Questa mattina a partire dalle ore 9.30, presso l’aula magna del Liceo Classico di Vibo, gli studenti dell’IIS “Morelli-Colao”, guidati dalle referenti del progetto Gutenberg, le professoresse Anna Melecrinis e Chiara Marasco, hanno incontrato il professore Marcello Flores, per un dibattito vivo e partecipato intorno al volume scritto dallo studioso insieme a Giovanni Gozzini, “Perché il fascismo è nato in Italia”, edito dalla casa editrice Laterza nel 2022. La presentazione dell’autore e del volume sono stati a cura di Anna Sofia Lakehal della 4 E del Liceo Classico Morelli.
Marcello Flores, storico, autore di apprezzate pubblicazioni, si è occupato principalmente della storia del comunismo, del XX secolo, del genocidio degli Armeni durante la prima guerra mondiale, dei diritti umani e delle vittime di guerre. Ha fatto parte del comitato scientifico-editoriale per la monumentale “Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo” ha partecipato a diversi programmi televisivi divulgativi sul tema (ad esempio, Il tempo e la storia, Eco della Storia). Fa parte del comitato scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani sull’Armenia. Dal 1992 al 1994 è stato addetto culturale presso l’ambasciata italiana a Varsavia. Ha collaborato con diverse riviste (ne ha anche diretta una, I viaggi di Erodoto) e case editrici (ad esempio Mondadori).
Professore presso l’Università degli Studi di Siena e direttore del Master europeo in “Human Rights and Genocide Studies”, è stato anche Assessore alla Cultura presso il Comune di Siena (2006-2011). Fra le pubblicazioni ricordiamo: La fine del comunismo, Bruno Mondadori, Milano, 2011; Storia dei diritti umani, il Mulino, Bologna, 2008; 1917. La rivoluzione, Einaudi, Torino, 2007; Il genocidio degli armeni, il Mulino, Bologna, 2006; Tutta la violenza di un secolo,Feltrinelli, Milano, 2005; Il secolo-mondo. Storia del Novecento, il Mulino, Bologna, 2001; Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo (a cura di), Bruno Mondadori, Milano, 2001; Verità senza vendetta. L’esperienza della Commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione, Manifestolibri, Roma, 1999.
“Perché il fascismo è nato in Italia” intende rispondere ad una domanda che gli storici da tempo si pongono. Gli anni tra le due guerre sono infatti caratterizzati dalla diffusione sul suolo europeo di governi di destra, dittatoriali e totalitari, ma ad avviare questo processo politico è l’Italia incubatrice di quelle tendenze antidemocratiche che la guerra e la rivoluzione bolscevica incrementarono: il ricorso alla violenza come prassi e strategia politica è, infatti, la caratteristica della dialettica politica dei primi decenni del XX secolo.
Gli autori, con precisi e puntuali riferimenti storici, illustrano l’humus da cui il fenomeno ha tratto il suo sviluppo: la brutalizzazione della guerra. La trincea è l’incubatrice della violenza squadrista che riporta nella società e nella lotta politica la dicotomia amico-nemico di Schmittiana memoria. Il nemico diventa il socialista, il traditore neutralista che non ha sostenuto l’eroismo bellico esaltato a mito identitario dai reduci, soprattutto ex ufficiali che ritornati dalla guerra faticano a reinserirsi in posti di comando. Ignorati dallo Stato e sbeffeggiati dai socialisti e popolari finiscono con l’ingrossare le fila delle organizzazioni paramilitari.
La lotta politica viene gestita militarmente, la violenza diventa strategia della paura, del terrore, volta a eliminare il nemico politico e a far rinchiudere la società civile nel privato. Ma – ed ecco il secondo elemento centrale nell’analisi dei due storici – la paura del nemico è legata ad un’altra conseguenza del conflitto che per oltre settant’anni condizionerà la storia e la geo-politica mondiale: la rivoluzione bolscevica e la nascita dell’Urss.
Lo squadrismo fascista sulla cui violenza fonda la sua strategia politica Mussolini, insiste sulla imminenza del pericolo rivoluzionario bolscevico che verbalmente, secondo una sorta di necessità storica, i massimalisti continuano a proporre come un credo religioso. In Italia questo “red scare” si innesta su un contesto agrario in movimento ma profondamente arretrato e in lotta, pertanto lo squadrismo e la violenza fascista si sposano con la reazione conservatrice degli agrari che vogliono stravincere, annientare ogni forma di lotta socialista per i diritti dei lavoratori. Gli agrari non trovando uno spazio di contrattazione con lo Stato decidono di far da sé utilizzando lo squadrismo come deterrente.
