La tutela dei diritti umani sia al centro dei colloqui di pace tra autorità armene e azere e vi siano forti garanzie per tutte le persone colpite dal conflitto: questo chiede la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che oggi ha pubblicato le sue Osservazioni relative alla visita compiuta lo scorso ottobre 2023 nella regione. “Era la prima volta dopo decenni che una missione per i diritti umani di questo tipo ha potuto visitare il Karabakh”, segnala una nota del Consiglio. Al centro del viaggio la preoccupazione per gli oltre 101.000 armeni del Karabakh sfollati in Armenia, in seguito all’azione militare dell’Azerbaigian e al prolungato blocco della strada lungo il corridoio di Lachin. La Commissaria ha incontrato gli sfollati e ha chiesto alle autorità armene di garantire loro “accesso a tutto il supporto necessario nell’immediato, nel medio e nel lungo termine”. Agli Stati membri del Consiglio d’Europa invece chiede di non far mancare il sostegno finanziario. Secondo Mijatović a tutti gli armeni sfollati, dentro e oltre la regione del Karabakh, “dovrebbe essere data la possibilità di ritornare in sicurezza e dignità, anche se al momento sembra ipotetico per la maggior parte”. C’è poi il tema delle violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: da indagare e, quando necessario, giudicare in modo efficace e tempestivo. Da risolvere ci sono anche la questione delle mine e dei residuati bellici esplosivi, delle persone detenute in relazione al conflitto, delle persone scomparse, dell’incitamento all’odio.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-12 16:00:252024-01-13 16:01:12Consiglio d’Europa: Mijatovic, diritti umani siano al centro dei colloqui di pace tra autorità armene e azere (AgenSir 12.01.24)
Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato oggi che è la Turchia il “vero autore di un genocidio”. In un post su X (ex Twitter), Katz ha affermato che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, “proveniente da un Paese che ha compiuto il genocidio armeno e che pensava che il mondo avrebbe taciuto, oggi è orgoglioso di aver consegnato al tribunale dell’Aia materiali che accusano Israele di genocidio”.
“Non abbiamo dimenticato l’olocausto armeno e i massacri dei curdi da parte della Turchia. Siete voi i veri autori del genocidio. Noi ci stiamo difendendo dai vostri amici barbari”, ha aggiunto il capo della diplomazia israeliana, facendo riferimento al movimento islamista palestinese Hamas. Le dichiarazioni di Katz arrivano dopo che Erdogan, nel corso di un evento del Partito giustizia e sviluppo (Akp), ha citato l’udienza per accuse di genocidio contro Israele svolta ieri e oggi presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, affermando: “I documenti (di prove di genocidio) che abbiamo presentato sono utili per l’Aia”. Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, “non ha un posto dove nascondersi e non c’è difesa” per l’operazione lanciata nella Striscia di Gaza contro Hamas, ha dichiarato il presidente turco.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-12 15:58:392024-01-13 16:03:11Gaza, il ministro degli Esteri israeliano a Erdogan: “Siete voi i veri autori di un genocidio” (Agenzia Nova 12.01.24)
Quasi due settimane dopo che il Natale era stato celebrato in altre parti del mondo, e un giorno prima che la Georgia celebrasse il Natale ortodosso, la comunità etnica armena di Tbilisi ha celebrato il proprio Natale il 6 gennaio di quest’anno.
Secondo il censimento del 2014, circa 53.000 armeni risiedono nella capitale georgiana, mentre circa 168.000 armeni costituiscono la seconda minoranza etnica più grande della Georgia, esclusi quelli che risiedono nella regione separatista dell’Abkhazia.
Icone culturali di origine armena come il poeta e musicista del XVIII secolo Sayat Nova, vero nome Harutyun Sayatyan, o il regista di fama internazionale Sergei Parajanaov, sono nati a Tbilisi, così come il compositore classico e direttore d’orchestra di epoca sovietica Aram Khachaturyan.
Il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili si è congratulato con i cittadini di etnia armena e con i cittadini dell’Armenia, il vicino più meridionale del paese, definendo entrambi come “popolo armeno fraterno”.
Anche la presidente georgiana Salome Zourabichvili ha augurato alla Chiesa apostolica armena e alla sua congregazione “Pace, salute e benessere”. Altri funzionari di Tbilisi hanno fatto lo stesso.
Le immagini ritraggono gli armeni che celebrano il Natale il 6 gennaio 2024 in una delle chiese apostoliche, Sant’Etchmiadzin, a Tbilisi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-12 15:56:182024-01-13 15:58:21Il Natale della comunità armena di Tbilisi (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.01.24)
In pochi giorni, le case sono state abbandonate, i negozi chiusi e le chiese hanno sentito le ultime preghiere. Il governo dell’Azerbaigian ha portato a termine la pulizia etnica degli armeni dalle loro terre ancestrali. Il 19 settembre 2023, l’Azerbaigian ha lanciato attacchi militari su larga scala contro Nagorno-Karabakh (“Artsakh”), un’enclave etnica che in precedenza ospitava 120.000 armeni. Da un giorno all’altro, sono riusciti a prendere possesso della regione con la forza, mettendo fine a secoli di presenza armena in quelle terre e a una contesa trentennale per la regione. Mentre molte organizzazioni internazionali si sono sorprese dalla rapidità con cui è stata condotta questa pulizia etnica in modo metodico, i membri della diaspora armena, come me, che avevamo attirato l’attenzione sulla situazione nella regione, non lo eravamo. Siamo dispiaciuti del fatto che la nostra richiesta di aiuto umanitario per la popolazione armena in Artsakh per un intero anno sia caduta nel vuoto, senza risposta da parte della comunità internazionale. Ancora più allarmante è stata l’aggressione del governo dell’Azerbaigian, che è stata condotta senza controllo a causa della mancanza di azione delle istituzioni internazionali nel affrontare adeguatamente la pulizia etnica.
Domande frequenti sulla pulizia etnica
Qual è la definizione di pulizia etnica?
La pulizia etnica si riferisce all’eliminazione intenzionale di un gruppo etnico specifico da un territorio determinato, mediante l’uso della forza.
La pulizia etnica è un crimine riconosciuto dal diritto internazionale?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la pulizia etnica non è stata riconosciuta come un crimine indipendente e non ha una definizione formale nel diritto internazionale. Ciò consente un’interpretazione e un abuso eccessivi quando si tratta di atti di pulizia etnica.
Cosa differenzia la pulizia etnica da altri crimini di guerra?
Ciò che differenzia la pulizia etnica da altri crimini di guerra è l’intenzione di eliminare un gruppo etnico specifico da un territorio determinato mediante l’uso della forza.
Quali implicazioni ha l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale (CPI)?
Dopo aver ratificato lo Statuto di Roma e essere entrata a far parte della CPI, l’Armenia cerca di rafforzare la propria sovranità e prevenire future intrusioni. Ciò potrebbe anche consentirgli di presentare un caso legale contro l’Azerbaigian, poiché quest’ultimo non è membro della CPI. Tuttavia, questa decisione potrebbe generare tensioni nel rapporto tra l’Armenia e la Russia, poiché i membri della CPI sono impegnati nell’ordine di arresto del presidente russo, Vladimir Putin, per il rapimento di bambini ucraini.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-12 12:22:092024-01-12 21:24:19La pulizia etnica in Artsakh: La sfida nel definire un crimine internazionale (Motorblog 12.01.24)
Siamo stati a Tsaghkunk, a un’ora dalla capitale Yerevan, per conoscere cucina e volti di un progetto gastronomico ambizioso e indipendente
Pochi giorni fa abbiamo scritto di come per la prima volta ci sia capitato di vedere una nazione dove il livello della miscelazione contemporanea supera quello della gastronomia locale. Stiamo parlando dell’Armenia e quello che non vogliamo che sembri è una gara tra chi è migliore o peggiore dell’altro. È evidente come a partire dalla capitale, e scendendo a pioggia verso i centri minori, vi sia un sottobosco di locali che propongono un’idea di cocktail bar e quindi di mixability che si avvicina molto ai contesti più di successo a livello internazionale. Come struttura dei singoli esercizi, come architetture, come modalità di servizio, ricerca, varietà di prodotto, attenzione alla stagionalità, partecipazione a momenti di scambio e confronto internazionali (vedi i famosi Bar Show di cui abbiamo spesso raccontato). Abbiamo scritto di come la Yerevan Cocktail Week abbiamo portato per la prima volta in Armenia un pool di professionisti internazionali – diversi gli italiani presenti – per creare un evento di racconto culturale sul Paese ma allo stesso tempo di formazione e ispirazione per le nuove generazioni che si approcciano a questo mestiere.
