Una risoluzione del Senato francese tutta da imitare: propone sanzioni contro l’Azerbaijan (Spondasud 26.01.24)

(BRUNO SCAPINI) – Non c’è dubbio. In Italia esiste una certa vasta area della politica conformista che stenta a riconoscere e ad accettare i dettami dell’etica. Il che, tradotto in termini comportamentali, vuol dire che questi suoi esponenti pensano e agiscono in ossequio ai propri interessi e in disprezzo di ogni senso di moralità. La prova di tale deprecabile costume la rinveniamo d’altronde nella quotidianità della vita politica, nei fatti più effimeri, come in quelli che richiederebbero un esercizio di valutazione etica. Un esempio? Il voltafaccia che autorevoli esponenti del mondo politico italiano hanno adottato nei confronti dell’Armenia e del suo popolo vittima, e non lo dimentichiamo, del primo genocidio del XX secolo. Un genocidio che purtroppo perdura tuttora per mano azera anche se sotto forme diverse e con modalità differenti. Vediamo perché.

Che l’Armenia sia stato un Paese con il quale l’Italia ha mantenuto fin dalla sua indipendenza dall’URSS un rapporto privilegiato di amicizia è fuori discussione. La comune fede cristiana adottata fin dal 301 d.C., la condivisione di una identica base culturale, una sostanziale solidarietà di visioni e un riconoscimento dello stesso sistema valoriale  sono stati da sempre elementi costitutivi  di un collegamento tra i due Paesi che ha trovato la sua essenza in indiscutibili affinità elettive.

Ma tutto è cambiato da parte italiana non appena la classe politica dell’ultima ora  (che sia di destra o di sinistra è del tutto ininfluente) ha scoperto – sotto l’influsso delle varie emergenze e crisi energetiche – che il Paese dell’Arca di Noè non aveva nulla da offrire in cambio di questa amicizia (non disponendo di combustibili fossili), contrariamente, invece, al suo vicino di casa, l’Azerbaijan, scopertosi un giorno a galleggiare su ricchi giacimenti di petrolio e di gas. Circostanza che ha comprensibilmente  sollecitato l’appetito di quanti fossero interessati al loro sfruttamento o acquisto. Ecco allora che è intervenuto il radicale cambiamento nei rapporti bilaterali.

Se prima Roma adottava una prudenziale linea di equidistanza rispetto a Yerevan e a Baku –  sollecitata peraltro dall’interesse a garantire  un sostanziale equilibrio all’area caucasica –  anche nell’ottica di mitigare le tensioni più che trentennali  tra i due Paesi – oggi la nostra Capitale non fa mistero della propria simpatia per Baku, e anzi se ne compiace  rinnegando, con proditoria inversione di tendenza, perfino verità storiche innegabili.  Così Roma si ritrova oggi improvvisamente schierata dalla parte dell’Azerbaijan, ne esalta il diritto alla integrità territoriale e ne riconosce addirittura la democraticità delle istituzioni. Per contro, da parte di queste stesse forze politiche non si ammettono le gravissime violazioni dei diritti umani, le torture e gli eccidi commessi dagli azeri ai danni degli armeni, né il diritto del popolo del Karabagh, peraltro consacrato da fondamentali normative internazionali, ad aspirare ad una indipendenza peraltro resa legittima dalla legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione delle Repubbliche sovietiche e delle loro entità sub-statuali (leggi nel caso: Nagorno Karabagh).

Ebbene, di questo profondo cambiamento di rotta è oggi testimonianza il biasimo espresso dal redattore dell’articolo pubblicato su “Formiche” ( “Perché la mossa francese sull’Azerbaijan è un autogol”), a riguardo della risoluzione recentemente adottata all’unanimità dal Senato francese (336 voti contro 1), volta ad invitare il Governo ad adottare sanzioni avverso l’Azerbaijan per via della condotta anti-umanitaria tenuta nella guerra con l’Armenia in disprezzo del popolo del Karabagh. Se, tuttavia, nel caso della Francia si potrebbe eccepire una certa faziosità nel proteggere l’amica Armenia, giungerebbe peraltro quanto mai opportuna – a conferma della condotta anti-giuridica di Baku deplorata dal Senato francese  – la notizia del rifiuto opposto dal Consiglio d’Europa ad accettare le credenziali della delegazione azera sulla base delle medesime sostanziali motivazioni: violazione dei diritti umani da parte dell’Azerbaijan e mancanza di rispetto dello stato di diritto.

