Caucaso, le strade opposte di Armenia e Georgia: Erevan si avvicina all’Occidente, Tbilisi alla Russia (AgenziaNova 02 08 24)

La geografia del Caucaso meridionale è in piena evoluzione, anche se non in termini di contese territoriali, quanto piuttosto di sfere d’influenza. Mentre l’Armenia, storico alleato della Russia, si allontana sempre di più da Mosca e rafforza i suoi rapporti con l’Occidente, per la Georgia, in seguito all’adozione della legge “sulla trasparenza dell’influenza straniera”, si fa sempre più in salita il percorso d’integrazione euro-atlantica. Uno sviluppo, quest’ultimo, che avvicina in qualche maniera Tbilisi a Mosca, se non altro per le similitudini esistenti fra la normativa adottata nel Paese caucasico e quella “sugli agenti stranieri” in vigore da diversi anni in Russia. Il cambiamento di fronte di Armenia e Georgia nasce da un elemento comune: la delusione. Per Erevan si tratta di una delusione nei confronti del più fidato alleato nel contesto della guerra del Karabakh che, dopo il più recente conflitto durato 44 giorni del 2020, ha trovato un definitivo punto di svolta in seguito all’offensiva dell’Azerbaigian del 19 e 20 settembre del 2023: grazie a quest’operazione militare, infatti, Baku è riuscita a riconquistare i territori controllati per trent’anni dai separatisti armeni e tutto ciò senza che la missione di pace russa presente nell’area facesse nulla di concreto per impedirlo. Nel caso della Georgia, invece, si tratta di una delusione che proviene da quelli che Tbilisi considera tanti anni di promesse non mantenute dei partner occidentali – la lentezza del processo d’integrazione Ue, il voluto stallo nel processo di ingresso nella Nato – cui si è aggiunto un malcelato fastidio per la diversa reazione internazionale riscontrata al momento dell’invasione russa dell’Ucraina rispetto a quanto avvenuto durante il conflitto russo-georgiano del 2008.

L’Armenia negli ultimi mesi ha decisamente accelerato le manovre di “emancipazione” dall’influenza russa e il caso più eclatante è l’esercitazione militare Eagle Partner, svoltasi fra il 13 e il 24 luglio, organizzata con l’intento di rafforzare “l’interoperabilità tra gli Stati Uniti e l’Armenia” quando le Forze armate dei due Paesi si trovano a collaborare in “operazioni di mantenimento della pace e di stabilità”. L’esercitazione militare ha provocato una dura reazione del Cremlino, non tanto per la sua portata – vi hanno partecipato un numero relativamente esiguo di truppe statunitensi e armene – quanto piuttosto per le tempistiche e il valore simbolico di queste manovre. Parallelamente all’esercitazione, peraltro, è stato annunciato che un consigliere residente del Pentagono sarà assegnato al ministero della Difesa armeno: i doveri e le responsabilità di quest’incarico non sono stati resi pubblici ma è evidente che questa nomina indica un aumento del peso del Paese caucasico per Washington. In questo bilancino cala, invece, il peso della Russia che – dopo aver ritirato lo scorso maggio i suoi militari e le guardie di frontiera russe dal confine dell’Armenia con l’Azerbaigian – dopo 32 anni ha trasferito all’Armenia le funzioni di protezione dei confini statali al posto di blocco Zvartnots, situato nell’aeroporto di Erevan.

Gli Stati Uniti, peraltro, sono anche interessati al progetto di costruzione di una nuova centrale nucleare in Armenia. Attualmente, nel Paese caucasico è in funzione l’impianto di Metsamor: la centrale è totalmente dipendente dalla tecnologia russa ma ha un ciclo di vita di soli 12 anni. Per questo motivo Erevan vuole costruire un secondo impianto e, giusto ieri, il governo ha annunciato la costituzione di una società per azioni chiusa che si dovrà occupare di tutte le fasi di realizzazione e, successivamente, della gestione della centrale. Consapevoli della volontà armena di uscire “dall’ombrello russo”, gli Stati Uniti hanno diverse società e varie soluzioni da proporre in questo comparto, così come la Francia. Anche Parigi, peraltro, nell’ultimo anno ha rafforzato la sua storica cooperazione con l’Armenia e annunciato l’invio armamenti di vario genere a Erevan. Il 18 giugno scorso, al termine di un incontro con l’omologo Suren Papikyan a Parigi, il ministro della Difesa francese Sebastien Lecornu ha annunciato la vendita di 36 obici semoventi Caesar all’Armenia. L’annuncio una ha fatto storcere il naso non solo in Azerbaigian ma anche in Russia: la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che “Parigi sta provocando un altro ciclo di scontri armati nel Caucaso meridionale”.