Questo non toglie che di riflesso, anche l’imprenditoria della ristorazione inizi a guardare a queste attività con interesse, investendo in progetti che coinvolgano giovani chef e lavorino nell’ottica di creare sinergie e connessioni con il resto di professionisti. La maggior parte dei ristoranti propongono ancora cibo semplice, tradizionale, ispirato alle ricette arrivate dalle influenze dei territori confinanti e molto legate a ciò che terra e suolo offrono. Tuttavia, iniziano ad esserci format verticali agili e particolarmente giovani nella proposta e nel decoro, ristoranti glamour, all day bar con cucina internazionale e miscelazione, ristoranti italiani, izakaya con banco bar e proposta food di tapas, griglia e main courses.
Insomma, Yerevan sta vivendo in questi anni – da dopo la pandemia e grazie anche all’arrivo di diversi russi e immigrati balcanici – una rinascita economica, culturale e gastronomica. Conosciuta in tutto il mondo per la sua produzione vitivinicola, non esistono ancora ristoranti propriamente detti fine dining e non ancora personaggi di rilievo a livello culinario pronti a confrontarsi con i grandi attori della cucina contemporanea. Uno degli esempi più interessanti in questo senso, è il progetto di Tsaghkunk Restaurant & Glkhatun nell’omonima cittadina di Tsaghkunk, a un’ora dalla capitale e situato a nord del lago Sevan. Arevik Martirosyan è la giovane cheffa a capo di questo progetto, che a trentuno anni, appena sposata, guida un team di otto persone dall’orario pranzo fino al dopo cena.
Arevik è una ragazza particolarmente timida che, dietro un’apparente figura schiva e poco propensa al racconto, cela un carattere determinato e professionale. Due anni e mezzo fa ha lasciato la capitale per trasferirsi in questa cittadina minore, dove dopo un anno è entrata a far parte di questo progetto facendone la sua seconda (alle volte anche prima) casa. Il menu cerca di abbracciare la tradizione armena ma presentando ogni cosa con grande garbo, gusto femminile e freschezza di mise en place, colori, dettagli.
Persino un semplice tagliere di salumi e formaggi acquista una dignità diversa perché presentato al pari di altri piatti e dando il giusto peso a ogni ingrediente, pane in primis. Tuberi, cavoli, patate e vegetali in senso ampio sono molto presenti e per la prima volta vediamo quanto l’attitudine ad attingere da erbe e germogli locali – il wild foraging è estremamente diffuso in Armenia – abbia qui un riscontro effettivo nei piatti. Per la prima volta mangiamo un filetto di pesce, in questo caso si tratta della trota del lago Sevan, prima marinata e poi affumicata.
I fish dolma sempre di trota di prossimità sono squisiti, così come gli sfilacci di formaggio chechil fritti con panatura al latticello sono un perfetto accompagnamento di insalate, secondi, piatti freddi o aperitivi. Non mancano i piatti di carne, agnello e maiale, dove il primo viene proposto in portate abbondanti e celebrative, tra cui anche un caldo e confortevole spezzatino. Il ristorante si sviluppa su due piani, dove quello rialzato si presta per occasioni di incontro, convivialità, confronti, volendo anche discussioni e tavole rotonde. Gli interni sono stati pensati in legno, con grandi finestre illuminanti, tavoli ampi, rotondi, aree relax più conviviali e nel complesso un calore avvolgente e rilassante.
A pochi metri dall’ingresso è stato rimesso a nuovo, preservandone l’originale struttura, il vecchio forno interrato del paese (tandoor). Ancora oggi qui si produce quotidianamente il lavash, il pane sottilissimo e croccante tipico armeno, che viene distribuito agli abitanti locali oltre che chiaramente essere servito in più portate al ristorante. In contro-tendenza rispetto alla sua posizione decentrata, lontana dalla capitale e con un lavoro che risente di una stagionalità significativa tra estate e inverno, Tsaghkunk Restaurant sin dall’inizio ha avviato un programma di eventi che ha coinvolto chef da più parti del mondo, invitando giornalisti locali, opinion leaders internazionali a conoscere la realtà, il territorio, le nuove forme di imprenditoria gastronomica e i movimenti del settore fuori dalla capitale.
«Nel 2021 abbiamo avuto la fortuna di riuscire a organizzare una cena di cucina contemporanea armena, ideata con Mads Refslund uno dei co-founder del primo Noma. Nel 2022 abbiamo ospitato lo spagnolo Dmitry Dudin e quest’anno stiamo organizzando un evento con Diego Munoz dal Perù, auspicabilmente in primavera, e Tekuna Gachechiladze dalla Georgia. Credo che queste collaborazioni siano tutte importanti in modo diverso tanto per la nostra piccola realtà quanto per tutto il team perché sono una full immersion di conoscenze, esperienze, confronto e motivazione» mi racconta la Cheffa Arevik. «Spero nel tempo di poter formare una squadra ancora più indipendente sul lavoro per poter tornare presto a viaggiare anche io, lavorare e formarmi in giro per il mondo».
Nonostante si tratti di un centro minore, questi sono contesti particolarmente fertili dove molto è ancora da costruire ma il terreno è vergine, la presa sulla gente del posto è massima e l’impatto del turismo decisivo. Questo è solo l’inizio!
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, abbiamo ricevuto da un’amica armena, Teresa Mkhytarian, questo messaggio che ben volentieri portiamo alla vostra attenzione. Non abbandoniamo all’oblio i nostri fratelli armeni, in particolare quelli d’Artsakh/Nagorno Karabagh che la pulizia etnica azera ha forzato via dalle loro case. Buona lettura e diffusione.
§§§
Carissimi,
oggi è il Natale armeno.
Cristo è nato e si è rivelato.
Sia benedetta la rivelazione di Cristo.
Per me, per te è una grande notizia.
È la prima volta in 1700 anni che non si festeggerà il Natale nelle chiese e monasteri dell’Artsakh…
Ma come ha detto il Vescovo dell’Artsakh Vrtanes Srbazan: “L’Artsakh è il Paradiso armeno, e per i cristiani il ritorno al Paradiso è possibile solo attraverso Gesù Cristo. Quindi, cari fratelli e sorelle credenti, inginocchiati davanti all’umile mangiatoia di Gesù Bambino, auguriamo a tutti noi il ritorno con Cristo al Paradiso, all’Artsakh.Cristo è nato ed apparso, Grande Notizia per tutti voi e noi…”
Anche io sono sicura, che il ritorno in Artsakh è possibile solo con Gesù Cristo.
Sono stata invitata in Californa ,sono appena tornata. Ho partecipato a varie conferenze in diverse città californiane, ho dato due interviste sulla televisione sempre sul tema dell’Artsakh. In California vivono circa 2 milioni di armeni. La mia proposta durante queste conferenze era l’unione del popolo di Cristo. Nel mondo materiale non è possibile vincere il nemico, perché i padroni del mondo insieme ai turchi dispongono di interminabili mezzi materiali e corrompono le persone che prendono decisioni, l’élite al governo. Anche il governo armeno collabora con i nemici.
Quindi per ritornare in Artsakh, bisogna percorrere un cammino spirituale, dove al capo del cammino sarà Gesù Cristo, l’Invincibile.
Perciò ho chiamato questo cammino ‘’La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh’’.