Questa difesa ad oltranza, e contro ogni evidenza, della riprovevole condotta di Baku svolta da alcuni circoli politici della Capitale – che porrebbe il nostro Paese fuori dal circolo delle Nazioni a più alto indice di civiltà giuridica – non potrebbe trovare altra giustificazione se non nell’abitudine di certe comparse della politica nostrana ad esaltare cinicamente il “mercimonio” come strumento dell’azione, relegando invece a mera scelta opzionale il ricorso a condotte informate all’etica, alla morale e al rispetto di quel nucleo di superiori norme universali che conosciamo come Jus Gentium. In aggiunta, è anche da sottolineare sul tema, come la stessa Corte di Giustizia Internazionale abbia ritenuto di  riconoscere con ordinanza del 17 novembre scorso la responsabilità di Baku per la negazione al popolo armeno del Karabagh di diritti fondamentali. Al di là del principio di integrità territoriale – seppure citato dalla Corte in riferimento a zone occupate ma di cui era prevista da parte armena la restituzione in sede di negoziato – i giudici dell’Aja hanno condannato apertamente l’atteggiamento persecutorio di Baku richiamando la sua dirigenza al rispetto del Diritto umanitario.

Diamo, dunque, merito ai Senatori francesi per questa loro coraggiosa posizione assunta a difesa del popolo armeno. Non sempre, infatti, si può barattare il diritto con l’interesse economico e l’etica col proprio tornaconto; e in questa prospettiva sarebbe proprio auspicabile che si potesse vedere un comportamento simile da parte del Senatori italiani ormai assuefattisi alla subalternità verso chi detta loro le regole per come comportarsi. Ma i francesi sanno fare le rivoluzioni, lo sappiamo, e quando le fanno, le fanno in nome dei diritti!

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Il Consiglio d’Europa sospende l’Azerbaijan (Osservatorio Balcani e Caucaso 26.01.24)

Lo scorso 24 gennaio l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha votato a favore della sospensione delle credenziali della delegazione dell’Azerbaijan che rimarrà membro del Consiglio d’Europa, ma perderà il diritto di voto per un anno

26/01/2024 –  Arzu Geybullayeva

Il 24 gennaio, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha deciso  , con 76 voti favorevoli e 10 contrari, di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbaijan. Una volta all’anno, nel giorno di apertura della sessione, tutti i parlamenti nazionali degli Stati membri (47 in totale) presentano le credenziali delle proprie delegazioni all’Assemblea, che vengono poi votate dal resto degli Stati membri. Quest’anno, l’Azerbaijan ha presentato le credenziali di 12 membri della delegazione.

Le credenziali sono state contestate  , sulla base del fatto che il Paese non è riuscito a rispettare i “grandi impegni” derivanti dalla sua adesione al Consiglio d’Europa, il 22 gennaio, all’apertura della sessione plenaria invernale. Ciò significa che l’Azerbaijan rimarrà membro del Consiglio d’Europa, ma perderà il diritto di voto per un anno e le sue attività “potranno riprendere quando saranno soddisfatte le condizioni previste dal Regolamento”.

Il voto si è basato su un rapporto preparato dal Comitato di monitoraggio del Consiglio d’Europa, che ha espresso “serie preoccupazioni” circa la “capacità dell’Azerbaijan di tenere elezioni libere ed eque, la separazione dei poteri, la debolezza del potere legislativo [del paese] nei confronti dell’esecutivo, l’indipendenza del potere giudiziario e il rispetto dei diritti umani, come illustrato da numerose sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e dai pareri della Commissione di Venezia”. La bozza del rapporto evidenzia anche il persistente problema dei “prigionieri politici [e] l’aumento del numero di violazioni della libertà di espressione”.

Secondo la PACE, “Nel lanciare la sfida, Frank Schwabe (Germania, SOC) ha citato i prigionieri politici nel paese, lo sfollamento violento di persone dal Nagorno Karabakh, il fatto che i relatori dell’Assemblea non hanno potuto visitare l’Azerbaijan almeno tre volte nel 2023, e la mancanza di un invito all’Assemblea per osservare le elezioni presidenziali del 7 febbraio nel Paese”.

