Turchia: nuove rivolte e irrisolte questioni.

Le vicende di piazza Taksim impongono alla stampa ed all’opinione pubblica italiana valutazioni che rifuggano dalla mera cronaca di quanto sta accadendo.

Infatti, così come è necessario ascoltare la voce della gente, le istanze di un popolo che si ribella ad un regime, alla stessa maniera la rivolta di piazza Taksim impone una riflessione approfondita sul ruolo della Turchia e sulle sue irrisolte questioni.

E noi armeni chiediamo, allora, che si rifletta sul fatto che ogni qualvolta si parla del processo di democratizzazione della Turchia si tace del genocidio armeno pianificato dai “ Giovani Turchi” nel 1915.

Dunque, a proposito di quanto sta accadendo in Turchia in questi giorni, noi riteniamo che:

1) L’autoritarismo (e l’esclusione dei diritti) è ed è stata una caratteristica di tutti i governi turchi: da quello del partito “Unione e Progresso” di Enver e Talaat ed i loro sanguinari Giovani Turchi a Kemal Ataturk (che in Occidente è considerato persino più di quanto venga idolatrato in Turchia ma il cui regime, la storiografia ce lo insegna, non è stato certamente da meno di tanti altri che tra gli anni Venti e gli anni Trenta hanno caratterizzato la storia d’Europa), ai governi repubblicani successivi fino ai giorni nostri.

2) È la struttura stessa dello stato turco, per come fino ad oggi è stato organizzato e manipolato, ad essere l’origine dell’autoritarismo e della esclusione degli Altri siano essi armeni, curdi, arabi, sindacalisti, libertari o il popolo che chiede di salvare un parco pubblico dalla speculazione immobiliare.

3) Dietro il sistema turco ci sono le Forze Armate ed un apparato che sorregge i governi, mette in atto colpi di stato, pianifica l’occupazione di Cipro, la repressione dei Curdi e l’annientamento degli armeni.

4) La contrapposizione tra il nuovo islamismo di Erdogan e l’opposizione kemalista è di facciata: l’apparato controlla le regole dello stato, si muove nell’ombra, fa e disfa; reprime ogni tentativo del popolo turco di uscire dal medioevo del proprio nazionalismo ottomano.

5) Dobbiamo essere solidali con il popolo turco (o meglio quella parte del popolo turco) che vuole uscire dall’isolamento, che si batte per i diritti umani, che non accetta più passivamente di finire sotto processo solo perché cinguetta su Twitter, che non tollera più di vivere in uno stato che fa della negazione sistematica del Genocidio armeno del 1915 la sua primaria attività all’interno e fuori dai confini; quel popolo che scende in piazza per ricordare il giornalista armeno Hrant Dink che si batteva per il dialogo e la tolleranza e che fa dire a centomila turchi “siamo tutti armeni!”.

6) Aiutare la nuova Turchia a crescere democraticamente ed a consolidarsi come stato solido da un punto di vista politico ed economico significa liberarla, in una sorta di processo catartico, dai fantasmi del passato; ogni regime turco, da quello dei colpi di stato agli apparenti governi democratici degli ultimi anni, si regge sulla forza nazionalista ed autoritaria che si base sull’odio verso l’Altro, sulla negazione del passato, sul dna della conquista del territorio altrui.

7) Gli armeni chiedono all’opinione pubblica italiana di spezzare le catene che legano il popolo turco; senza nascondere la testa sotto la sabbia per paura di pronunciare le parole “genocidio armeno”, senza paura delle isteriche reazioni dei governi turchi, senza timore di denunciare la politica di odio verso gli armeni che ancora oggi anima la Turchia, che fa pronunciare ad Erdogan frasi di minaccia che suonano terribilmente simili a quelle che ripeteva il feroce Talaat pascia (“Noi non siamo crudeli ma soltanto energici”, L’Idea Nazionale 24 agosto 1915).

8) I giornali dovrebbero aiutare il popolo turco: non solo solidarizzando con la gente di piazza Taksim, non solo denunciando la campagna di repressione, ma anche parlando di tutto il resto a cominciare dal genocidio armeno; uno stato nel quale il ministero della pubblica istruzione fa circolare nelle scuole elementari libelli dove si racconta “che gli armeni cucinavano e mangiavano i bambini (sic…)” è uno stato nel quale il cammino della democrazia è ancora lungo. Uno stato che di fronte alle parole di papa Francesco sul genocidio del 1915 convoca il Nunzio Apostolico ad Ankara è uno stato che non riesce a maturare e a crescere.

Il Ministro Carrozza chieda scusa agli Armeni

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” esprime il proprio profondo sgomento di fronte a talune affermazioni rilasciate a mezzo stampa da un alto funzionario del MIUR, il prof. Luciano Favini, che nel commentare le possibili tracce dei temi della maturità ha testualmente affermato l’impossibilità di proporre “un tema storico sul genocidio degli armeni che va a colpire la particolare sensibilità della Turchia”.

Si tratta di affermazioni sconcertanti, pronunciate, forse inconsapevolmente, da un alto esponente del Ministero della Pubblica Istruzione che alla fine sono risultate gravemente lesive del sentimento di milioni di armeni nel mondo e della comunità in Italia.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” si unisce ad altre associazioni armene nella ferma condanna delle parole del prof. Favini

È assolutamente inconcepibile che per salvaguardare la sensibilità del negazionismo del regime turco si offenda la memoria di un milione e mezzo di armeni. È vergognoso dover leggere a pochi mesi dal centenario del Genocidio armeno del 1915 parole come quelle riportate dalla stampa italiana.

Forse che per non urtare la sensibilità dei tedeschi dobbiamo tacere sull’Olocausto? Per non ferire gli hutu dobbiamo forse nascondere il milione di vittime tutsi? I morti di Srebrenica devono essere dimenticati per non urtare la sensibilità dei loro massacratori?

Come è possibile pronunciare queste parole proprio mentre sotto gli occhi del mondo il regime turco mostra i segni del più violento autoritarismo?

