Caucaso, le nuove tensioni tra Armenia e Azerbaigian (Università di Padova 03.08.20)
Il Caucaso è tornato a infiammarsi, in uno scontro che è allo stesso tempo etnico, religioso e geopolitico. Lo scorso 12 luglio nella regione di Tovuz/Tovush il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian è stato violato dagli scontri più gravi negli ultimi anni, con morti e feriti da entrambe le parti. Meno di una settimana prima il presidente azero Ilham Aliyev si era detto deluso per l’andamento dei negoziati di pace con l’Armenia, minacciando il ritiro della delegazione azera.
Una situazione di instabilità che dura dalla dissoluzione dell’Urss, con il primo conflitto armeno-azero e la nascita della Repubblica del Nagorno-Karabakh (oggi Artsakh). “Le radici del conflitto sono profonde e risalgono a prima dell’Unione Sovietica, quando la zona era contesa tra l’impero zarista e quello ottomano – spiega a Il Bo Live Antonio Varsori, storico delle relazioni internazionali dell’università di Padova –; sono anzi stati proprio i conflitti nel Caucaso, assieme al distacco delle repubbliche baltiche, a mettere in crisi l’Urss durante l’ultimo periodo di Gorbaciov al potere. Mentre però la secessione di Estonia, Lettonia e Lituania fu relativamente pacifica, le rivalità ataviche tra azeri e armeni esplosero in maniera violenta”. Anche perché non sempre i confini delle vecchie repubbliche socialiste corrispondevano a quelli etnici e religiosi: “Tra i più evidenti c’è proprio il caso del Nagorno-Karabakh: una regione autonoma (oblast) assegnata all’Azerbaigian ma tradizionalmente abitata da armeni. Il conflitto dura dalla dichiarazione di indipendenza, che non è stata riconosciuta a livello internazionale: da più di 25 anni insomma le due nazioni sono ufficialmente in guerra. Una questione che resta aperta e ogni tanto riemerge con questi scontri di frontiera e conflitti localizzati”.
Il confitto è anche un’ulteriore occasione di confronto tra la Russia e Turchia, legate ai due contendenti da trattati militari: “Non credo però che nell’immediato ci sarà una vera e propria guerra – continua Varsori –; Putin ed Erdoğan al momento hanno tutto sommato interesse a che questi contrasti non si esasperino, anche perché sono già impegnati in altri scacchieri, a cominciare da Siria e Libia. Certo la tensione è destinata a rimanere finché non ci sarà una pace vera e propria”. Anche nel Caucaso insomma Russia e Turchia alla fine riescono sempre a raggiungere un compromesso: “C’è rivalità ma la volontà sembra di non giungere a uno scontro aperto che non conviene a nessuno. E possiamo dire quello che vogliamo di Erdoğan e Putin ma non sono certamente stupidi e nella loro politica estera c’è una certa razionalità”.
Da secoli la convivenza pacifica nel Caucaso tra popoli e religioni diverse resta un miraggio. Eppure subito dopo la prima guerra mondiale Armenia, Azerbaigian e Georgia approfittarono del collasso dell’impero ottomano e di quello zarista per formare assieme alla Georgia la Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, la quale però si dissolse dopo appena tre mesi. Successivamente le tre repubbliche furono inglobate da Mosca, ma con l’indebolimento e infine il crollo nell’impero sovietico i precari equilibri della regione sono saltati. Da allora le repubbliche caucasiche sono state tutte teatro di conflitti, con la Georgia che nel 2008 ha subito l’attacco russo e la secessione da parte dell’Abcazia e dell’Ossezia del sud. Senza parlare della Cecenia, culla dell’ascesa al potere di Vladimir Putin, che da allora ha sempre mantenuto un’attenzione particolare per la regione.
Negli anni, dalla fine della guerra del Nagorno-Karabakh, molte cose sono cambiate, e alcune no. L’Azerbaigian ha rafforzato la posizione di potenza nel campo degli idrocarburi, aumentando le sue possibilità in ambito bellico e diplomatico rispetto al più piccolo vicino. Dal punto di vista politico invece mentre l’Armenia con l’elezione nel 2018 del premier Nikol Pashinyan sembra essere riuscita negli ultimi anni a emanciparsi dalla vecchia nomenclatura postsovietica, l’Azerbigian assomiglia ancora oggi a una sorta di feudo personale del presidente Aliyev, che ha ereditato il potere dal padre e per il momento ha scelto come vice la moglie. “L’Azerbaigian ha un grande vantaggio nel possesso di ingenti risorse energetiche – spiega ancora lo storico –: tra l’altro è il più importante fornitore dell’Italia e rafforzerà la sua posizione con la Tap, parte conclusiva della pipeline che salta l’Armenia e attraversa Georgia, Turchia, Grecia e Albania prima di raggiungere la Puglia. Gli interessi economici per evitare lo scontro sono quindi forti, soprattutto in un periodo di difficoltà economica”. Da anni nella regione viene portato avanti un faticoso processo di pace da parte del Gruppo di Minsk, guidato da Stati Uniti, Francia e Russia, che però negli ultimi tempi sembra segnare il passo: “Soprattutto Usa e Ue al momento appaiono indeboliti e hanno altro a cui pensare, così come l’Iran – conclude Varsori –. Il Covid-19 sta incidendo sugli equilibri internazionali e più ancora lo farà la crisi economica. Per il momento solo la Cina sembra uscire rafforzata, e in effetti ha approfittato della crisi per riprendersi Hong Kong”.