A uno degli incontri a Los Angeles, c’erano il vescovo dell’Artsakh, quello della Chiesa Armena Apostolica e il vescovo armeno della Chiesa cattolica, poi uomini d’affari, giornalisti, medici… erano tutti molto diversi, ma entusiasti della mia proposta.
‘’Dobbiamo cercare degli amici che ci aiuteranno a ritornare in Artsakh. Non devono essere solo armeni, ma Cristiani che amano Cristo e che non sono corruttibili. Diventando Amici dell’Artsakh, uno dei luoghi con più tracce del Cristianesimo Antico, con uno dei popoli cristiani più antichi, queste persone potrebbero così anche ritrovare le loro stesse radici cristiane,e quindi ritrovare sé stessi.
E poi il popolo di Cristo non ha nazionalità. Non importa se sono americani, russi, italiani, svizzeri o finlandesi, l’amore di Gesù li unisce tutti. Di per sé neanche le persone che hanno scelto di vendere l’anima per la materia, neanche loro conoscono confini geografici, sono dentro un progetto cattivo che è internazionale.
Non sono soltanto gli armeni ad avere bisogno un rifugio in Cristo in questi tempi difficili.
Il Male perseguita tutti in vari modi e il mondo intero è sempre più colpito, confuso, disturbato.
Non è che se in America non ci sono i turchi, la gente è lasciata a vivere in pace. La lotta contro l’uomo che appartiene a Dio c’è dappertutto. In California ci sono bagni pubblici, incluso nelle università, dove hanno cominciato a fare dei bagni specifici per gli uomini che si sentono gatti. Mi raccontavano degli studenti universitari che dei loro compagni si fanno chiamare ‘’It’’ e dicono di sentirsi dei gatti e nella conversazione fanno anche ‘miao’.
O ai neonati non scrivono più il sesso, con ragioni del tipo ‘deciderà quando sarà grande’.
Quindi la confusione c’è dappertutto e l’unico modo per rimanere uomini è seguire la strada di Gesù, non ci sono confusioni, è tutto chiaro e semplice.
Duranteil giorno avevo tanti incontri con la gente e di notte non riuscivo dormire per il cambiamento dell’orario. Allora lavoravo e poi facevo con i miei amici in Armenia dei pacchi alimentari per tre mesi per la gente dell’Artsakh, facevo le ordinazione del cibo dai vari villaggi in Armenia etc. È un po’ stancante, ma per alcuni giorni si può fare.
Gli ex governanti dell’Artsakh mi hanno chiesto di sostenere i casi più difficili degli sfollati – le famiglie dove sono morte più persone in una famiglia. Parlo al telefono con loro varie volte per capire di cosa hanno bisogno per poter sopravvivere. Gli stiamo regalando vestiti, cibo, paghiamo l’affitto e vari cose che mi chiedono …
Dopo aver aiutato con le cose materiali, li dico sempre:
Guardate, le cose materiali vi aiuteranno a sopravvivere fisicamente, ma la nostra anima appartiene a Dio,quindi solo Lui può curarla. Sembra quasi impossibile vivere quando il marito e tre figli sono stati uccisi, è un peso troppo grande, nessun uomo può togliere questo peso, solo il Signore può. Quindi andate da Colui che vi aiuterà guarire la vostra anima, andate in Chiesa, partecipate alle messe e condividete con Lui il vostro grande insopportabile dolore ….. ‘’.
Mi promettono che lo faranno.
Questa è una lettera che ho ricevuto da Zara 2 giorni fa. Ha perso 4 persone della sua famiglia …
‘’Cara Teresa, a dire il vero, siccome nella nostra famiglia c’erano persone scomparse a causa dell’esplosione in Artsakh, pregavo Dio ogni giorno che almeno uno tra i quattro scomparsi fosse vivo, e se nel caso in cui nessuno di loro fosse vivo, ho giurato che non sarei mai più entrata in chiesa.
E pensavo che non esistesse più Dio. E dopo, sei apparsa tu nella nostra famiglia, come se fossi stata mandata da Dio.
Mi hai detto più volte di andare in chiesa a messa. Ero indecisa, da una parte avevo giurato di non entrare più in chiesa, dall’altra parte le tue parole risuonavano continuamentealle mie orecchie. Due giorni fa leggevo quello che hai scritto sulla Felicità e allora ho deciso di andare di nuovo in chiesa.
Grazie di cuore per il tuo grande aiuto di tornare di nuovo nella casa di Dio e di ritrovare la Fede.
Dopo queste perdite, in me c’era una tempesta, passavo le mie giornate a piangere continuamente, ma gli ultimi giorni, pregando Dio, ho trovato pace dentro di me”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-11 21:20:452024-01-12 21:21:45Artsakh, Chiese e Monasteri Armeni senza Natale. Prima Volta in 1700 Anni. (Stilum Curiae 11.01.24)
A Parigi è stata aperto una mostra fotografica in place de la Bastille per aumentare la consapevolezza sul patrimonio armeno a rischio in Artsakh. Intitolata Nagorno-Karabakh: Patrimonio armeno a rischio, la mostra è stata organizzata dal Comune di Parigi e L’Œuvre d’Orient, un’associazione cattolica francese, e sarà aperta fino al 15 gennaio.
L’Ambasciatore armeno in Francia, Hasmik Tolmajian, ha partecipato alla cerimonia di apertura e ha ringraziato gli organizzatori – rappresentati dai Vicesindaci di Parigi, Carine Rolland e Arnaud Ngatcha, e il Presidente dell’Œuvre d’Orient, Jean-Yves Tolot – per il sostegno all’Armenia e al popolo armeno.
Nel suo intervento, l’Ambasciatore Tolmajian ha avvertito che, dopo aver perpetrato la pulizia etnica in Artsakh, l’Azerbajgian vuole ora cancellare le tracce della presenza armena nel Paese, che sono presenti 1700 anni e sono testimoniate dalle immagini esposte nella mostra. L’Ambasciatore armeno ha sottolineato l’importanza degli sforzi internazionali volti a preservare il patrimonio storico-culturale-religioso armeno a rischio nell’Artsakh.
Terra sacra dell’Artsakh. Dimora eterna del Cristianesimo.
6 gennaio 2024
La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh
di Teresa Mkhitaryan
Oggi è il Natale armeno. Cristo è nato e si è rivelato. Sia benedetta la rivelazione di Cristo. Per me, per te è una grande notizia. È la prima volta in 1700 anni che non si festeggerà il Natale nelle chiese e monasteri dell’Artsakh…
Ma come ha detto il Vescovo dell’Artsakh Vrtanes Srbazan: “L’Artsakh è il Paradiso armeno, e per i cristiani il ritorno al Paradiso è possibile solo attraverso Gesù Cristo. Quindi, cari fratelli e sorelle credenti, inginocchiati davanti all’umile mangiatoia di Gesù Bambino, auguriamo a tutti noi il ritorno con Cristo al Paradiso, all’Artsakh. Cristo è nato ed apparso, Grande Notizia per tutti voi e noi…”. Anche io sono sicura, che il ritorno in Artsakh è possibile solo con Gesù Cristo.
Sono stata invitata in California, sono appena tornata. Ho partecipato a varie conferenze in diverse città californiane, ho dato due interviste sulla televisione sempre sul tema dell’Artsakh. In California vivono circa 2 milioni di Armeni. La mia proposta durante queste conferenze era l’unione del popolo di Cristo. Nel mondo materiale non è possibile vincere il nemico, perché i padroni del mondo insieme ai Turchi dispongono di interminabili mezzi materiali e corrompono le persone che prendono decisioni, l’élite al governo. Anche il governo armeno collabora con i nemici.
Quindi per ritornare in Artsakh, bisogna percorrere un cammino spirituale, dove al capo del cammino sarà Gesù Cristo, l’Invincibile. Perciò ho chiamato questo cammino ‘’La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh’’.
A uno degli incontri a Los Angeles, c’erano il vescovo dell’Artsakh, quello della Chiesa Armena Apostolica e il vescovo armeno della Chiesa Cattolica, poi uomini d’affari, giornalisti, medici… erano tutti molto diversi, ma entusiasti della mia proposta.