La Russia ha ancora evidenti leve di influenza in Armenia: Mosca mantiene una base militare a Gyumri che ospita una brigata russa e non si può scordare che il Paese caucasico dipende economicamente dall’interscambio commerciale con la Russia e dalle forniture di gas naturale. E proprio il fattore economico è il modo con cui la Russia tiene legata a sé anche la Georgia: se è vero che i rapporti fra Mosca e Tbilisi sono complicati, non si può scordare che la maggior parte delle importazioni petrolifere del Paese caucasico giungono proprio dal vicino russo. La Georgia, inoltre, pur impegnandosi a evitare che vengano aggirate attraverso il suo territorio le sanzioni internazionali imposte alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, non ha mai adottato tali provvedimenti per evitare un disastro economico nazionale. Insomma, la Russia ha una leva “commerciale” che può utilizzare nei confronti della Georgia, così come può sfruttare la vulnerabilità derivante dall’aver de facto occupato il 20 per cento del Paese dal conflitto del 2008. Non si può negare che siano del tutto circostanziali le prove di un diretto coinvolgimento della Russia nell’adozione della “legge sulla trasparenza dell’influenza straniera”, ma è ma del tutto ragionevole supporre un’influenza russa nella velleità del governo georgiano di introdurre una normativa evidentemente invisa ai partner occidentali di Tbilisi.

La legge, rinominata spesso in patria “legge sugli agenti stranieri” o “legge russa”, limita notevolmente le attività dei media e delle organizzazioni non governative possedute da entità straniere o che ricevono finanziamenti dall’estero. Sebbene vi sia stato un cambiamento cosmetico – la decisione di modificarne il nome da “legge sugli agenti stranieri” a “Sulla trasparenza dell’influenza straniera” per evitare un diretto richiamo all’analoga normativa in vigore in Russia – il testo della normativa è identico a quello presentato all’inizio del 2023. Si tratta, quindi, letteralmente dello stesso disegno di legge che, dopo l’approvazione in prima lettura, venne ritirato a causa delle feroci proteste di piazza avvenute in particolare a Tbilisi, la capitale del Paese. In quel caso il ritiro della normativa favorì l’ottenimento dello status di Paese candidato all’adesione Ue lo scorso dicembre, mentre in questa circostanza il governo guidato da Irakli Kobakhidze ha tirato dritto, noncurante delle critiche e delle minacce dei partner occidentali, a iniziare dagli stessi Stati Uniti, fra i più fermi sostenitori di Tbilisi dal conflitto russo-georgiano del 2008. Lo scenario nel Paese caucasico, tuttavia, fra il 2023 e il 2024 è decisamente cambiato e questo perché il 26 ottobre si terranno le elezioni parlamentari.

Nonostante le proteste di piazza abbiano mostrato un Paese apertamente schierato contro la legge, soprattutto fra le fasce più giovani della popolazione, non si può non tenere conto che i sondaggi – sebbene vadano presi con le pinze – indichino un netto sostegno a favore del Sogno georgiano, il partito di governo. E non mancano, soprattutto nelle frange di cittadini più anziani, i delusi nei confronti dell’Occidente e coloro che provano disappunto per la mancanza di progressi in relazione all’adesione all’Ue e alla Nato, elementi che – secondo questi elettori – favorirebbero anche una soluzione relativa le due regioni Abkhazia e Ossezia del Sud, occupate da autorità filorusse. Il Cremlino si è schierato a favore della legge sull’influenza straniera, pur negando ogni coinvolgimento, un fatto che ha attirato l’attenzione di molti osservatori vista la tendenza di Mosca a non esporsi così apertamente sulle vicende interne di altri Paesi. Non si può non tenere conto di una teoria che circola fra alcuni analisti esperti di Caucaso e spazio post sovietico secondo cui per salvaguardare il Sogno georgiano – la cui immagine si è decisamente screditata con la legge sull’influenza straniera – in vista delle elezioni di ottobre, e quindi preservare l’influenza della Russia nel Paese caucasico, il Cremlino offrirà presto delle concessioni sul controllo dell’Abkhazia. Secondo questo suggestivo scenario, di fatto, Mosca sacrificherebbe un asset per salvarne un altro, più prezioso, ovvero la stessa Georgia. La mossa sarebbe audace e, con ogni probabilità, potrebbe provocare nuovi disordini nel Paese caucasico, ma alla Russia, notoriamente, l’audacia non è mai mancata quando si è trattato di difendere il “cortile di casa”, un territorio di cui il Caucaso, nella logica del Cremlino, fa parte a tutti gli effetti.

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