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” chiede:

 

–        che il ministro Maria Chiara Carrozza pronunci parole di scuse rivolte non solo alla comunità armena italiana ma anche ai milioni di studenti che frequentano le scuole italiane;

        che il prof. Favini corregga il senso delle sue affermazioni.

        che deputati e senatori del parlamento italiano rivolgano al riguardo una interpellanza al titolare del Dicastero ed al governo

        che l’argomento del Genocidio armeno sia stabilmente inserito nel piano formativo delle ultime classi della scuola media inferiore e superiore.

 

Nel ricordare che il Parlamento italiano nel 2000 ha votato, al pari di numerose altre istituzioni internazionali, una risoluzione di riconoscimento del genocidio armeno, il “Consiglio per la comunità armena di Roma” si augura che l’incresciosa vicenda di cui sopra trovi immediata e soddisfacente soluzione.

 

Consiglio per la Comunità Armena di Roma 

www.comunitaarmena.it

Akhtamar on line

 

 

>> Interrogazione parlamentare

>> Articolo del quotidiano il mattino del 17.06.2013

>> www.lastampa.it/25.06.2013 l’Autocensura della P.I. 

>> Comunicato Stampa Unione degli Armeni d’Italia di Milano

>> Lettera al Direttore di una professoressa rappresentante della comunità armena. Gliscomunicati.com 27.06.2013

Alcune domande su certe iniziative umanitarie: che differenza passa tra Nord Corea ed Azerbaigian?

Da qualche tempo a questa parte la politica italiana registra un’intensa (fin troppo…) attività da parte della diplomazia azera intenta ad attenuare l’immagine negativa dell’Azerbaigian (agli ultimissimi posti nella classifica mondiale della libertà politica e di informazione ed artefice di una corsa agli armamenti senza precedenti nell’ultimo decennio).

Così, uno stato caratterizzato da un regime al primo posto della classifica mondiale della corruzione, liberticida e negazionista, ha deciso di investire abbondanti risorse in un’operazione propagandistica che è al tempo stesso un disperato tentativo di maquillage diplomatico.

Sfruttando la disponibilità di associazioni, istituzioni e cattedratici, la diplomazia azera organizza conferenze, stringe accordi con Istituti, arruola docenti universitari ed attivisti dei diritti umani.

L’ultima occasione è data dalla conferenza organizzata nell’ambito della Camera dei Deputati italiana ed incentrata sul problema dei rifugiati a seguito della guerra del Nagorno Karabakh.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma non può che plaudire ad iniziative, sempre più frequenti, che affrontino tematiche civili e sociali e possano essere foriere di una ventata di pacificazione nel Caucaso meridionale.

Sorgono tuttavia alcune domande:

– per quale motivo queste iniziative affrontano il problema esclusivamente a senso unico tralasciando, ad esempio nel caso in questione, di analizzare l’analogo fenomeno che ha interessato centinaia di migliaia di armeni costretti a lasciare precipitosamente l’Azerbaigian dopo i pogrom di cui erano stati vittime?

– per quale ragione il rappresentante della sezione italiana di Human Right Watch, meritoria organizzazione internazionale il cui lavoro si è sempre contraddistinto per una imparziale obiettività, senta il dovere all’improvviso di dar manforte (e per ben due volte in un mese) al regime dittatoriale di Aliyev patrocinando – necessariamente senza troppa cognizione storica – le iniziative della sua diplomazia?

– per quale motivo un pro rettore dell’Università La Sapienza, il prof. Biagini – già autore di un volume sull’Azerbaigian presentato addirittura a Baku in compagnia del rettore Frati nel quale ripropone sic et simpliciter le tesi azere riguardo alla questione del Nagorno Karabakh ed al rapporto con l’Armenia – sembra non sentire la necessità di una riflessione più critica delle vicende regionali?

– come è possibile organizzare nella cornice della Camera dei Deputati italiana un convegno che si basa (comunicato di agenzia) sui “dati ufficiali del governo dell’Azerbaigian”, nazione il cui livello di democrazia mal si concilia con quello europeo ed italiano?

– E soprattutto, come è possibile organizzare un convegno su un tema “umanitario” come quello dei rifugiati facendo da spalla ad un regime come quello azero? Sarebbe possibile organizzare una simile iniziativa sponsorizzata da Sudan, Somalia, Nord Corea o Eritrea?

Eppure l’Azerbaigian li precede di poco in classifica…e nel “2012 Democracy Index” è definito “regime autoritario”, nel “2013 Index of economic freedom” è definito “per lo più non libero”, nel “2012 Corruption perception index” l’Azerbaigian si colloca al 139° posto su 174 stati.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma – come molti armeni ed italiani – si pone questi interrogativi ed invita il mondo politico e quello dell’informazione a vigilare con molta attenzione affinché talune spregiudicate iniziative e taluni ingenui patrocini non creino problemi ed imbarazzi alla diplomazia italiana.

Consiglio per la comunità armena di Roma

 comunitaarmena.it

ALLEGATI

PRESS FREEDOM INDEX 2013

All’indomani della “Giornata mondiale della libertà di stampa”, riportiamo le ultime posizioni della classifica mondiale sulla libertà di stampa: l’Azerbaigian è 156° su 177 stati; l’Italia è al 57° posto, l’Armenia al 74°.

156 Azerbaijan
157 Belarus
158 Egypt
159 Pakistan
160 Kazakhstan
161 Rwanda
162 Sri Lanka
163 Saudi Arabia
164 Uzbekistan
165 Bahrain
166 Equatorial Guinea
167 Djibouti
168 Laos
169 Yemen
170 Sudan
171 Cuba
172 Vietnam
173 China
174 Iran
175 Somalia
176 Syria
177 Turkmenistan
178 North Korea
179 Eritrea

(AGENPARL) – Roma, 30 apr – Si svolgerà Lunedì 6 Maggio, a partire dalle ore 9,30, presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputali (Palazzo Marini, Via Poli, 19), il Seminario: Protection of Internally Displaced People in International Humanitarian Law. The Case of Azerbaijan Compared with Other Selected Cases Parteciperanno, introdotti dal Prof. Antonello Biagini dell’ Università La Sapienza di Roma, e moderati dal dr. Antonio Stango, del Comitato Italiano Helsinki per i Diritti Umani, l’Ambasciatore Sergio Piazzi, Segretario Generale dell’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo, Marat Kangarlinski, del Ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian, Gunnar Ekeløve Slydal, del Comitato Helsinki Norvegese , il Dr. Alberto Becherelli, dell’Università La Sapienza di Roma, Dag Sigurdson, Rappresentante dell’ACNUR in Azerbaigian e Brigitte Dufour,Direttore di International Partnership for Human Rights.