Dobbiamo cercare degli amici che ci aiuteranno a ritornare in Artsakh. Non devono essere solo Armeni, ma Cristiani che amano Cristo e che non sono corruttibili. Diventando Amici dell’Artsakh, uno dei luoghi con più tracce del Cristianesimo Antico, con uno dei popoli cristiani più antichi, queste persone potrebbero così anche ritrovare le loro stesse radici cristiane, e quindi ritrovare sé stessi.
E poi il popolo di Cristo non ha nazionalità. Non importa se sono Americani, Russi, Italiani, Svizzeri o Finlandesi, l’amore di Gesù li unisce tutti. Di per sé neanche le persone che hanno scelto di vendere l’anima per la materia, neanche loro conoscono confini geografici, sono dentro un progetto cattivo che è internazionale.
Non sono soltanto gli Armeni ad avere bisogno un rifugio in Cristo in questi tempi difficili.
Il Male perseguita tutti in vari modi e il mondo intero è sempre più colpito, confuso, disturbato.
Non è che se in America non ci sono i Turchi, la gente è lasciata a vivere in pace. La lotta contro l’uomo che appartiene a Dio c’è dappertutto. In California ci sono bagni pubblici, incluso nelle università, dove hanno cominciato a fare dei bagni specifici per gli uomini che si sentono gatti. Mi raccontavano degli studenti universitari che dei loro compagni si fanno chiamare ‘’It’’ e dicono di sentirsi dei gatti e nella conversazione fanno anche “miao”.
O ai neonati non scrivono più il sesso, con ragioni del tipo “deciderà quando sarà grande”.
Quindi la confusione c’è dappertutto e l’unico modo per rimanere uomini è seguire la strada di Gesù, non ci sono confusioni, è tutto chiaro e semplice.
Durante il giorno avevo tanti incontri con la gente e di notte non riuscivo dormire per il cambiamento dell’orario. Allora lavoravo e poi facevo con i miei amici in Armenia dei pacchi alimentari per tre mesi per la gente dell’Artsakh, facevo le ordinazioni del cibo dai vari villaggi in Armenia etc. È un po’ stancante, ma per alcuni giorni si può fare.
Gli ex governanti dell’Artsakh mi hanno chiesto di sostenere i casi più difficili degli sfollati – le famiglie dove sono morte più persone in una famiglia. Parlo al telefono con loro varie volte per capire di cosa hanno bisogno per poter sopravvivere. Gli stiamo regalando vestiti, cibo, paghiamo l’affitto e vari cose che mi chiedono…
Dopo aver aiutato con le cose materiali, li dico sempre: «Guardate, le cose materiali vi aiuteranno a sopravvivere fisicamente, ma la nostra anima appartiene a Dio, quindi solo Lui può curarla. Sembra quasi impossibile vivere quando il marito e tre figli sono stati uccisi, è un peso troppo grande, nessun uomo può togliere questo peso, solo il Signore può. Quindi andate da Colui che vi aiuterà guarire la vostra anima, andate in Chiesa, partecipate alle messe e condividete con Lui il vostro grande insopportabile dolore». Mi promettono che lo faranno.
Questa è una lettera che ho ricevuto da Zara 2 giorni fa. Ha perso 4 persone della sua famiglia: «Cara Teresa, a dire il vero, siccome nella nostra famiglia c’erano persone scomparse a causa dell’esplosione in Artsakh, pregavo Dio ogni giorno che almeno uno tra i quattro scomparsi fosse vivo, e se nel caso in cui nessuno di loro fosse vivo, ho giurato che non sarei mai più entrata in chiesa. E pensavo che non esistesse più Dio. E dopo, sei apparsa tu nella nostra famiglia, come se fossi stata mandata da Dio. Mi hai detto più volte di andare in chiesa a Messa. Ero indecisa, da una parte avevo giurato di non entrare più in chiesa, dall’altra parte le tue parole risuonavano continuamente alle mie orecchie. Due giorni fa leggevo quello che hai scritto sulla Felicità e allora ho deciso di andare di nuovo in chiesa. Grazie di cuore per il tuo grande aiuto di tornare di nuovo nella casa di Dio e di ritrovare la Fede. Dopo queste perdite, in me c’era una tempesta, passavo le mie giornate a piangere continuamente, ma gli ultimi giorni, pregando Dio, ho trovato pace dentro di me».
La Pace, quella di Dio, sia con tutti noi.
Cristo è nato e si è rivelato.
Sia benedetta la rivelazione di Cristo.
Per me, per voi è una grande notizia.
Felice Anno Nuovo,
Un abbraccio Teresa Mkhitaryan Foto di copertina: il khachkar (croce di pietra) scolpito vicino all’ingresso di Gtichavank, monastero nella regione di Hadrut dell’Artsakh, completato nel 1248.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.01.2024 – Vik van Brantegem] – Nel mese di ottobre scorso, l’Azerbajgian aveva dichiarato: «Il Corridoio di Zangezur non è più attraente». Ora la vecchia narrazione è tornata sul tavolo e – come ogni altra cosa da parte dell’Azerbajgian – viene utilizzata per fare pressione sull’Armenia. Le leadership dell’Azerbajgian, della Turchia e della Russia suggeriscon un interesse costante nel progetto del cosiddetto “Corridoio di Zangezur” attraverso la regione meridionale di Syunik dell’Armenia.
In un’intervista ai canali televisivi azeri (foto di copertina e foto sopra) [*], il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha dichiarato che non aprirà un punto di frontiera in nessun luogo con l’Armenia, a meno che le merci provenienti dal suo territorio (quindi di origine azera e russa) non possano passare attraverso il territorio sovrano dell’Armenia al Nakhichevan e alla Turchia senza essere controllate. Il riferimento è ad una strada che attraversa l’Armenia e collega l’Azerbajgian continentale con la sua exclave/regione autonoma, Nakhichevan, denominata dall’Azerbajgian, dalla Turchia e dalla Russia come “Corridoio di Zangezur”.
Invece l’Armenia, nell’ambito del progetto “Crocevia della Pace” [QUI], è d’accordo con l’apertura della strada, insiste sul pieno rispetto della sovranità e delle procedure doganali e di frontiera. Invece, il Presidente Aliyev avverte, che se l’Armenia manterrà questa posizione, la strada potrebbe «rimanere per sempre un vicolo cieco». Ha aggiunto: «Se la strada [inteso il “Corridoio di Zangezur”] non verrà aperto, non intendiamo aprire il confine con l’Armenia in nessun altro punto. In tal caso, subiranno più danni che benefici». Ha rivelato le condizioni che richiede per quel corridoio: «Le persone e le merci dovrebbero arrivare dall’Azerbajgian e all’Azerbajgian senza ispezioni». In altre parole, Aliyev ricatta l’Armenia, dicendo che o cederà il “Corridoio di Zangezur” all’Azerbajgian, oppure continuerà ad essere assediata.
Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, nella sessione congiunta delle commissioni dell’Assemblea nazionale durante le discussioni preliminari sul progetto di legge 2024 sul bilancio statale, fine ottobre 2023, ha detto: «Sono stati concordati i tre principi fondamentali della pace e della regolamentazione delle relazioni con l’Azerbajgian. E se le parti rimarranno fedeli ai principi concordati, la firma dell’accordo di pace e di risoluzione delle relazioni diventerà realistica», ha affermato Pashinyan, ricordando questi principi:
Il primo principio è che la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbajgian riconoscono reciprocamente l’integrità territoriale, fermo restando che il territorio dell’Armenia è di 29.800 chilometri quadrati e dell’Azerbajgian – 86.600 chilometri quadrati, notando che l’accuratezza di questi numeri è oggetto di critiche. A questo proposito ha chiarito. «L’accordo è stato raggiunto a livello politico. E l’idea principale era quella di fare riferimento a qualche fonte al di fuori dell’influenza delle parti e prendere quel numero come base, comprendendo che la demarcazione e la delimitazione avverranno durante ulteriori discussioni e accordi. Queste cifre sono tratte da quelle registrate nelle recenti enciclopedie dell’Unione Sovietica. Contiene documenti sul territorio della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian».