L’Azerbaijan è citato anche in una risoluzione separata sulla “tortura sistemica e trattamenti o punizioni inumani o degradanti nei luoghi di detenzione” del 24 gennaio 2023. La risoluzione ha espresso preoccupazione per gli “agghiaccianti metodi di tortura”, in particolare nel contesto del caso Terter  , una serie di arresti effettuati nel 2017 contro civili e personale militare dell’Azerbaijan in quella che i funzionari di Baku all’epoca descrissero come una “cospirazione su larga scala”. La risoluzione è stata adottata con 66 voti favorevoli, 0 contrari e un’astensione.

La fine della diplomazia del caviale

L’Azerbaijan è entrato a far parte del Consiglio d’Europa nel 2001. Da allora, l’Assemblea ha adottato numerose risoluzioni che criticavano il Paese per i suoi precedenti in materia di diritti e libertà, ma in passato le relazioni sono state oscurate dalla cosiddetta “diplomazia del caviale”: un termine coniato dal think tank europeo European Stability Initiative (ESI) nel 2012, che documenta  come i funzionari azerbaigiani corrompessero i politici europei della PACE.

“I parlamentari di tutta Europa ricevevano in dono gioielli, vacanze e denaro; gli osservatori elettorali ricevevano decine di migliaia di euro per dichiarazioni positive sull’Azerbaijan. Il personale del Consiglio d’Europa ci ha confermato a porte chiuse che le azioni dell’Azerbaijan erano un segreto di Pulcinella”, ha spiegato  il direttore e fondatore dell’ESI Gerald Knaus in un’intervista nel 2021.

Il rapporto ESI del 2012 ha portato a indagini e condanne in diversi Stati membri UE sulla base delle conclusioni di un organismo investigativo indipendente.

Poi, nel 2017, una rete di giornalisti investigativi ha scoperto come il governo dell’Azerbaijan fosse la forza trainante dietro un fondo nero segreto da 2,9 miliardi di dollari che potrebbe aver contribuito a pagare i politici europei.

Soprannominato la “lavanderia a gettoni dell’Azerbaijan”, il fondo  è stato in funzione tra il 2012 e il 2014, secondo l’Organized Crime and Corruption Reporting Project:

“La lavanderia azera è il nome dato ad una complessa operazione di riciclaggio di denaro che ha movimentato in due anni 2,9 miliardi di dollari grazie a quattro società di comodo registrate nel Regno unito. Tra il 2012 e il 2014, le élite cleptocratiche al potere in Azerbaijan hanno pompato denaro attraverso i conti bancari estoni delle società. I veri proprietari delle società erano nascosti dietro sconosciuti azionisti offshore”.

Nel 2013, i trasferimenti di denaro effettuati sui conti dei politici in Europa potrebbero aver contribuito a convincere la PACE a votare contro un rapporto critico verso l’Azerbaijan che chiedeva l’adozione della risoluzione sui prigionieri politici.

Tuttavia, le indagini interne della PACE hanno preso di mira solo i politici europei, lasciando Baku fuori dai guai, almeno fino alla risoluzione del 24 gennaio.

Analogamente alle obiezioni e ai rifiuti opposti quando le indagini hanno rivelato i fondi segreti, l’Azerbaijan ha risposto immediatamente, accusando l’Assemblea di doppi standard verso “alcuni Stati membri”. Una dichiarazione rilasciata dal ministero degli Affari Esteri afferma che “un aperto disprezzo dei legittimi interessi dell’Azerbaijan e una retorica così minacciosa sono un chiaro esempio di doppio standard che esacerba ulteriormente le relazioni Azerbaijan-UE”.

Il 24 gennaio la delegazione azerbaijana ha dichiarato  che avrebbe sospeso la cooperazione con l’Assemblea a tempo indeterminato.

Le reazioni a Baku

I media e i funzionari statali azerbaijani si sono affrettati a lanciare accuse contro la decisione dell’Assemblea. Secondo l’agenzia di stampa statale APA, l’Assemblea ha usato le violazioni dei diritti umani come copertura e il vero motivo del voto è stato “un atto di vendetta” contro l’Azerbaijan, che ha “ripristinato da solo la sua sovranità e integrità territoriale” dopo 30 anni di inazione da parte della PACE e delle altre istituzioni europee nei negoziati tra Armenia e Azerbaijan.