Nel 2012 gli sfollati (internally displaced people, cioè persone che hanno abbandonato la propria città o il proprio villaggio rimanendo all’interno del proprio Paese) assistiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, erano in tutto circa 15,5 milioni; circa altri 11 milioni erano gli sfollati che non usufruivano di assistenza da parte dell’ACNUR. L’ACNUR si occupa inoltre di circa 10,5 milioni di rifugiati, cioè persone che hanno dovuto abbandonare il proprio Paese d’origine chiedendo asilo in un altro. In Azerbaijan, i soli sfollati in seguito al conflitto del Nagorno-Karabakh e all’occupazione di quella regione da parte armena sono circa 600.000. Si tratta del più grande numero di sfollati in uno Stato membro dell’OSCE e del Consiglio d’Europa. Il seminario internazionale, organizzato dal Comitato Italiano Helsinki per i Diritti Umani in collaborazione con docenti dell’Università La Sapienza di Roma, ha il compito di evidenziare le drammatiche proporzioni di questa tragedia umana, che si protrae da oltre vent’anni, inquadrandola nel generale sistema di protezione internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, di esplorare possibili soluzioni e di confrontare la realtà del Caucaso con quella di altre regioni. A questo fine, verranno illustrati dati e metodi del lavoro dell’ACNUR sul campo, dati ufficiali forniti dal governo dell’Azerbaigian, progetti di organizzazioni internazionali non governative e il possibile ruolo degli organismi interparlamentari.

Un appello alla stampa italiana

In occasione del 98° anniversario del Genocidio armeno, il Consiglio per la comunità armena di Roma lancia un appello alla stampa italiana.

Come forse noto, da qualche tempo le organizzazioni armene in Italia hanno espresso la loro contrarietà all’uso dell’espressione “Giovani Turchi” per etichettare una corrente politica in seno al Partito Democratico.

Anche gli esponenti direttamente interessati, accogliendo la richiesta avanzata, hanno declinato qualsiasi responsabilità per l’uso di tale denominazione che richiama la terribile storia del genocidio di un milione e mezzo di armeni nel 1915 perpetrato proprio da quel partito turco.

Tuttavia, ancora oggi, molti esponenti del mondo dell’informazione – per superficialità o vezzo stilistico – continuano ad usare tale espressione.

Chiediamo ai giornalisti italiani di avere la sensibilità di non usare più tale etichetta politica; per gli armeni in Italia leggere o ascoltare dei “Giovani Turchi” proprio a ridosso dell’anniversario del Genocidio è motivo di ulteriore dolore in una ricorrenza già di per se stessa tragica.

Siamo certi che tutti i giornalisti italiani sapranno comprenderci e capire le motivazioni di questo appello che viene indirizzato alle principali associazioni di categoria ed alle principali agenzie stampa e testate.

Un grazie in anticipo.

 

L’Ambasciata Azera in Italia censura un musicista armeno

L’Associazione Ensemble Xenia rende noto che un progetto inserito nella rassegna EstOvest di quest’anno dedicato alla musica dell’Azerbaijan e alle sue relazioni con la pizzica salentina, non potrà essere prodotto e realizzato.

Lo scorso 27 agosto, infatti, l’Ambasciata dell’Azerbaijan a Roma, tramite il compositore italiano che stava seguendo il progetto, ci ha fatto sapere che non avrebbe confermato il contributo economico in un primo tempo accordato e, ancor più grave, ha posto il divieto alla compositrice e al musicista di quel paese di partecipare al progetto per il quale erano già previste due date il 23 e il 25 novembre, rispettivamente a Torino, Teatro Baretti e a Savona, Teatro Sacco.

Il senso di questa “censura” è stato motivato come segue:

  Il contributo non sarà più destinato all’Associazione Xenia in quanto dopo aver valutato e controllato scrupolosamente il loro profilo attraverso le fonti online reperite si è constatato:

– una continua collaborazione negli anni con musicisti armeni;

– la collaborazione con un suonatore di “duduk”;

– un concorso per compositori armeni nel 2012;

– la presenza di un musicista con cognome armeno nell’ensemble 

– l’iscrizione a vari siti internet di cultura armena in qualità di “Amici degli armeni”.

Inoltre sarà vietata attraverso lo Stato dell’Azerbaijan la partecipazione ai progetti dell’Associazione Ensemble Xenia a tutti i musicisti azeri coinvolti.

L’Associazione Ensemble Xenia è composta da musicisti che credono nel dialogo tra popoli ed etnie diverse attraverso la musica e il confronto tra diverse culture e generi d’arte. Il Festival EstOvest nell’arco degli anni ha ospitato artisti provenienti dall’Algeria, Armenia, Azerbaijan, Cina, Egitto, Estonia, Francia, Germania, Georgia, Giappone, Inghilterra, Iran, Marocco, Olanda, Palestina, Romania, Russia, Spagna, Stati Uniti, Turchia, Uzbekistan e negli ultimi anni ha dedicato il concorso per giovani compositori ad un diverso paese ogni anno: Italia, Marocco, Egitto, Armenia.

Il Festival EstOvest gode del sostegno della Compagnia di San Paolo e della Regione Piemonte, del patrocinio della Città di Torino e della massima stima da parte di artisti e musicisti a livello nazionale ed internazionale.

Riteniamo doveroso mantenere la nostra assoluta indipendenza e libertà di espressione artistica e per questa ragione in risposta all’Ambasciata dell’Azerbaijan, alla quale abbiamo inviato la nostra protesta, il programma originale dedicato all’Azerbaijan verrà sostituito da un programma dedicato a John Cage, l’artista che più di qualsiasi altra figura del ‘900 ha fatto della libertà artistica una vera missione personale.

Esprimiamo la nostra solidarietà agli artisti azeri ed armeni offesi da questa vicenda e la nostra volontà di non lasciarci intimorire da chi pensa che le contingenze politiche possano riguardare l’arte e la musica in particolare.