Il secondo principio è che le parti accettino una delimitazione basata sulla Dichiarazione di Almaty. Significa partire dalla realtà che i confini amministrativi tra Armenia e Azerbajgian durante l’Unione Sovietica sono diventati confini statali, la cui inviolabilità è riconosciuta dalle parti nella Dichiarazione di Almaty. «Anche la disponibilità di mappe che registrano la situazione attuale al momento dell’adozione della Dichiarazione di Almaty è di fondamentale importanza nel processo di delimitazione. Esistono infatti mappe in possesso dei partiti che esprimono queste realtà. Pertanto, con la volontà politica dei partiti, è possibile portare avanti questo processo in modo abbastanza rapido ed efficiente», ha affermato Pashinyan.
Il terzo principio è che le comunicazioni regionali sono aperte sulla base della sovranità e della giurisdizione delle parti, e le comunicazioni regionali funzioneranno sulla base della reciprocità e dell’uguaglianza. La parte armena ha riassunto la propria posizione riguardo a questo principio nel progetto “Crocevia della Pace”».
La posizione ripresa sul tracciato dei vecchi schemi è un’audacia incredibile da parte del guerrafondaio di Baku, ma non siamo minimamente sorpresi. È arrogante perché se l’è cavata con le atrocità commesse contro gli Armeni sfollati con la forza dall’Artsakh dopo l’aggressione terroristica del 19-20 settembre 2023. Ora pensa di poter costringere Pashinyan a rinunciare a rinunciare a Syunik, come ha rinunciato ad Artsakh. Questo si chiama dispetto. Non qualcosa che andrà bene per entrambe le parti coinvolte.
A seguito delle ricorrenti farneticazioni dell’autocrate di Baku, l’Ambasciatore iraniano in Armenia, Mehdi Sobhani, ha affermato che la Repubblica Islamica dell’Iran ha «sempre sostenuto la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica d’Armenia» e che “qualunque cosa possa costituire una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Armenia sarebbe per noi inaccettabile».
Alle recenti dichiarazioni del Presidente Aliyev ha risposto anche l’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhichevan, sottolineando che «il Presidente dell’Azerbajgian continua la retorica orientata all’espansionismo. Lo Stato – che ha annesso e occupato territori storicamente armeni, come l’armeno Nakhichevan, lo storico Gardman e infine il Nagorno-Karabakh [Artsakh], parla ipocritamente dell’ingiustizia storica».
Gardmam è un’antica regione della provincia di Utik nel Regno di Armenia e Albania Caucasica. Venne governata dalla famiglia locale di Mihranid di origine persiana, che più tardi divenne la dinastia regnante dell’Albania Caucasica. La regione di Gardman fu conquistata dagli arabi nell’855. I Mihranidi governarono la regione ancor prima del 390 fino almeno all’anno 855.
Quando il Transcaucaso venne incorporato nell’URSS nel 1920/21, i confini tra le Repubbliche di Azerbajgian, Armenia e Georgia non furono determinati immediatamente. Tracciare la frontiera tra Armenia e Azerbajgian e risolvere la disputa sullo status delle regioni di Nagorno-Karabakh (Artsakh) e del Nakhichevan fu la causa di gran parte dei ritardi. La lotta politica per il Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbajgian richiese diversi anni per essere risolta dalle autorità sovietiche. Inizialmente la situazione favorì l’Armenia, poiché l’Azerbajgian nel dicembre 1920 (sotto la forte pressione sovietica) fece una dichiarazione secondo cui le regioni di Nagorno-Karabakh (Artsakh), di Zangezur (Suynik) e di Nakhichevan sarebbero state tutte cedute all’Armenia. Stalin rese pubblica la decisione il 2 dicembre, ma l’Azerbajgian in seguito rinnegò la dichiarazione. Quattro mesi dopo la situazione girò in favore dell’Azerbajgian. Il 16 marzo 1921, un trattato tra Turchia e Unione Sovietica determinò che sia il Nagorno-Karabakh (Artsakh) sia il Nakhichevan sarebbero stati sotto amministrazione azera, mentre lo Zangezur comunque rimase all’Armenia, diventando infine le province di Syunik e Vayots Dzor. Questo cambiamento dei confini finì per rendere il Nakhichevan un’exclave. Nel 1924, il Nakhichevan ottenne lo status di Repubblica Autonoma, come concessione da parte di Stalin all’appena fondata Repubblica di Turchia di Mustafa Kemal Atatürk, che all’epoca era vista come un potenziale alleato.
L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhichevan prosegue: «La conoscenza della storia del Presidente dell’Azerbajgian e le sue interpretazioni richiedono ulteriori chiarimenti. In particolare, si riferisce all’affermazione che nel 1918, dopo la dichiarazione di indipendenza dell’Azerbajgian il 28 maggio, la città di Yerevan fu ceduta all’Armenia. La storiografia azera sarà in grado di rispondere alla seguente domanda: sotto il controllo di quale forza si trova Yerevan a maggio 1918 e se in questa regione durante i molti millenni di storia è esistito uno stato chiamato “Azerbajgian”, che includeva Yerevan o qualsiasi insediamento del territorio?
La risposta è molto semplice. Yerevan, la cui identità armena è testimoniata non solo da fonti armene ma anche da molte fonti straniere, a maggio 1918 era sotto il controllo delle forze armate armene, che stavano combattendo a Yerevan una battaglia davvero eroica contro l’esercito ottomano.
Un altro problema è se il neo-proclamato Azerbajgian come Stato avesse abbastanza opportunità per avanzare autonomamente rivendicazioni su Yerevan o su qualsiasi area in generale, quando anche la città di Baku non era sotto il controllo del governo fantoccio dell’Azerbajgian, e la prima capitale Gandzak era governato dalla monarchia di Nuri Pasha. Per ragioni di giustizia è necessario menzionare che il 17 giugno 1918, il primo governo guidato da Khan Khoisky fu sciolto per ordine di Nouri Pasha, e al nuovo governo mancava il Ministro della Guerra, e lo stesso Nouri Pasha assunse le funzioni di quest’ultimo.
Può il Presidente dell’Azerbajgian rispondere onestamente alla domanda su cosa fosse veramente l’Azerbajgian, se non un territorio sotto l’occupazione dell’Impero Ottomano, nel momento in cui l’esercito armeno che combatteva in Armenia ottenesse autonomamente la propria indipendenza?
Quando parla di Yerevan come città azera, il Presidente dell’Azerbajgian sembra deliberatamente dimenticare la continuità del patrimonio culturale armeno a Yerevan e in tutti gli altopiani armeni, che è registrato a livello internazionale. Nel frattempo, quando si parla di “Azerbajgian”, consigliamo al Presidente dell’Azerbajgian di specificare in modo equo quale cultura intende con questa dicitura: persiana, araba, caucasica, armena o musulmana universale.
Pertanto, esortiamo il Presidente dell’Azerbajgian a studiare approfonditamente il passato storico prima di fare dichiarazioni strampalate riguardo al territorio sovrano di un altro Stato, altrimenti le dichiarazioni geopolitiche fatte daranno un’impressione di un trattato esilarante, che è oscurato dalla ripetuta esperienza di militarizzazione e sistematica violazione dei diritti umani e predominanza dell’idea di riproduzione della forza e tirannia».
Con le sue dichiarazioni televisive, Ilham Aliyev ci comunica chiaramente che l’obiettivo dell’Azerbajgian non è raggiungere la pace con l’Armenia, afferma Robert Anayan, ma mantenere la parte armena sotto il blocco pluridecennale e creare gli strumenti necessari per attacchi militari manipolando le questioni delle enclavi (otto villaggi in Armenia) e del “Corridoio di Zangezur”, senza alcuna base legale per le sue rivendicazioni territoriali contro l’Armenia.
