Caucaso. Aldo Ferrari (Unive): “Focolaio di crisi dimenticato da anni ma altamente esplosivo” (Agensir 28.07.20)
Prima il Papa con un appello alla pace lanciato all’Angelus. Poi il Patriarca di Mosca Kirill con una dichiarazione firmata personalmente per chiedere una risoluzione di pace al conflitto armeno-azero. I leader religiosi, ma non solo, guardano con preoccupazione all’acuirsi della tensione nella regione del Caucaso. Per fortuna gli scontri – scoppiati il 12 luglio scorso al confine tra Armenia e Azerbaijan – si sono esauriti in pochi giorni perché il rischio di coinvolgere attori forti, come Russia e Turchia, sarebbe troppo alto. Intanto però la popolazione in Armenia è allo stremo
Il Caucaso: un focolaio di crisi dimenticato da anni che torna a far preoccupare non solo la comunità internazionale ma anche i leader religiosi. Una regione al confine tra l’Europa cristiana e l’Oriente musulmano che può da un momento all’altro rimettere in discussione i rapporti fra due grandi potenze, Russia e Turchia. Sono ricominciati il 12 luglio scontri violenti di artiglieria al confine tra l’Armenia, storicamente appoggiata da Mosca, e l’Azerbaijan sostenuto da Ankara, riaccendendo un pericoloso conflitto congelato dal ’94. Domenica 19 luglio, all’Angelus, il Papa lancia un appello per il riacuirsi delle tensioni armate auspicando che “attraverso il dialogo e la buona volontà delle parti, si possa giungere ad una soluzione pacifica duratura, che abbia a cuore il bene di quelle amate popolazioni”. Il 23 luglio, a scendere in campo è il Patriarca di Mosca Kirill che in una Dichiarazione invoca “una risoluzione di pace al conflitto armeno-azero”, invitando i popoli dell’Armenia e dell’Azerbaigian, a trovare “la forza e la saggezza per porre fine all’inimicizia, ridurre la sfiducia e raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili ai problemi di divisione”. L’appello del Patriarca russo è stato rilanciato il 27 luglio anche dal Consiglio mondiale delle Chiese dalla sua sede di Ginevra. Era dall’aprile del 2016 che la tensione non era così alta. Ad aggravare il quadro c’è un dato aggiuntivo, osserva subito Aldo Ferrari, esperto per l’Ispi della Regione del Caucaso e professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia: “Questi scontri, anziché essere avvenuti nel Karabakh che è la regione contesa tra i due Paesi, sono avvenuti nel Tavushh che invece si trova in Armenia e questa è una novità che preoccupa molto”.
Perché in Tavushh?
È quello che si stanno chiedendo tutti. Ed è il punto di domanda principale perché si teme un’estensione del conflitto. Per fortuna gli scontri si sono esauriti perché il rischio di coinvolgere attori forti, come Russia e Turchia, sarebbe troppo alto. L’Armenia fa parte di un’Alleanza militare a guida russa e l’Azerbaigian non può evidentemente sfidare la Russia. Da parte sua, la Russia deve essere prudente perché l’Azerbaijan è appoggiata dalla Turchia che è uno Stato molto potente e membro della Nato. Quindi proprio perché la situazione è potenzialmente gravissima, questi scontri si esauriscono di solito – e così è successo – in tempi brevi.
L’arcivescovo armeno cattolico Minassian lamenta l’assenza dell’Europa. Perché l’UE guarda con disinteresse al Caucaso?
L’Europa guarda con disinteresse non solo al Caucaso ma anche ad altre situazioni di crisi come la Libia dove si sono insediati turchi e russi. Economicamente l’Unione Europea funziona ma in ambito di sicurezza e politica internazionale, no. Ci può dispiacere ma non sorprendere questa inefficacia.
E l’Italia?
L’Italia non ha e non può avere una posizione equilibrata perché noi abbiamo grossissimi rapporti economici con l’Azerbaijan, fatti di scambio di petrolio e presto anche di gas. Questi interessi in qualche modo impediscono rapporti di equilibro dell’Italia con questa area.
Quali conseguenze sta avendo questo conflitto “congelato” sulle popolazioni armene e azere?
La situazione è molto diversa tra i due Paesi. L’Azerbaijan è un Paese ricco di risorse energetiche. Grazie ai suoi preziosi pozzi petroliferi con annessi oleodotti, la sua economia si sta rapidamente sviluppando e questa ricchezza consente a Baku di avere molte carte da giocare nelle partite geo-politiche ed economiche a livello internazionale. L’Armenia invece non ha risorse. È senza sbocco sul mare. Ha i confini bloccati e vive prevalentemente di rimesse degli emigrati e del sostengo della diaspora. Anche il turismo, che è il fiore all’occhiello di questo Paese, è stato fortemente colpito dal Coronavirus e questo ha portato ad un ulteriore aggravamento della situazione dell’Armenia che sta vivendo quindi in una condizione molto difficile e problematica.
Cosa spinge, a suo parere, Papa Francesco e il Patriarca Kirill ad interessarsi a questa Regione?
Dal punto di vista religioso, il Caucaso è un patrimonio straordinario. L’Armenia è stato il primo paese al mondo a diventare ufficialmente cristiano, e la Georgia il secondo, prima ancora cioè dell’Impero Romano. Sono quindi paesi di antichissima tradizione cristiana, gli unici in quella Regione a non essersi convertiti all’islam. Hanno quindi sviluppato una cultura letteraria e artistica meravigliosa. L’identità cristiana è nel cuore stesso dell’identità nazionale. Questo spiega perché sia il Papa sia il Patriarca russo siano cosi attenti a quanto accade in questi due Paesi.
Quanto il fattore religioso influisce sul conflitto armeno-azero?
Non credo che in questo scontro tra l’Armenia (cristiana) e l’Azerbaijan (tiepidamente musulmano) la dimensione religiosa sia decisiva. Si tratta piuttosto di uno scontro da due Stati per il controllo di un territorio, il Karabakh. Le dinamiche dei conflitti sono sempre complesse e complicate e vanno studiate distinguendo Paese per Paese e caso per caso. Sicuramente la Turchia con Erdogan sta assumendo un volto sempre più islamico. Spuntano moschee ovunque non solo in Turchia ma anche, finanziate dalla Turchia, nei Balcani: in Kosovo, Albania, in Bosnia. È un processo reale al quale assistiamo con preoccupazione. Vedere però nel conflitto armeno-azero un confronto tra civiltà religiose, è sbagliato.