Il deputato Elshad Mirbashiroglu ha dichiarato in un’intervista ai media locali che la PACE sarà ora “incompleta” senza l’Azerbaijan.

Bahruz Maharramov, un altro deputato, ha affermato che “l’Azerbaijan non ha bisogno del Consiglio d’Europa, che è diventato un meccanismo ipocrita”.

Tuttavia, le minacce di lasciare l’organizzazione internazionale potrebbero suonare vuote. Secondo Azer Gasimli, direttore dell’Istituto di gestione politica di Baku, “se le intenzioni [del governo] fossero state vere, lo avrebbe fatto subito. Cercheranno di ingannare nuovamente i politici europei, promettendo che risolveranno i problemi, di guadagnare tempo per vedere l’esito della guerra in corso in Ucraina. Ma questa volta non sarà possibile ingannare l’Occidente”.

“Lasciare l’organizzazione avrebbe un impatto negativo sull’Azerbaijan”, ha detto l’attivista per i diritti umani Anar Mammadli, che è anche a capo di un’organizzazione indipendente di osservazione elettorale a Baku. “L’Azerbaijan è firmatario di diversi documenti del Consiglio d’Europa e ha accordi di cooperazione con diverse strutture [del Consiglio d’Europa]. Pertanto, l’uscita avrà delle conseguenze”, ha aggiunto.

Il voto è significativo in quanto, per la prima volta, il posto dell’Azerbaijan all’interno dell’istituzione è stato messo in discussione sulla base della violazione dei valori del Consiglio d’Europa. Nelle sue ultime parole prima del voto Morgens Jensen, autore del rapporto e membro del Comitato di monitoraggio, ha affermato che il voto era “necessario” perché l’Azerbaijan non è riuscito a garantire lo stato di diritto, la democrazia e i diritti umani: i valori fondamentali rappresentati dal Consiglio d’Europa.

Nel gennaio 2006 c’era stato un altro tentativo  di sospendere la delegazione del paese perché l’Azerbaijan non è riuscito a garantire un ambiente elettorale “in linea con gli standard europei”, ma il voto era fallito con un margine ristretto, 24 contrari e 22 a favore.

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San Biagio, patrono di Ruvo di Puglia, tra storia e leggenda (Ruvoviva 26.01.24)

In una porta della città, insieme all’effige di San Cleto e San Rocco era presente anche quella di San Biagio. Intorno al ‘500, infatti, la città di Ruvo di Puglia si lega alle vicende di quest’ultimo. Con l’avvicinarsi del 3 febbraio, giorno dedicato alle celebrazioni del Santo, ripercorriamo la storia, tra mito e tradizione, di San Biagio, patrono di Ruvo di Puglia e Compatrono della Diocesi.

San Biagio è stato un medico e il vescovo di Sebaste, città Armena in cui nacque e visse tra tra il III e il IV secolo. Secondo l’agiografia armena, curava con l’aiuto del Signore tutte le infermità degli uomini e degli animali. Per questo motivo venne imprigionato e processato dai Romani. Durante il processo, rifiutandosi di rinnegare la fede cristiana, fu condannato ad un supplizio: legato ad un legno fu scorticato con pettini da cardatori e in seguito prima imprigionato e successivamente gettato in un fiume. Ma, miracolosamente, il vescovo si sedette sull’acqua come se stesse su di un ponte. Fu così che nel 316, su ordine di Agricolao, prefetto di Diocleziano per l’Armenia, il Santo fu riportato nella città di Sebaste e decapitato.

Secondo la leggenda, durante la prigionia, una madre disperata si rivolse a lui quando suo figlio stava per morire soffocato a causa di una lisca di pesce conficcata in gola. Il Santo prese un pezzo di pane, lo benedisse facendo un segno di croce e si limitò a darlo al bambino. La mollica fece uscire la lisca permettendogli di respirare.

Per questo motivo divenne sia un martire e poi un santo. San Biagio è protettore della gola e dei laringoiatri ma anche di pastoriagricoltoricardatori, fiatistimaterassai.

Nel 732 una parte delle sue reliquie, deposti in un’urna di marmo, naufragarono sulla costa di Maratea, dove i fedeli raccolsero l’urna contenente i cimeli e la conservarono nella Basilica di Maratea. Numerose città vantano di possedere parte delle spoglie, tra cui Ruvo, la quale possederebbe frammento del braccio, custodita in una teca di Argento a forma di braccio con mano benedicente.