Per informazioni:

Simona Savoldi, ufficio stampa – press@xeniaensemble.it

Alessandra Sciabica, direzione organizzativa – alessandra.sciabica@gmail.com

Ungheresi, complici o …?

Comunicato Stampa e Lettera di protesta del Consiglio per la comunità armena di Roma

UNGHERESI, COMPLICI  O …?

L’estradizione del criminale azero Safarov, graziato appena ritornato in patria ed “eroe nazionale”. L’Armenia annuncia la rottura elle relazioni diplomatiche con l’Ungheria

La notizia della concessione dell’estradizione all’assassino azero Ramil Safarov sconcerta la comunità armena in Italia.

Il criminale, che nel 2004 uccise a colpi d’ascia il sottotenente armeno Gurgen Margaryan colpendolo mentre dormiva (sedici colpi solo al volto), è ritornato in Azerbaigian libero ed accolto come un eroe nazionale.

Il disgusto per l’epilogo giudiziario di tale vicenda è enorme. Ed il sospetto che dietro di essa vi sia stato un accordo economico sottobanco tra Ungheria ed Azerbaigian accresce la vergogna sulle istituzioni ungheresi.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ha inviato la allegata nota di protesta alle rappresentanze diplomatiche di Ungheria in Italia; analoghe iniziative (e manifestazioni di piazza) si sono svolte in numerose nazioni.

I FATTI

Il 19 febbraio 2004 l’azero Ramil Safarov uccide a colpi d’ascia il sottotenente armeno ventiseienne Gurgen Margaryan colpendolo mentre dorme. Entrambi stanno frequentando a Budapest un corso di lingua inglese nell’ambito del programma NATO “Partnershipi for peace” (sic!). La colpa di Margaryan è quella di essere armeno e pertanto odiato dall’azero, come ripetutamente lo stesso presidente dell’Azerbaigian Aliyev ha proclamato (da ultimo in un suo discorso il 28.02.12: “Gli armeni di ogni parte del mondo sono i nostri nemici principali”).

Safarov, reo confesso, viene condannato in primo grado all’ergastolo dal tribunale ungherese, pena confermata da successivo appello. Perizie giurate confermano che l’imputato è sano di mente.

In patria, nel frattempo, viene insignito del titolo di “eroe nazionale”: governo e giornali ne esaltano l’impresa.

L’ESTRADIZIONE

Nel mese di giugno il presidente azero Aliyev si reca in Ungheria e sono in molti a ritenere che nel corso dei colloqui con le autorità di Budapest si sia parlato anche della detenzione del militare azero.

Verso metà agosto i giornali finanziari riportano la notizia di un possibile acquisto di bond ungheresi (per un valore tra i due e i tre miliardi di dollari) da parte dell’Azerbaigian e della Turchia.

Il 31 agosto Safarov viene estradato.

Di fronte alle proteste della repubblica armena e della comunità armena della Diaspora, l’Ungheria assume che i patti con l’Azerbaigian prevedevano il proseguimento della detenzione a Baku.

Safarov, non appena giunto in patria, viene immediatamante “perdonato” dal dittatore Aliyev ed accolto come un eroe: alla base della scaletta dell’aereo riceva addirittura un mazzo di fiori di benvenuto…

Appare davvero difficile pensare che le autorità ungheresi non riuscissero ad immaginare gli sviluppi della vicenda a meno di non passare per …

Il presidente statunitense Obama si è detto amareggiato per l’accaduto ed ha inviato una nota al governo azero deprecando l’immediata liberazione di Safarov.

Il presidente della repubblica di Armenia ha annunciato l’interruzione delle relazioni diplomatiche con l’Ungheria.

ALLEGATI

Mail di protesta del “Consiglio della comunita’ armena di Roma”

La notizia dell’estradizione dall’Ungheria all’Azerbaigian dell’assassino azero Ramil Safarov, rientrato in patria da eroe nazionale e già in libertà, suscita profondo sdegno ed amarezza.

Mai ci saremmo aspettati dal governo di una nazione civile e democratica qual è l’Ungheria che venisse calpestato il diritto e che le istituzioni svendessero in tal modo la propria dignità.

Il rilascio di Safarov, già condannato all’ergastolo in primo grado (ed un appello da lui proposto ha confermato la pena) per aver ucciso a colpi d’ascia, mentre dormiva, il sottotenente armeno Gurgen Margaryan (che frequentava a Budapest un corso di inglese nell’ambito di un programma Nato “Partnership per la pace”), è un insulto al diritto; un’offesa alla memoria di un ragazzo di ventisei anni che null’altra colpa aveva se non quella di essere armeno e perciò odiato dagli azeri

La timida difesa del governo ungherese secondo il quale aveva ricevuto rassicurazioni dall’Azerbaigian che la detenzione sarebbe continuata anche lì suona come un’ulteriore beffa e copre di ridicolo la repubblica di Ungheria al punto che addirittura il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha sentito il dovere di esprimere il suo disappunto per quanto accaduto.

L’Ungheria non poteva certo fingere di non sapere che Safarov, dopo il suo terribile gesto, era stato osannato in patria come un “eroe nazionale” e che addirittura gli era stato conferito un riconoscimento per il crimine compiuto: questo è l’Azerbaigian con il quale l’Ungheria è scesa a biechi patti, svendendosi per qualche titolo di stato.

Vergogna!

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” invita codesta Rappresentanza diplomatica a trasmettere alle istituzioni centrali ungheresi il fermo disappunto per quanto accaduto ed invita le stesse, come estremo ancorché ormai inutile gesto riparatore, a biasimare il presidente azero Aliyev per la grazia immediatamente concessa al criminale e al tempo stesso a formulare la più profonde scuse all’Armenia, al popolo armeno ed alla famiglia Margaryan.

La presente nota viene diffusa, per opportuna conoscenza, a mezzo comunicato stampa.

 

Distinti saluti

Consiglio per la comunità armena di Roma

www.comunitaarmena.it

Agenzia di stampa Panarmenian 31.08.12 (interruzione relazioni diplomatiche tra Armenia e Ungheria)

PanARMENIAN.Net – Armenian President Serzh Sargsyan convened an extraordinary meeting of diplomatic representatives of the countries and international organizations accredited to Yerevan following the extradition by Hungary and further pardon by the Azerbaijani leader of Armenian officer Gurgen Margaryan’s killer Ramil Safarov.