La settimana scorsa, Hikmet Hajiyev, ufficialmente l’Assistente del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian, Capo del Dipartimento per gli Affari di Politica Estera dell’Amministrazione Presidenziale e in realtà il Capo della macchina menzognera della propaganda dell’autocrate Ilham Aliyev, ad un giornale tedesco ha spiegato ancora una volta cosa significa il “Corridoio di Zangezur” secondo l’Azerbaigian, dichiarando che che Baku chiede il “Corridoio di Zangezur” sulla base della dichiarazione tripartita firmata dopo la guerra dei 44 giorni, il 9 novembre 2020. Ha detto: «L’Armenia dovrebbe fornire una strada che colleghi l’Azerbajgian con Nakhichevan senza dogane e controlli di frontiera. La nostra preoccupazione è che non possiamo lasciare le merci azerbajgiane e i nostri passeggeri ai capricci delle forze dell’ordine armene». Questa è una dichiarazione razzista, mostrando il livello di odio armeno in Azerbajgian. Baku affonda il processo di sblocco presentando una rivendicazione territoriale all’Armenia. Se il “Corridoio di Zangezur” è fuori dal controllo dell’Armenia, sotto la libera gestione dell’Azerbajgian, Turchia e Russia, ciò significa la perdita della sovranità armena. È questo che Aliyev richiede esattamente, portando l’intero processo negoziale al fallimento.
Yerevan ha sempre sottolineato che «non esiste una logica di corridoio nei negoziati». E poco probabile che Yerevan accetti di aprire una strada tra l’Azerbaigian e il Nakhichevan con la logica di un “corridoio”.
Oltre a presentare una rivendicazione territoriale nei confronti dell’Armenia sotto il nome di “corridoio” extraterritoriale, l’Azerbajgian non riesce a raggiungere un accordo sulla questione della demarcazione della frontiera tra Armenia e Azerbajgian. Non è possibile iniziare la demarcazione quando la mappa non è determinata e i principi della demarcazione non sono concordati.
Lo scorso 4 gennaio, il Ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, ha detto che Erevan ha inoltrato le sue proposte a Baku. Mirzoyan ha fornito i dettagli del documento consegnato all’Azerbajgian. Nel contempo, Mirzoyan ha affermato che c’è un passo indietro nelle proposte di Baku (riferendosi indubbiamente alla logica del “corridoio” promossa da Aliyev), confermando la battuta d’arresto nella posizione dell’Azerbaigian, come ha espresso anche Aliyev։ Secondo Aliyev, Baku non intende ritirare le truppe in modo speculare: «Non faremo un solo passo indietro rispetto alle posizioni assunte nel maggio 2021 o nel settembre 2022 perché il confine deve essere definito».
Aliyev ha detto anche, che le «richieste dell’Armenia contro l’Azerbajgian sono infondate perché non ci sono insediamenti nel territorio del confine convenzionale. L’Armenia, da parte sua, mantiene i nostri villaggi sotto occupazione, e questo è inaccettabile. Penso che alla fine di questo mese, ci sarà una riunione della commissione in cui si farà chiarezza su questo argomento».
La domanda è, come abbiamo già osservato in passato, se durante l’incontro dei Vice Primi Ministri, Shahin Mustafaev e Mher Grigoryan, nella zona di confine tra Ghazakh e Ijevan, l’Azerbajgian sarà in grado di presentare basi giuridiche che confermino l’esistenza delle enclavi azere sul territorio dell’Armenia. La soluzione ottimale potrebbe essere lo scambio di enclavi, nel senso che le enclavi restano parte dello Stato in cui si trovano. Invece, visto che Aliyev prosegue con la logica di creare delle basi per degli scontri militari, continuerà a chiedere la “restituzione dei villaggi”.
Aliyev ha dichiarato che la conclusione dell’accordo di pace con l’Armenia non dovrebbe dipendere dalla questione della demarcazione dei confini, poiché l’Azerbajgian non ha ancora completato la demarcazione dei confini con gli altri paesi vicini. Ha insistito che un accordo di pace fosse firmato al più presto possibile: «Il processo di demarcazione dovrebbe continuare, i villaggi dovrebbero essere restituiti e il problema delle enclavi potrà essere risolto in base ai risultati delle commissioni».
Mirzoyan ha affermato che la pace necessariamente deve essere basata su alcuni principi fondamentali. Yerevan sottolinea che Armenia e Azerbajgian dovrebbero riconoscere senza ambiguità la reciproca integrità territoriale: «Questa è la questione sulla quale è necessaria la massima chiarezza. Un trattato di pace finale dovrebbe fornire questa chiarezza».
L’Azerbajgian e la Russia non hanno rispettato le disposizioni della dichiarazione trilaterale firmata i 9 novembre 2020. Sulla base di ciò, il governo armene sostiene che è necessario formare meccanismi internazionali per garantire l’attuazione del futuro accordo di pace. L’Armenia teme che successivamente alla firma dell’accordo possa scoppiare una guerra o che possa verificarsi una nuova escalation.
Questo timore non è per niente campata in aria. Uno dei punti dell’accordo sarà il riconoscimento della reciproca integrità territoriale. Il giorno dopo la firma dell’accordo di pace, l’Azerbajgian si sentirà autorizzato di fare un attacco militare per occupare le tre enclavi (composte da 8 villaggi) e dichiarare che sta ripristinando la propria integrità territoriale. È la tesi con cui l’Azerbajgian ha giustificato l’occupazione della Repubblica di Artsakh e la conseguente deportazione forzata di 120.000 Armeni.
Il Ministro degli Esteri armeno ha detto che poiché il processo di demarcazione dei confini potrebbe richiedere molto tempo, almeno l’accordo di pace dovrebbe specificare le basi chiare su cui dovrebbe procedere il processo di demarcazione, sottolineando che «l’integrità territoriale, l’inviolabilità dei confini, l’ulteriore delimitazione dei confini sono questioni che l’Armenia non può vedere, non può permettere alcuna incertezza. Qualsiasi incertezza è un’ottima base per ulteriori aggressioni e ulteriori escalation. Dobbiamo stabilire una pace che sia quasi impossibile da mettere in discussione e violare».
Quindi, l’Armenia teme – con ragione – che dopo la firma dell’accordo di pace l’Azerbajgian inizi una guerra, per occupare le tre enclavi, come per ottenere con la forza il “Corridoio di Zangezur”, perché l’Azerbaigian non vuole includere nell’accordo di pace i principi che delineano la soluzione dei problemi di demarcazione e sblocco dei collegamenti, in modo da avere la possibilità di ricorrere alla forza militare, come di consueto.
Il Ministro degli Esterni armeno, Ararat Mirzoyan ha affermato, che se l’Armenia restasse sotto assedio, sarebbe difficile chiamare questa situazione l’instaurazione della pace nel Caucaso meridionale. Ha ribadito la soluzione opposta alla proposta guerrafondaia di Aliyev: «Le infrastrutture dovrebbero rimanere sotto la sovranità dei rispettivi Paesi. La parte armena delle infrastrutture dovrebbe rimanere sotto la sovranità dell’Armenia; dovrebbero operare sotto la nostra giurisdizione. Tutto dovrebbe essere fatto secondo i principi di uguaglianza e reciprocità. Se solo l’Azerbajgian può utilizzare le ferrovie armene e l’Armenia non può utilizzare le ferrovie azere, difficilmente può essere considerata una soluzione giusta, fondamentale e duratura».
Dopo aver occupato militarmente il “Corridoio di Berdzor (Lachin)” di collegamento tra l’Artsakh e l’Armenia, internazionalmente riconosciuto, e instaurato un posto di blocco (“doganale”) illegale e occupato l’Artsakh, l’Azerbajgian ha portato il processo di sblocco delle relazioni con l’Armenia ad un vicolo cieco, presentando le sue rivendicazioni territoriale all’Armenia sotto forma del “Corridoio di Zangezur”.