Numerose sono le tradizioni connesse alla celebrazione del Santo. Di seguito riportiamo quello più importanti. Durante le commemorazioni è consuetudine donare una «misurina benedetta». Si tratta di un nastrino in vari colori, che, stando alla leggenda, simbolicamente proteggerebbe la gola di chi l’indossa.

Altra tradizione tipica di questo giorno riguarda la preparazione de i «frecedduzze» (o «fricidduzzi»). Sono dei piccoli pani che vengono benedetti e offerti ad amici e parenti per proteggere la gola dai mali. La peculiarità di questi pani è la loro forme simbolica che rimanda alla figura del santo. Tra i vari simboli si possono trovare la mitra, il copricapo del Vescovo, il bastone pastorale, la mano benedicente, il piede.

Anche quest’anno in vista delle celebrazioni sono stati organizzati numerosi eventi che termineranno nella giornata di sabato 3 febbraio.

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Rinviata la Biennale di Istanbul per procedure poco chiare (Insideart 26.01.24)

La Istanbul Foundation for Culture and Arts, fondazione privata che gestisce l’evento, ha annunciato che la Biennale programmata a Istanbul nel settembre 2024, slitterà nel 2025. L’organizzazione deriva da una serie di critiche nate dopo la nomina nell’agosto 2023 della critica britannica Iwona Blazwick, curatrice della manifestazione. La ragione ufficiale della posticipazione è da ricercare nelle divisioni inaspettate che avrebbero colpito l’edizione prevista quest’anno.

La vicenda in realtà è molto più controversa e complessa e nasce da una contesa tra l’organizzazione della Biennale e quella della Istanbul Foundation for Culture and Arts. Il comitato della Biennale infatti inizialmente non aveva proposto il nome della Blazwick, ma di Defne Ayas curatrice tedesca che in un primo momento era stata giudicata idonea perchè non avrebbe soddisfatto i criteri curatoriali della Istanbul Foundation. La scelta sarebbe stata giudicata troppo azzardata a causa di una mostra dedicata all’artista concettuale turco Sarkis Zabunyan da lei curata nel padiglione turco della Biennale di Venezia 2015.

Nel catalogo presentato infatti, Defne Ayas citava anche il genocidio armeno avvenuto per mano dei turchi e ancora oggi negato dal governo. In particolare un breve saggio di Rakel Dink, vedova di un giornalista turco-armeno Hrant Dink, assassinato a Istanbul nel 2007 e in cui si faceva riferimento al genocidio armeno. Denunciato poco dopo dalle istituzioni governative turche, strano a dirsi, il catalogo è poco dopo scomparso dalla circolazione.

La notizia è subito arrivata negli ambienti della Biennale, generando polemiche e riflessioni sulla libertà di pensiero: Iwona Blazwick, alcuni membri del comitato e numerosi artisti hanno ritirato la loro partecipazione, generando caos e malessere nel mondo dell’arte, vista la forte attesa per l’evento.

«La decisione di non organizzare la 18ma Biennale di Istanbul nel 2024 è stata presa insieme a Iwona Blazwick. Ora l’İksv formerà al più presto un nuovo comitato consultivo sotto la guida del direttore della Biennale di Istanbul Kevser Güler, che ha assunto questo incarico all’inizio del mese. Nell’ambito del nuovo regolamento che abbiamo aggiornato l’anno scorso, sarà selezionato un nuovo curatore e porteremo nuovamente la Biennale di Istanbul al pubblico nel 2025». Queste le dichiarazioni concise della fondazione, che dovrà sicuramente proporre una nuova strategia e un nuovo team curatoriale.

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Armenia, mistica e lieve (Yaneamagazine 26.01.24)

C’è una cappella laterale nella Chiesa di Santa Hripsime. All’interno ci sono due donne che accendono candele e poi ci sono io che cerco di scattare una foto. Non le voglio inquadrare, mi sembra sbagliato. Come per quelle popolazioni ai confini dell’Occidente che un tempo credevano che la macchina fotografica potesse rubar loro l’anima, allo stesso modo non voglio commettere il furto. Questa è una terra carica di mistero, devozione e spiritualità. Rubare qualcosa qui – anche solo metaforicamente – mi sembrerebbe un sacrilegio. 