Addressing the meeting participants, President Sargsyan described Hungary’s act as unforgivable and declared that Yerevan severs diplomatic relations with Budapest.

“We have been closely following all the developments around that criminal. This issue has been discussed during each and every meeting with the President, Speaker of the Parliament, Foreign Minister and Ambassador of Hungary, and we have been assured on numerous occasions that such a transfer or a return of a criminal to Azerbaijan was excluded. We have received that same response to our requests during our contacts just a few days ago with the representatives of the Hungarian Foreign Ministry and Parliament. But as a result of perfidious developments the murderer has turned up in Baku and got released,” President Sargsyan said.

“With their joint actions the authorities of Hungary and Azerbaijan have opened the door for the recurrence of such crimes. With this decision they convey a clear message to the butchers. The slaughterers hereafter are well aware of impunity they can enjoy for the murder driven by ethnic or religious hatred,” he said.

“I officially announce that as of today we suspend diplomatic relations and all official contacts with Hungary.We expect a precise and unambiguous response by all our partners with regard to this incident.Anyone who tolerates this, will tomorrow be held responsible to history,” the President concluded.

 

Agenzia di stampa Panarmenian 31.08.12 (dubbi giuridici sulla grazia a Safarov)

PanARMENIAN.Net – Azerbaijani President Ilham Aliyev did not possess any legal right to pardon the Armenian officer’s murderer Ramil Safarov, an Azeri expert says.

According to professor Khanlar Alikperov, whose comments appeared on Contact.az website, in compliance with the article 82.3 of Azerbaijan’s criminal code, life sentence can be replaced by a 25-year prison term only.

“Thus, President Aliyev did not have the right to pardon a person who had been sentenced to life. The best what he could do for the convict is to cut the service term to 25 years,” Alikperov says.

 

Il MONDO 23.08.12

Ungheria/ Ipotesi che Azerbaigian acquisti 2-3 mld euro in bond

Lo afferma la stampa magiara

Roma, 23 ago. L’Azerbaigian starebbe pensando di acquistare titoli di stato dell’Ungheria per 2-3 miliardi di euro. Lo scrive il settimanale Figyelo, ripreso dal giornale
economico online Portfolio.hu.
Il giornale non spiega in quale valuta saranno denominati i bond, ma ipotizza che siano in manat, la valuta azera.
La transazione potrebbe avvenire prima che l’Ungheria chiuda un accordo con Fondo monetario internazionale (Fmi) e con l’Unione europea per un prestito da 15 miliardi di euro. Un’eventualità questa, che potrebbe rafforzare la posizione magiara nei negoziati per il prestito. Già a inizio agosto la stampa magiara aveva parlato della
possibilità di un investimento sui titoli ungheresi da parte dell’Azerbaigian o della Turchia.

 

Euronews 01.09.2012

Armenia sospende le relazioni diplomatiche con Ungheria 

Lo storico odio tra Azerbaijan e Armenia coinvolge anche l’Ungheria. A Yeravan, capitale dell’Armenia, si protesta all’esterno del consolato ungherese. La scelta di Budapest di permettere il rimpatrio di un ex ufficiale dell’Azerbaijan, condannato per l’omicidio di un militare armeno, ha provocato la sospensione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

La storia risale al 2004, quando il luogotenete azero, Ramil Safarov, uccise Gurgen Markaryan durante un’esercitazione Nato in Ungheria. Condannato all’ergastolo dalla giustizia magiara nel 2006, pochi giorni fa è rientrato in patria, dove è stato graziato e accolto come un eroe.

Immediata la reazione dell’Armenia: il governo si è riunito d’urgenza per decretare la sospensione di ogni relazione con Budapest. La crisi diplomatica preoccupa anche gli Stati Uniti con il portavoce di Barak Obama che parla di inganno da parte di Baku, perché l’accordo con l’Ungheria prevedeva che l’ufficiale continuasse a scontare la sua pena.

Armenia e Azerbaijan sono in contrasto da decenni e, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si sono contesi il controllo del Nagorno Karabakh con una guerra che ha fatto 30mila morti.

http://it.euronews.com/2012/09/01/armenia-sospende-le-relazioni-diplomatiche-con-ungheria/

 

Sergio Romano e Il Genocidio

Sul corriere della sera del 28 dicembre Sergio Romano  rispondendo a due lettori che intervenivano a proposito della legge francese sul negazionismo, evocava la libertà di pensiero e nella sua risposta faceva proprie una serie di “tesi negazioniste” del Governo di Ankara.

Ne nostro intento di Vigilare contro il negazionismo la superficialità e l’ignoranza ci siamo sentiti nel dovere di non tacere anche in difesa della memoria del milione e mezzo dei martiri armeni vittime del genocidio del 1915.

Di seguito trovate le missive dei due lettori la risposta di Sergio Romano e la lettera da noi trasmessa.

RISPONDE SERGIO ROMANO

Condannare il negazionismo ma no alla storia di stato

 

Plaudo al recente pronunciamento dell’ Assemblea nazionale francese che così riconosce ufficialmente il genocidio degli armeni del 1915-17. Ritengo che la Turchia debba finalmente ammettere, in qualche modo, quello che allora avvenne: un mio amico americano, figlio di immigrati armeni scampati al massacro, anni fa mi raccontò la vastità e l’ atrocità dei crimini che vennero compiuti dai turchi contro quel popolo. 

