. Gli armeni in Armenia, e gli armeni che sono stati forzatamente allontanati dal Nagorno-Karabakh, si sentono ovviamente traditi.
Nessuno degli accordi, e nemmeno un singolo punto della dichiarazione trilaterale firmata tra Armenia, Azerbaijan e Russia, ha avuto effetti.
Il risultato è stata una catastrofica situazione umanitaria, con 150.000 persone ora forzatamente sfollate in Armenia, e con molti elementi tragici.
Per questo costruire una nostra resilienza è fondamentale per preservare la nostra indipendenza, la nostra integrità territoriale, la nostra stessa esistenza. È la principale questione per il governo attuale, e tutti questi sforzi per stabilire la pace, per diversificare le nostre opzioni, in questa regione così difficile, puntano a questo.
Avete sospeso la partecipazione alla CSTO con la Russia. È una decisione definitiva o è solo un “messaggio”?
Prima abbiamo pensato che fosse solo un messaggio, ma questa decisione sembra definitiva: non c’è stata nessuna risposta. Non abbiamo visto nessun passo da parte dell’organizzazione che garantisse la nostra sicurezza o sostenesse i nostri sforzi.
Non vedo argomenti per cui questa decisione dovrebbe essere revocata. Non abbiamo visto nessun progresso e alcuni membri di questa organizzazione, come la Bielorussia con il suo presidente, hanno detto apertamente che hanno aiutato l’Azerbaijan a pianificare l’operazione. Lo hanno persino celebrato! Questa è la situazione.
E all’Armenia… “Nessuno è interessato a voi, l’unica opzione è unirvi all’Unione tra Russia e Bielorussia!” Messaggi come questi dimostrano l’inutilità dell’organizzazione.
Dall’altra parte un invito nella NATO sembra impossibile vista la vicinanza tra Russia e Turchia…
Ci sono altre opzioni. Ho menzionato l’Unione Europea, le cooperazioni bilaterali con molti paesi, e ci sono nuove possibilità.
È un tema complesso. La sicurezza è un’area molto sensibile e specifica, e dobbiamo essere molto cauti con i nostri passi. Ma penso che questo sia l’approccio del governo attuale: essere il più cauti possibile, ma lavorare attivamente, ripeto, sulla diversificazione.
Un’ultima domanda riguardo ai vostri confini. Siete tra la Turchia e l’Azerbaijan, e a sud avete l’Iran, con cui intrattenete buone relazioni. In questo momento, cercate tuttavia di mantenere buone relazioni con un Occidente che non vede di buon occhio Teheran…
I rapporti con l’Iran sono i più antichi che abbiamo: condividiamo più di 2.500 anni di storia. Le relazioni sono anteriori alla Grecia, alla Georgia e l’Impero Romano.. Né i greci né Roma sono arrivati fino a noi, ma già esistevano rapporti con noi. Naturalmente, abbiamo accumulato relazioni civili e culturali con l’Iran nel corso del tempo, a volte difficili.
Di recente quel paese ha giocato un ruolo importante per noi, sia per la nostra comunità armena che per il patrimonio culturale, alcuni monasteri vicino al Monte Ararat sono stati restaurati con il suo aiuto. Le relazioni sono davvero “multisfaccettate”.
L’Iran ha preservato i confini esistenti, che per noi sono molto importanti: ha chiarito, in ogni occasione, sia quando ci sono state retoriche avverse da Baku o da Mosca, che “non avrebbe tollerato cambiamenti nei confini esistenti tra i nostri paesi, con la forza o altri mezzi”. Il messaggio è stato uno dei fattori che hanno impedito nuovi attacchi, nuove escalation, nuove guerre.
Anche per il commercio e l’energia l’Iran è un paese fondamentale. Queste relazioni svolgono un ruolo stabilizzante.
Ci sono anche interessanti possibilità di trasporto che collegano il Mar Nero con il Golfo Persico e l’India. Speriamo di poter giocare un ruolo in progetti di comunicazione ed energetici in questo senso.