Mi avvicino alle candele mentre le donne finiscono le orazioni. Resto sola davanti alle due vasche. Le fiammelle danzano su esili steli di cera lambiti dall’acqua, immersi nella sabbia sul fondo. Tutto è in penombra. Eppure, c’è una gran luce. Resto a fissare il calore del fuoco, il suo ondeggiare ora lento, ora furtivo. Sulla parete, quasi di fronte a me, c’è un’icona della Madonna. Alle mie spalle, sulla sinistra, le due donne s’inginocchiano, prima una e poi l’altra, così come fanno le persone nell’ambiente principale. Per come vedo le cose ora, qui non ci sono navate: esistono solo gli spazi, la luce che reclama dolcemente il suo posto accanto all’ombra e l’incenso, che dai turiboli si diffonde a zaffate. Fa caldo, molto. Ma fa molto più caldo fuori, anche restando all’ombra del gavit, il nartece delle sepolture.

Sono affascinata dai movimenti delle due donne, che sulla mia retina si sovrappongono alla danza delle candele. Si sporgono in avanti, sono velate. E con il capo coperto si avvicinano al pavimento di pietra. Una, due volte. Il resto non lo so più. So che una ragazza poco prima è stata portata fuori per il gran caldo. Uno svenimento, un mancamento dovuto alla carenza d’ossigeno, oppure all’emozione. Nello spazio principale, davanti all’altare rialzato, la gente è assiepata. Barbe, veli, orazioni, altro incenso che sprigiona dai turiboli. Non è che l’aria manchi, è che si è fatta densa di tutto, ma in particolar modo di quella devozione attiva e vissuta che da tempo non trovavo in una chiesa del nostro Occidente. 

 

Chiesa di Santa Hripsime – foto di Sandra Simonetti

 

A differenza degli altri ambienti, nella mia cappella laterale con la Madonna e il bambino, le fiammelle e l’acqua delle due vasche, c’è meno affollamento. Non so ancora se ad affascinarmi di più siano le donne con le quali sto condividendo qualche intenso minuto di questa giornata, oppure il senso generale dell’essere qui. Presente a me stessa, anche se solo parzialmente preparata di fronte a questo mistero. È un mistero antico, che trasuda dalle pareti di tufo e s’innalza con il fumo in spirali sottili. È la presenza di un misticismo di cui non so cogliere gli esatti confini. È palese, palpabile, emozionante. 

Con le donne lontane dalla macchina scatto una delle poche foto che farò in questa chiesa. Cozzerà con l’altra, dove l’obiettivo era rivolto verso l’altare e sopra il mare di teste si vedrà l’officiante circondato dai suoi assistenti. Qui, invece, la sensazione dominante sarà la stessa che sto provando ora. Un profondo raccoglimento. Un silenzioso, muto e palpitante senso di presenza. Scatto la foto e penso che sarà da quest’immagine che partirò per descrivere il viaggio, più avanti. Un viaggio che è appena iniziato, con la visita della prima di tante chiese di cui varcherò le soglie – fisiche ed immaginali – e che dentro di me già mi sembra compiuto.

Alcune esplorazioni dell’anima quando partono senti che vincono le leggi del Tempo. Non si basano sulla consequenzialità degli eventi, bensì sul loro accavallarsi in un continuum di cui troppo spesso dimentichiamo l’esistenza. Succede quando le sensazioni, i dati materici, le esperienze che colpiscono i nostri sensi e la nostra mente, portano in nuce già tutti gli elementi principali della narrazione. Ed è quello che mi sta capitando, senza che io me ne renda pienamente conto. Nella Chiesa di Santa Hripsime, a una ventina di chilometri da Yerevan e un paio da Echmiadzin, la Santa Sede dell’Armenia. 

 

Tatev – foto di Sandra Simonetti

 

Più tardi inaugurerò il mio taccuino. Sarà lo stesso, con le pagine morbide leggermente ingiallite, che mi terrà compagnia per il resto della settimana. Appunterò pensieri, farò penosi schizzi degli edifici, mi segnerò gli albori di qualche riflessione. Nella fretta, durante le spiegazioni di Bagrat, la nostra meravigliosa guida. Con la foga di chi teme di smarrire per la via qualche cosa di essenziale, di vitale importanza. Così, con i primi tratti della mia pastosa matita, quel giorno scrivo: “Chiesa di Santa Hripsime. Messa cantata, zaffate d’incenso. Dura 2 ore. Donne che pregano con il capo a terra durante l’Eucaristia. Cappella laterale dedicata alla Madonna. Raccoglimento. Candele gialle e sottili, le spengono nell’acqua quando diventano mozziconi.”