Roberto Macchia , Livorno 

 

Il genocidio degli armeni è riconosciuto come tale dall’ Onu, dalla Unione Europea e da diversi Paesi nel mondo. Chiedere alla Turchia di riconciliarsi con il suo passato è un atto dovuto: parere non solo degli armeni ma anche di storici di fama internazionale, di innumerevoli persone ben informate e anche di un numero crescente di intellettuali turchi. Mi chiedo perché alcuni lo ritengano «non indispensabile». Oltre al «politically correct», dobbiamo forse piegarci anche all’ «economically correct» a scapito della verità? La linea tra convenienza ed etica, già assottigliata all’ inverosimile, la vogliamo davvero cancellare del tutto? Mary Avakian, Taranto 

 

Cari lettori, Non credo che gli Stati e i parlamenti democratici, abbiano il compito di scrivere la storia e di fissare per legge le date fauste e infauste del calendario nazionale e internazionale. Là dove questo accade lo Stato è «etico», vale a dire una cattedra morale autorizzata a proclamare dogmi e a impartire precetti. Oggi scrive una sorta di bolla pontificia sui massacri armeni del 1915. Domani proclamerà altri dogmi a cui i sudditi fedeli dovranno piegarsi. È questo lo Stato in cui desideriamo vivere? La condanna del «negazionismo» diventa a questo punto inevitabile. Se il giudizio su un evento storico è legge dello Stato, non è permesso avere dubbi, proporre interpretazioni diverse, invocare circostanze che ai sacerdoti del dogma sembreranno inammissibili giustificazioni. Avrò ancora il diritto di sostenere (come lo storico angloamericano Bernard Lewis di fronte a un tribunale francese qualche anno fa) che l’ espressione genocidio è impropria e che «massacri» definisce meglio il trattamento di cui gli armeni turchi furono vittime nel 1915? Potrò ricordare che gli armeni delle maggiori città turche non vennero colpiti dai provvedimenti di espulsione? Avrò ancora il diritto di collegare quegli avvenimenti a una guerra in cui le comunità armene dell’ Anatolia erano percepite, con qualche buona ragione, come la quinta colonna dell’ impero zarista? Sarò autorizzato a suggerire che la legge approvata dall’ Assemblea nazionale francese risponde soprattutto alle esigenze elettorali di un presidente a caccia di voti per una elezione che si annuncia particolarmente difficile? Potrò dire a un armeno che se fossi al suo posto non proverei dopo questo voto alcuna soddisfazione? Il pensiero liberale si è battuto per secoli contro il delitto di opinione, la caccia alle streghe, il rogo degli eretici e dei loro libri. Dovrei applaudire una legge che ripristina il concetto di eresia e mi impedisce di ragionare, discutere, argomentare?

RIPRODUZIONE RISERVATA

Romano Sergio

Pagina 39
(28 dicembre 2011) – Corriere della Sera

Egr. dr. Romano,

Ci permetta, nel nome della libertà di opinione da lei invocata, di commentare la sua risposta ai lettori che ricordavano positivamente la recente legge francese richiamata a proposito del Genocidio armeno del 1915. Le dobbiamo dare atto che la sua posizione non è nuova, dal momento che si espresse in termini analoghi anche a proposito del processo intentato a David Irving accusato di negazionismo dell’Olocausto. Questo però non ci esime dal censurare talune sue valutazioni storiche su questi tragici eventi di quasi un secolo or sono che ci pare abbia sottovalutato: non corrisponde infatti al vero che gli armeni residenti nelle grandi città dell’Impero Ottomano furono risparmiati dalla morte e dalla deportazione atteso che degli oltre due milioni stimati residenti all’epoca in quel territorio ne rimasero solo poche decine di migliaia quasi tutti a Costantinopoli. Possiamo disquisire a lungo sul termine (ricordando che quello di «genocidio» fu coniato dal giurista ebreo polacco Lemkin prendendo a spunto proprio dalla persecuzione contro gli armeni) ma francamente riteniamo che l’eliminazione di tre quarti della popolazione (e la cacciata dalla terra natale) sia qualcosa di più di un semplice «massacro». Ma a prescindere da qualsiasi appellativo, avremmo molto piacere che taluni ragionamenti accademici ed etici si concludessero con una netta condanna di quei fatti (comunque li si voglia chiamare) e con un perentorio invito alla Turchia a riconoscere che a danno degli armeni avvennero terribili persecuzioni ad oggi ancora impunite. Fin tanto che lei continuerà a disquisire unicamente circa il pensiero liberale ed il delitto di opinione, senza alcuna ferma e decisa condanna per coloro che ancora oggi continuano a sostenere che non accadde nulla o che minimizzano quei tragici eventi, allora proprio nel nome della libertà di pensiero, ci sarà permesso, da armeni, poterla classificare tra i negazionisti della storia?

Robert Attarian 

Portavoce Consiglio per la comunità armena di Roma

Risposta di Sergio Romano Cds 13.01.2012

Caro Attarian, Dietro la distinzione fra massacri e genocidio vi è un importante dibattito storico. I quesiti a cui gli studiosi cercano di rispondere sono sostanzialmente questi. Furono le stragi provocate dalla guerra e da quella combinazione di aggressività e insicurezza che dominava allora l’Impero ottomano? Oppure fu la guerra progettata dal Cup (i giovani turchi del Comitato Unione e Progresso) per liquidare, una volta per tutte, la questione armena? I sostenitori della prima tesi parlano generalmente di massacri, i sostenitori della seconda preferiscono genocidio. Suppongo che lei conosca l’ottimo studio di Marcello Flores («Il genocidio degli armeni», Il Mulino 2006) in cui il lettore troverà su questa materia un’utile documentazione. Potremo continuare a discutere del problema se la prima delle due tesi correrà il rischio di essere considerata implicitamente negazionista?

Non credevo, caro Attarian, che ogni critica della legge francese dovesse comportare, a titolo di pedaggio, il riconoscimento degli orrori di cui la Turchia fu responsabile nel 1915. Sulla dimensione dei massacri esiste una sterminata documentazione, anche fotografica. Conosciamo il risultato della commissione britannica presieduta da Robert Bryce e il rapporto del giovane Arnold Toynbee. Conosciamo le memorie e gli articoli dell’ambasciatore americano Henry Morgenthau, i dispacci dei consoli delle potenze neutrali, le relazioni dei sacerdoti cristiani, le voci dei tedeschi che osarono dissentire della posizione reticente del generale Liman von Sanders, comandante delle forze germaniche in Turchia. Devo ricordare tutto questo per avere il diritto di sostenere che la parola genocidio è impropria e che il parlamento francese dovrebbe occuparsi di altri problemi? Aggiungo che soltanto criticando la legge francese abbiamo il diritto di criticare le leggi turche che mandano in galera chiunque osi affermare l’esistenza del genocidio. Fra le proibizioni francesi e quelle turche non vi è, sul piano dei principi, alcuna differenza.