Come abbiamo scritto in passato, l’Azerbajgian non ha intenzione di firmare un accordo di pace e ostacola il processo presentando nuove richieste all’Armenia, cercando il momento opportuno per un nuovo attacco militare. E questo è anche il motivo per cui Aliyev si oppone al coinvolgimento dell’Occidente nel processo di regolarizzazione delle relazioni armeno-azerbajgiane. Nessun accordo bilaterale potrà funzionare senza un garante dell’applicazione e per prevenire la violazione, come si è visto con l’accordo trilaterale del 9 novembre 2020.
Quindi, si comprende benissimo perché Aliyev non vuole garanzie internazionali, come richieste dall’Armenia: «Le principali condizioni necessarie per la firma del documento sono state ora create. L’Armenia vuole che l’accordo di pace abbia garanzie. Pensiamo che non ce ne sia bisogno. Quel documento dovrebbe essere firmato dai leader dei due Paesi sovrani. Noi non lo vogliamo e non abbiamo bisogno di garanti. Se viene firmato in formato bilaterale, sarà firmato. Se qualcuno vuole aiutare, non ci importa, ma quell’aiuto non dovrebbe essere forzato».
Senza dubbio, l’Azerbajgian stia cercando di costringere Yerevan a firmare un accordo di pace senza garanti, per avere occasione di ricatto e minaccia di attacchi militari contro l’Armenia. Se Yerevan accettasse tale proposta, ciò consentirebbe all’Azerbajgian di prepararsi ad una nuova guerra, questo sarebbe un gravissimo errore.
Conclude Robert Anayan: «L’Azerbajgian mantiene la situazione incerta, i problemi irrisolti, così che in ogni momento può intensificare senza ostacoli la situazione politico-militare nella regione. Se gli Stati Uniti garantissero l’attuazione del trattato di pace, l’Azerbajgian potrebbe affrontare gravi conseguenze per aver effettuato un attacco militare. Se l’Armenia non accetta di dotare il “Corridoio di Zangezur” di una logica di corridoio, se l’Azerbajgian non accetta di delimitare il confine con la mappa del 1975, utilizzando il manuale pubblicato dall’OSCE nel 2017, e se Yerevan insiste sull’introduzione dell’istituzione garante del trattato di pace, ma l’Azerbajgian rifiuta, allora di cosa tratterà quel accordo? È prevista l’apertura solo delle ambasciate? C’è un’alta probabilità che nel prossimo futuro il processo negoziale si bloccherà a causa dell’Azerbajgian e il rischio di guerra aumenterà nuovamente».
[*] L’intervista a Ilham Aliyev piena di odio, rivendicazioni territoriali e retorica aggressiva. È così in linea con l’“agenda di pace”…
Nella sua intervista di 2 ore per i media azeri il 10 gennaio 2024, Aliyev osserva che per decenni diverse ONG hanno cercato di attuare programmi di mantenimento della pace e di preparare i giovani Azeri alla pace, ma lui non lo ha permesso, anzi, ha fatto tutto il possibile per la società azera. pe prepararsi alla “vendetta”.
Ha anche ammesso che è stato l’Azerbajgian che per decenni ha rifiutato le proposte per una soluzione pacifica, che ha per finta seguito il processo di negoziazione e si è preparato alla guerra: «Naturalmente, tutti noi volevamo ripristinare la nostra integrità territoriale il prima possibile. Tuttavia, dal punto di vista storico, 30 anni non sono poi così tanti. Durante questo periodo, durante i negoziati sono state avanzate molte proposte e alcuni potrebbero chiedersi perché l’Azerbajgian non le ha accettate. Alla fine, sulla base di queste proposte, diversi distretti sarebbero stati restituiti all’Azerbajgian senza guerra, gli ex sfollati sarebbero tornati alle loro case e allo stesso tempo la situazione sarebbe stata risolta. Perché l’Azerbajgian non era d’accordo e non accettava queste proposte? Naturalmente, i negoziati avevano la loro strategia e tattica. Naturalmente, abbiamo negoziato in modo tale da ridurre al minimo la pressione esterna e raggiungere i nostri obiettivi. Ma per me la cosa principale è che si tratta di una questione storica, di una questione nazionale, e sarebbe sbagliato cercare interessi apparentemente vantaggiosi. Dovevamo risolvere il problema in modo fondamentale, una volta per tutte, ripristinare pienamente la nostra integrità territoriale e la nostra sovranità».
Aliyev riconosce anche che il documento del 9 novembre 2020 è stato solo una pausa temporanea, dopo la quale si è lavorato su successive azioni, e il blocco dell’Artsakh, così come l’aggressione intrapresa contro l’Armenia e l’Artsakh, sono stati una delle sue componenti importanti: «Dopo il 10 novembre 2020 si è formato un certo vuoto. I Copresidenti del Gruppo di Minsk, che allora esistevano ancora, non avevano idea di cosa avrebbero fatto. Ci sono state diverse visite. La situazione in Armenia, ovviamente, era ambigua. Gli Azeri festeggiavano, ma sapevo che la questione non sarebbe finita qui, perché ci sono una serie di questioni in sospeso e dovevano essere chiarite, prima di tutto quella relativa all’ex corridoio Lachin․․․ Operazione “Farukh”, Operazione “Saribaba”-Gyrkhyz, Operazione “Vendetta”: tutte queste sono state importanti operazioni militari da noi condotte. Come risultato di queste azioni, sono state prese le alture e le colline strategiche nella regione del Karabakh, che non erano sotto il nostro controllo in quel momento, e questo fu di grande importanza nell’operazione del 19-20 settembre 2024. Quindi queste azioni non erano spontanee, erano azioni mirate. Perché durante la guerra, soprattutto considerando il nostro terreno, il problema principale è chi controlla le alture, e la ragione principale per il completamento dell’operazione il 19-20 settembre in breve tempo sono proprio le azioni che ho menzionato e, ovviamente, il controllo oltre il confine azerbajgiano-armeno in direzione Lachin. Perché i separatisti erano già stati privati di questa opportunità di possedere armi».
Aliyev ha osservato che le elezioni anticipate annunciano una nuova era per l’Azerbajgian, nella quale ci saranno nuovi obiettivi, dal momento che hanno già raggiunto quelli precedenti, suggerendo il suo desiderio di intraprendere una possibile azione militare contro l’Armenia: «Non dovremmo mai sentirci soddisfatti. Il processo di costruzione di un esercito continuerà e l’Armenia dovrebbe sapere che non importa quante armi acquisterà, non importa quale sostegno riceverà, se si presenta una fonte di pericolo per noi, distruggeremo immediatamente questa fonte di pericolo. Che nessuno dirà domani che è successo qualcosa di inaspettato. Se vediamo una vera minaccia per noi stessi, non i “bastioni” francesi distrutti, questi barattoli di latta, ma una vera minaccia, distruggeremo questa minaccia ovunque con misure preventive».
Naturalmente, Aliyev non ha dimenticato di esprimere ambizioni territoriali nei confronti dell’Armenia, in particolare riguardo alla capitale Yerevan, dove ha la sua versione della storia: «Non è un segreto che nel XX secolo le terre dell’Azerbajgian furono trasferite in parti all’Armenia. Nel 1918, appena un giorno dopo la fondazione della Repubblica Democratica di Azerbajgian, sfortunatamente, la città di Irevan fu trasferita all’Armenia. Sebbene non esistesse motivo di ciò. Era un’antica città azera dove il popolo Azerbajgiano aveva vissuto per secoli. La storia di Irevan conferma l’esistenza di un patrimonio architettonico Azerbajgiano secolare. Irevan era una città azera che fu distrutta. Penso che il trasferimento della città all’Armenia non è stato solo un errore ma un vero crimine storico. Bisognava chiedere agli Azeri che vivono a Irevan. Che fretta c’è? Perché il 28 maggio è stata proclamata la repubblica e il 29 maggio Irevan è stata consegnata all’Armenia? È stata un crimine storico e un inizio. Dopo la sovietizzazione nell’aprile 1920, il governo sovietico ritirò Zangezur occidentale dall’Azerbajgian e lo cedette all’Armenia in novembre. Era anche un fatto storico. Esistono mappe dell’inizio del XX secolo che includono Zangezur nel territorio della Repubblica Democratica di Azerbajgian. Tali donazioni territoriali continuarono per anni, ma dopo l’elezione di Heydar Aliyev nel 1969, tali azioni cessarono».