Riflettendo sulle tensioni tra Iran e Israele e la vendita di armi da parte di quest’ultimo all’Azerbaijan…
La situazione in Medio Oriente è complicata. Come sapete abbiamo una presenza a Gerusalemme. Siamo custodi di luoghi sacri. La chiesa armena ha grandi proprietà in Israele e c’è una grande comunità armena in Iran con rappresentanti in parlamento.
È interessante osservare i vostri buoni legami con l’India: lì insegnano il concetto di karma: “quello che fai ora lo pagherai in futuro”!
È vero. Abbiamo legami con l’India da molto tempo. Ci sono chiese armene a Calcutta, Madras, e in molte altre città. Anche durante il periodo sovietico, quando Indira Gandhi visitò Mosca, venne anche in Armenia. Durante quel periodo, i legami avevano un significato storico e culturale profondo per noi.
È un partner importante per il nostro settore della difesa, e un paese chiave nelle cooperazioni internazionali, come l’ONU, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, BRICS e altre.
Lo sviluppo della partnership con l’India è tra le nostre priorità, ed è il nostro partner principale in Asia meridionale. Speriamo di espandere queste relazioni.
Stiamo sviluppando anche legami con i paesi arabi. Attualmente, i nostri più grandi partner commerciali sono gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, che sta aumentando la sua presenza. Abbiamo inoltre stabilito relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita lo scorso anno, che erano assenti da molto tempo. Le nostre relazioni con paesi come Iraq, Siria e Libano sono antiche, con grandi comunità armene. Il presidente dell’Egitto è venuto in Armenia all’inizio di quest’anno. Le relazioni con il mondo arabo si stanno sviluppando molto rapidamente.
Forse potrete insegnare lentamente i diritti umani a qualcun altro che ne ha bisogno?
È un altro buon aspetto. Stiamo diventando un esempio nell’intera regione ed è stato riconosciuto da vari rating internazionali. La nostra partecipazione a vari summit sulla democrazia a diversi livelli è apprezzata dall’UE, dagli Stati Uniti e da altri partner.
L’Armenia è sempre stata impegnata su questo fronte, fin dal crollo dell’Unione Sovietica. Probabilmente siamo stati l’unico paese in cui non erano al potere i leader comunisti precedenti, ma un uomo proveniente dalla comunità accademica. Siamo stati l’unico paese in cui il cambiamento nel ’91 è stato totale. Il partito comunista è stato rimosso dal potere. Penso che sia stato l’unico caso, se lo confrontiamo con tutti gli altri paesi dell’ex Unione Sovietica.
1 Il 6 febbraio 2023 un sisma devastante, di magnitudo 7.8, ha causato gravi danni strutturali e un numero elevato di vittime
2 L’European Peace Facility (EPF) è uno strumento dell’Unione Europea creato per rafforzare le capacità di difesa e sicurezza dei partner al di fuori dell’UE. Si concentra su missioni di pace, gestione delle crisi e sostegno militare, finanziando l’equipaggiamento e le capacità necessarie per migliorare la sicurezza globale. L’Armenia è stata recentemente ammessa a questo programma, che le permette di accedere a risorse per potenziare la sua sicurezza nazionale e diversificare le alleanze strategiche.
3 Le missioni CSDP (Common Security and Defence Policy, o Politica di Sicurezza e Difesa Comune) dell’Unione Europea sono operazioni civili e militari mirate a promuovere la pace, la stabilità e la sicurezza internazionale. Queste missioni possono includere la gestione delle crisi, il mantenimento della pace, la formazione di forze di sicurezza locali, e la prevenzione dei conflitti. L’UE opera sotto il mandato del CSDP per rispondere a sfide globali come il terrorismo, la pirateria e le crisi umanitarie.
4 La EUMCAP, avviata nel 2022, era una missione di monitoraggio temporanea e limitata. Successivamente, nel febbraio 2023, è stata sostituita dalla EUMA, una missione più ampia e prolungata, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle aree di confine tra Armenia e Azerbaigian, monitorando la situazione e sostenendo gli sforzi di pace.