Altri contributi

 

Gentile Direttore

 

Il 28 dicembre 2011 sul Corriere della sera Sergio Romano critica la scelta della Francia di punire i negazionisti del genocidio armeno rivendicando la libertà di opinione e negando la giustezza del termine genocidio per gli armeni in quanto, secondo lui, si trattò solo di un massacro.

Riguardo quest’ultima gravissima inesattezza, ha già risposto la comunità armena di Roma ricordandogli che 2 milioni di armeni che hanno smesso di esistere in Anatolia sono troppi per parlare solo di massacro, tenendo conto anche del fatto che quelle terre da allora di armeni ne sono totalmente prive.

Nella risposta ai lettori, Sergio Romano insinua addirittura che in qualche modo gli armeni si siano “meritati” questa punizione essendo alleati della Russia, insomma, traditori. Nessuno però sottolinea il fatto che gli armeni in Turchia, privi di qualunque diritto e sottoposti continuamente a massacri e umiliazioni in quanto cristiani, non abbaiano fatto altro che combattere per la propria libertà. Chi non desidera la libertà dopo secoli di soprusi e ingiustizie sulla propria terra? Ricordiamolo, quella terra si chiamava e si chiama Armenia, anche se inglobata nell’Impero Ottomano. Qualcuno critica forse il risorgimento italiano, Mazzini o Garibaldi perché lottarono contro l’invasore straniero? Qualcuno forse biasima Cavour per aver cercato l’alleanza francese? Perché gli armeni, che hanno preso le  armi contro i loro crudelissimi nemici per riconquistare la propria terra, devono essere chiamati semplicemente ribelli e non patrioti o partigiani?

Il negazionismo turco è un fatto grave, molto grave Signor Romano, criticato anche da alcuni storici turchi  come Akcam (che paga con una condanna in contumacia la sua “libertà di espressione”). La Turchia non ha mai ammesso il proprio crimine e questo è il fatto più grave. A chi tira in ballo la Germania bisogna sempre ricordare che il cancelliere Willy Brandt dopo la seconda guerra mondiale si inginocchiò davanti alle tombe degli ebrei a Varsavia e recitò il salmo del perdono a Gerusalemme. Ben diverso da una Turchia che ancora oggi punisce chi osi affermare che un genocidio armeno ci sia stato.

Concludo ricordando al Signor Romano, che chi nega un crimine uccide due volte.

Barbara Najarian

GLI STORICI E LA LEGGE GAYSSOT. Sono i negazionisti che ostacolano la ricerca sul genocidio armeno. Corriere della Sera 08.01.2012

Di Levy Bernard Henri

La legge votata prima di Natale, che fa del negazionismo un vero e proprio reato, non è una legge che dovrà scrivere la Storia al posto degli storici. Proprio perché questa Storia è già stata detta, scritta e appurata da moltissimo tempo. Da sempre si sa che gli armeni sono stati vittima, a partire dal 1915, di una campagna sistematica di sterminio: sull’ argomento si è sviluppata un’ abbondante letteratura, basata in particolare sulle confessioni rilasciate nell’ immediato dagli stessi criminali turchi, seguendo l’ esempio di Hodja Ilyas Sami. Di conseguenza, da Yehuda Bauer a Raul Hilberg, ricercatori dello Yad Vashem, fino a Yves Ternon e altri, non si conoscono storici seri che possano mettere in dubbio o negare questa realtà. La legge allo studio in Francia, in altre parole, non mira affatto a stabilire una verità di Stato. Nessuno dei deputati che l’ hanno votata pretende di sostituirsi agli storici e alla loro opera. I parlamentari francesi favorevoli alla legge vogliono semplicemente difendere il diritto di ciascuno a non essere offeso pubblicamente, e il diritto che ne consegue, cioè quello di chiedere riparazione per l’ offesa particolarmente crudele che è l’ offesa alla memoria dei morti. È una questione di diritto, non di Storia. Presentare questa legge come una legge liberticida, che rischia di ostacolare il lavoro degli storici, è un altro argomento bizzarro, che lascia sconcertati. Sono piuttosto i negazionisti coloro i quali intralciano il lavoro degli storici. Sono le loro fandonie, follie, losche manovre, sono le loro menzogne vertiginose e terrificanti a far tremare le fondamenta dove dovrebbe, per principio, posare la scienza. Ed è proprio questa legge che, nel sanzionarli, complicando alquanto la loro opera – e soprattutto avvertendo il pubblico che ha a che fare non con veri studiosi, bensì con una genia di propagandisti che mirano a infiammare le menti – protegge la Storia e la mette al riparo da pericolosi attentati. Esiste forse qualche storico che la legge Gayssot abbia ostacolato nelle ricerche sulla Shoah? Qual è l’ autore che, in buona fede, possa lamentarsi che tale legge abbia limitato la sua libertà di ricerca e di indagine? Non è forse lampante che i soli ad aver riscontrato serio imbarazzo siano stati i Faurisson, gli Irving e altri Le Pen? Stessa identica cosa per il genocidio degli armeni. Questa legge, non appena verrà ratificata dal Senato, offrirà invece un’ ottima occasione agli storici, che potranno finalmente lavorare in pace. A meno che… a meno che gli avversari della legge non covino qualche fine recondito assai più subdolo: che si voglia evitare una conclusione affrettata, come quella di «genocidio», anche a distanza di quasi un secolo… Non ci sono, è questa la domanda sollevata da taluni, altre vie, oltre alla legge, per scoraggiare i «criminali della carta stampata»? E la verità non dispone di per se stessa, nella sua trasparenza e nel suo rigore, dei mezzi più opportuni per difendersi e per trionfare su coloro che la negano? Il dibattito è vastissimo, su questo argomento si discute sin dalla nascita della filosofia. Nel nostro caso si intromette un parametro specifico che, nel dubbio, ci spinge ad assicurarci il rinforzo della legge. Questo parametro è il negazionismo dello Stato turco. E la specificità sta nel fatto che i negazionisti, in Turchia, non sono degli sprovveduti, bensì personaggi capaci di far leva su molteplici risorse, sulla diplomazia, e infine anche sulle occasioni di ricatto e di ritorsione di cui dispone uno Stato potente. Immaginiamo soltanto in che situazione si sarebbero trovati i superstiti della Shoah se la Germania, al termine della Seconda guerra mondiale, avesse optato per il negazionismo. Immaginiamo gli abissi di disperazione e di rabbia in cui sarebbero precipitati se avessero avuto a che fare non con qualche isolato babbeo, ma con una Germania impenitente che avesse fatto pressione sui suoi partner commerciali, minacciandoli di fuoco e fiamme se avessero osato definire genocidio lo sterminio degli ebrei perpetrato ad Auschwitz. Mutatis mutandis, è la medesima situazione degli armeni. Ed è anche per questo che gli armeni hanno diritto a essere tutelati dalla legge. E infine vorrei aggiungere che bisogna smetterla di mescolare ogni cosa e di soffocare il dolore armeno nelle chiacchiere di rito che vogliono screditare le «leggi della memoria». Perché non si tratta in questo caso di una «legge della memoria»: non siamo davanti a una di quelle pericolose forzature che minacciano di spianare la strada a decine, a centinaia di regolamenti assurdi o infami che codificano quello che si può o non si può dire sul massacro di Saint-Barthélemy, sul senso della colonizzazione e della schiavitù, sul disagio occitano, sul reato di bestemmia, e via enumerando. Questa è una legge sul genocidio: nulla a che vedere con gli altri casi. È una legge per colpire coloro i quali, tramite la negazione, ripetono e tramandano il crimine del genocidio. Di genocidi, grazie a Dio, non se ne contano a centinaia, e nemmeno a decine. Ne sono stati accertati tre. Quattro, se agli armeni, agli ebrei, ai ruandesi si aggiungono i cambogiani. E mettere questi tre o quattro genocidi sullo stesso piatto, assieme a tutto il resto, temere che il loro sanzionamento diventi l’ anticamera di un «politically correct» che autorizzi una sfilza di leggi inutili o perverse sugli aspetti più controversi della nostra memoria nazionale, dire «attenzione! Si rischia di aprire una scatola di Pandora, non si sa che cosa ne potrebbe saltar fuori!» rappresenta l’ ennesima sciocchezza, e per di più ridicola, quasi a voler coprire altre infamie con il sigillo della malafede. Combattiamo queste argomentazioni speciose con la saggezza dei nostri rappresentanti nazionali. E che i senatori vadano fino in fondo nella ratifica del provvedimento, senza lasciarsi intimidire da un pugno di storici.