Aliyev ha affermato che le azioni e le aggressioni intraprese a maggio, novembre e settembre 2021 miravano a stabilire il controllo sui confini interstatali dell’Armenia. Ha osservato: «La città di Jermuk, la città con il nostro antico vero nome Istisu, era proprio di fronte a noi. Dovevamo avere quelle altezze per poter vedere con i nostri occhi i piani dell’Armenia. In una conversazione su questo argomento, un funzionario occidentale mi ha detto che hai un satellite e puoi vederlo da un satellite. Gli ho detto che i miei occhi erano i miei compagni. Devo vederlo con i miei occhi».
Alla fine dell’intervista, Aliyev ha augurato nuove vittorie.
Senza dubbio, l’Azerbajgian si sta preparando ad un altro attacco militare contro l’Armenia. Aliyev ha rivelato che l’Azerbajgian manipolerà i negoziati nei prossimi mesi per giustificare l’attacco militare. La situazione è davvero straordinaria. Il Presidente dell’Azerbajgian ha ammesso pubblicamente, senza timore di punizione, che il suo esercito ha occupato territori dell’Armenia, che non verranno restituiti. Il Presidente dell’Azerbajgian non nasconde nemmeno che per lui il diritto internazionale non significa nulla. L’Azerbajgian ha anche respinto la proposta dell’Armenia di effettuare un ritiro speculare delle truppe nel quadro dei negoziati di pace. Si scopre che, secondo i desideri dell’Azerbajgian, l’Armenia dovrebbe consegnare Yerevan all’Azerbajgian per ripristinare la giustizia storica. Cos’è questo se non una rivendicazione territoriale sull’Armenia e una dichiarazione sull’obiettivo di distruggere lo Stato armeno? Aliyev non menziona la mappa né la decisione legale in base alla quale avanza richieste territoriali all’Armenia. L’Azerbajgian sta preparando il terreno per un altro attacco militare contro l’Armenia. Prima di effettuare un attacco militare, l’Azerbajgian avvia una campagna di informazione, durante la quale i funzionari azeri chiedono all’Armenia di soddisfare richieste false e infondate. Ad esempio, nel caso dell’Artsakh, l’Azerbajgian ha chiesto il ritiro delle forze armate armene dall’Artsakh e di non trasferire armi in Artsakh, mentre Armenia non aveva truppe in Artsakh dal 2021. E Yerevan ha annunciato ufficialmente che non avrebbe fornito più armamenti all’Artsakh. Poi il Corridoio di Lachin era pure chiuso. L’impunità rende euforico il Presidente dell’Azerbajgian. Dopo aver occupato l’Artsakh il 19 settembre 2023, ha anche ostacolato gli sforzi di Washington e Brussel per far avanzare il processo negoziale. L’impunità è la ragione per cui Aliyev ha confermato pubblicamente l’occupazione dei territori armeni e presenta nuove richieste territoriali all’Armenia. Nei prossimi mesi arriveranno degli ultimatum che se l’Armenia non cederà, l’Azerbajgian lancerà un attacco militare. Sfortunatamente, questa previsione si avvererà, proprio come si è avverata la previsione dell’occupazione dell’Artsakh. Il Presidente dell’Azerbajgian approfitta del fatto che gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la comunità internazionale hanno tollerato l’occupazione dell’Artsakh e lo sfollamento forzato di 120.000 Armeni e non è stato punito. E ora Aliyev sta già mostrando ambizione nei confronti dei territori sovrani dell’Armenia. Si sta preparando per una nuova aggressione, con la sicurezza dell’impunità.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-11 21:18:102024-01-12 21:18:18L' Azerbajgian continua ad ostacolare la pace con l’Armenia. Con uno scopo (Korazym 11.01.24)
L’Azerbaigian non inizierà il cosiddetto. ritiro “specchio” delle truppe dal confine convenzionale con l’Armenia. Lo ha affermato il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev.
Secondo Aliyev, diversi colleghi, presidenti di altri stati, gli hanno chiesto di ritirare unità dell’esercito azerbaigiano dal confine condizionato con l’Armenia. Ma si rifiutò di fare un passo del genere.
Ho chiesto dove portarlo? Mi hanno detto da dove tornavano. Dico che siamo arrivati da Baku, dovremmo tornare a Baku o cosa? Erano 30 anni che non eravamo in questi territori
– ha sottolineato il capo dello stato azerbaigiano.
Aliyev ha osservato che se questi territori fossero il confine ufficiale, l’Armenia lo riconoscerebbe e lo indicherebbe. In precedenza, Yerevan credeva che il confine armeno si trovasse ad Agdam, situato a 26 chilometri da Khankendi (Stepanakert). Come sapete, Stepanakert era la capitale della non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh). Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian non lascerà le posizioni occupate dal suo esercito nel maggio 2021 e nel settembre 2022.
Il presidente dell’Azerbaigian ritiene infondate e infondate le affermazioni di Yerevan contro Baku. Sul territorio dove si trova il confine convenzionale tra le due ex repubbliche sovietiche non ci sono centri abitati. A proposito, la delimitazione del confine tra gli stati non è stata ancora effettuata.
Pertanto, Baku sta dimostrando rigidità politica, ed è chiaro che l’Armenia non sarà in grado di reagire a questa posizione in alcun modo, ed è improbabile che anche i leader di altri stati esercitino alcuna pressione sulle autorità azerbaigiane.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-11 18:24:072024-01-12 18:25:19Le autorità azere hanno rifiutato di ritirare le loro truppe dal confine condizionato con l’Armenia (Topwar 11.01.24)
Nel 2024, le autorità azere inizieranno a insediare altre cinque città del Karabakh con cittadini del paese. Lo ha affermato il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev in un’intervista ai canali televisivi locali.
Secondo Aliyev, Baku sta ora realizzando progetti infrastrutturali nel Karabakh e nello Zangezur orientale. Poiché saranno completati tempestivamente, già nel 2024 le città del Karabakh potranno accogliere un gran numero di azeri, migranti da questi luoghi e i loro discendenti.
Tra le città che riceveranno gli azeri, Aliyev ha nominato Shusha, Jebrail, Kelbajar, Khankendi e Khojadi. Nel 2025, ha osservato Aliyev, gli sfollati interni potranno tornare ad Agdam, Zangilan e Gubadly.
Principalmente quegli azeri che a cavallo tra gli anni ‘1980 e ‘1990 stanno progettando di trasferirsi in Karabakh. furono costretti a lasciare le loro terre natali, così come i discendenti degli azeri del Karabakh che erano già morti. Baku aiuterà gli sfollati a stabilirsi nel loro nuovo luogo di residenza, anche a livello finanziario.
Il reinsediamento degli azeri nel Karabakh è diventato possibile dopo che Baku ha stabilito militarmente il controllo su questa regione, superando la resistenza delle forze armate dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) entro 24 ore. Dopo la resa delle autorità dell’Artsakh, la maggioranza assoluta degli armeni del Karabakh che vivevano lì lasciò il Karabakh. Quasi tutti si sono trasferiti nella vicina Armenia, alcuni in Russia e in altri paesi. Ora non ci sono praticamente armeni in Karabakh.
L’insediamento delle città del Karabakh da parte degli azeri dovrebbe portare, secondo l’opinione ufficiale di Baku, ad un miglioramento della situazione economica di questa regione. Disponendo di risorse finanziarie molto maggiori rispetto all’Armenia, l’Azerbaigian può ricostruire rapidamente le infrastrutture della regione.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-11 18:18:412024-01-12 18:19:50Il Presidente dell'Azerbaigian ha annunciato l'imminente inizio dell'insediamento di cinque città del Karabakh da parte degli azeri (Topwar 11.01.24)
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