Il legame tra squadrismo e agrari rappresenta la base sociale su cui si fonda il legame tra la media e piccola borghesia e il fascismo. La borghesia usa il fascismo per mantenere (vedi caso del gerarca Caradonna) o per ottenere (vedi il caso del gerarca Farinacci) prestigio, potere, ricchezza, spazio di difesa di interessi agrario-industriali, e di ascesa sociale, di rivendicazione di ruoli politici.
Infatti gonfiare il bisogno di “law and order” con la violenza e l’aggressività delle camicie nere finisce con legittimare nell’opinione pubblica borghese l’uso indiscriminato della violenza e presenta Mussolini come l’uomo, il capo destinato porre fine all’anarchie e all’assenza dello stato. Ed è proprio quest’ultimo il terzo e peculiare elemento che permette al fascismo di nascere in Italia: lo sgretolamento dello Stato liberale e la crisi del sistema partitico, incapace, (questo vale soprattutto per il partito liberale di Giolitti), di rispondere con misure politico-economiche adeguate alle tensioni e alle necessità postbelliche.
Partito di notabili, in crisi per l’introduzione del proporzionale e incapace di competere con i partiti di massa socialisti e cattolici, il partito liberale assiste e avalla con scelte politiche dubbie (come il listone elettorale e la simpatia antisocialista per il fascismo, che Giolitti pensa di poter usare e ricondurre nell’alveo della dialettica politica legale e democratica) l’ascesa di Mussolini, ma soprattutto il governo e la classe dirigente assiste inerme alla progressiva perdita di un caposaldo dello Stato: il monopolio della forza. Lo Stato, grazie alla convivenza tra squadrismo, forze dell’ordine, prefetti guardie regie e magistratura, lascia spazio alla violenza privata di squadre paramilitari, la violenza privata sostituisce la forza pubblica in un contesto nel quale la catena di comando governo-forze dell’ordine si disgrega.
È questo l’aspetto più specifico che consente al fascismo di nascere in Italia: a differenza di quanto avverrà in Germania, dove la Repubblica di Weimar per un decennio riuscirà a mantenere saldo il comando dello Stato, superando i tentativi rivoluzionari di destra e di sinistra. Lo Stato italiano come nel caso emblematico della marcia su Roma, rinuncerà al monopolio della forza per la paura di un sommovimento dal basso diffuso, creata ad arte da Mussolini e dei suoi ras. La paura del re di non controllare più le forze dell’ordine e l’intera catena di comando, consentirà ad una minoranza, di prendere il potere.
Mussolini approfitta del caos, della debolezza dei partiti, incapaci di una reale ed efficiente opposizione, poiché trincerati nel sospetto reciproco e su posizioni intransigenti. Navigando a vista, secondo quella che Simon definirà una razionalità limitata, e attraverso la politica del doppio binario, Mussolini riesce ad ottenere il governo, l’ ascesa politica personale, presentandosi come colui che è capace di sopperire alle carenze di ordine dello Stato: agli italiani prospetterà una nazione combattente, formata da cittadini soldati, un’immagine cara ai reduci, che si riconoscono nel motto “credere, obbedire, combattere”.
Il fascismo, infatti, che si nutre della violenza della guerra, proporrà una nazione escludente e divisiva, e come in ogni regime totalitario utilizzerà come suoi strumenti di dominio la violenza di Stato organizzata, proporrà uno Stato forte politicamente, centrato sul culto del capo carismatico, elaborerà nuovi miti con cui costruire il consenso: il bellicismo, il maschilismo, la potenza alimentata attraverso la repressione delle dissidenze, la propaganda e l’esclusione.
L’ignavia della società civile alimenterà una crisi della democrazia, causata più dalla paralisi delle coscienze e dall’espandersi di una “zona grigia” che dalle reali capacità rivoluzionarie del leader o delle organizzazioni. Così la riflessione sulla nascita del fascismo ci riconduce al presente, alla fragilità della democrazia: quando istituzioni, società civili, e forme di partecipazione si indeboliscono il rischio di una svolta autoritaria, pende, come una spada di Damocle, sulle nostre teste.
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