Traduzione di Rita Baldassarre RIPRODUZIONE RISERVATA

Pagina 32 (8 gennaio 2012) – Corriere della Sera

Marco Ansaldo e AtatUrk

Ataturk? Padre del negazionismo turco

Ci è stato segnalato che lo scorso 10 novembre su nel programma Wikiradio di Radio3rai è andato in onda un programma intitolato “Marco Ansaldo racconta Atatürk”.

Non è ovviamente la prima volta che il sopracitato giornalista, che ha stretti legami con la Turchia si cimenta ad elogiare la Turchia ed i suoi leader. Tra l’altro Ansaldo è uno dei pochissimi (per non dire rari) giornalisti in Italia che continua ad apostrofare i fatti del 1915 come “il cosiddetto genocidio”.  Abbiamo pertanto ritenuto doveroso inoltrare una missiva di puntualizzazione all’emittente radiofonica in questione (wikiradio@rai.it) .

Missiva che riportiamo di seguito oltre al link della trasmissione.

>> http://www.radio.rai.it/podcast/A41360089.mp3

 

Spett. redazione,

ci è stata segnalata da alcuni nostri lettori la trasmissione del 10 novembre scorso dedicata a Kemal Ataturk.

Innanzitutto, vi rivolgiamo i complimenti per l’interessante servizio di Wikiradio.

Quanto alla citata trasmissione ci siano consentite alcune riflessioni.

Marco Ansaldo, noto conoscitore ed amico della Turchia anche per ragioni personali, ha tessuto inevitabilmente gli elogi di Ataturk evidenziando le grandi riforme che lo statista ha compiuto nel suo paese e che certo non possono essere negate.

Mustafa Kemal ha cambiato sicuramente il volto della Turchia, levando ad essa i vecchi panni dell’Impero Ottomano e vestendola (non metaforicamente) con le nuove fogge occidentali. Ma lo ha fatto a caro, carissimo, prezzo.

E tutto ciò nel peana elogiativo di Ansaldo rischia di passare fortemente in secondo piano e distoglie l’ascoltatore dalla realtà dei fatti. Quella di Ataturk fu una dittatura a tutti gli effetti, impose il partito unico ed un culto della personalità che trova analoghi esempi solo nei peggiori regimi e che ancora oggi manifesta il suo corso nei processi intentati ai giornalisti che osano mettere in dubbio le sue doti morali (si veda a questo proposito l’indagine avviata pochi mesi or sono a carico della giornalista Nagehan Alci “rea” di aver definito Ataturk un dittatore durante una trasmissione della CNN…).

Sorvola Ansaldo sulla politica turca di distruzione delle minoranze salvo affermare ad un certo punto che “la nuova identità fu costituita su un fondamento doloroso e traumatico capace di passare sopra identità etniche minoritarie “: espressione elegante per dire che tutte le minoranze furono soggiogate al potere turco che si accanì contro gli ultimi armeni scampati al genocidio, i greci in fuga da Smirne data alle fiamme ed i curdi dell’est.

Ataturk, che durante le persecuzioni contro gli armeni culminate nel genocidio non si era certo tirato indietro…, è stato uno statista che ha compiuto importanti riforme nel suo paese, ma realizzate a prezzo della libertà di pensiero e di identità etnica e culturale. 

Ataturk fu il primo negazionista del Genocidio Armeno e della storia. Un negazionismo che continua ad essere adottato ancora oggi da parte dei governi turchi a suon di minacce e “quattrini”. 

Permetteteci, dunque, queste riflessioni giacché abbiamo ricevuto diverse mail di protesta da parte di utenti che non hanno gradito la trasmissione di Ansaldo. Si tratta di una puntualizzazione che riteniamo doverosa.

Non possiamo, a parte tutto, che rinnovare i nostri complimenti per Wikiradio; e – se ci è concesso – suggerire per il prossimo 24 aprile (commemorazione del Genocidio armeno) una trasmissione ad esso dedicata, magari con la voce della scrittrice Antonia Arslan.

Vogliate gradire i nostri migliori saluti