Sono le stesse candele che trovi in ogni chiesa d’Armenia. Le vendono fuori e all’interno degli edifici, a volte nei gavit quando l’architettura li ha portati a coprirsi con volte e soffitti, anch’essi di pietra. Viste da lontano, spente e in attesa di un acquirente devoto o di un compratore di fortuna, somigliano a piccole funi. Hanno il colore aranciato del giallo acceso, di quando il sole volge al tramonto. Ce ne sono di vario spessore, probabilmente anche di varie lunghezze. Ma tutte sono accomunate da uno spirito nobile, dall’eleganza che solo le creature esili recano con sé ogni volta che si ergono nella loro richiesta d’intercessione verso il cielo. 

Quando le stai per accendere ti chiedi da che parte si trovi lo stoppino, perché le due estremità sono tra loro molto simili. È buffo, come se non esistessero un modo giusto e uno sbagliato di fare le cose. Conta solo trovare la maniera di accenderle per elevare la propria luminosa preghiera. Si conficcano nella sabbia che ricopre le vasche, ampi contenitori rettangolari in metallo. Le candele accese a poco a poco si avvicinano al fondale e mentre si consumano assumono le altezze più disparate. Come una foresta di cera che al posto delle chiome si colora della sprizzante energia del fuoco. Pali fissi nella sabbia e nell’acqua, che la sabbia ricopre. Privi di un ordine costituito, senza file prestabilite o griglie da seguire. Con l’unico schema dato dal caso e dall’ispirazione del momento nel dove collocare la candela. Poi, quando si avvicinano alla fine, arriva sempre una donna, silenziosa e risoluta. Fa man bassa di più fuscelli d’oro e li raggruppa tutti, spegnendoli progressivamente nell’acqua. Non ho mai visto soffiare su una candela. Le ho sempre osservate spegnersi per mano femminile nell’unico elemento chiamato a contrastare il fuoco. 

 

Montagne armene – foto di Sandra Simonetti

 

Le ho trovate parte integrante di questo percorso in terra armena. Presenze per definizione silenziose, inclini a consumarsi di fronte all’incedere del tempo. Eppure, eternamente presenti. Specchio dei luoghi ai quali danno luce. Ho letto da qualche parte che abbiamo conosciuto la cultura armena, noi Europei, solo quando questa ha rischiato di spegnersi per sempre, di andare perduta. È successo più volte nel corso della storia e ad ognuna di queste ha evidentemente fatto da contraltare la capacità di resistere, sotto le forme più varie. Non mi riferisco qui solo alla cultura, ma proprio alle persone, alla loro capacità di restare fedeli a sé stesse, fortemente attaccate ad un’identità nonostante le distanze e i corsi-ricorsi storici auspichino il contrario. 

I luoghi di culto sono la spina dorsale di questa popolazione perennemente vittima di tentativi di sopruso. Nella religione, in una forma molto particolare di spiritualità, trovano spazio, ristoro e respiro i crismi identitari delle genti d’Armenia. Un aspetto che, oggi giorno, appartiene a ben pochi popoli e Paesi. Per quello che ho potuto vedere, sentire, apprendere, gli Armeni credono e, credendo, si ritrovano nella propria essenza. 

Un’essenza complessa, soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica e in tempi in cui le ragioni geopolitiche sono uscite dal freezer. Su chi siano gli Armeni e come essi scelgano di rispondere a questa domanda si trova molta letteratura competente. Per chi si fosse, un po’ come me, messo sulle tracce di questa lunga e avvincente storia il cui epilogo è ancora tutto da scrivere, offro umilmente qualche riferimento letterario alla fine di questo testo, che nasce dal desiderio di provare a rispondere ad un interrogativo, lo stesso che riecheggiava e al contempo trovava risposta in quella cappella laterale, nella chiesa edificata sopra le spoglie della Santa Hripsimé. Un quesito semplice ed eterno, che, come le vene d’acqua nelle terre semidesertiche, scorre profondo e ogni tanto zampilla fuori. Dov’è l’elemento femminile in questa spiritualità?

 

Noravank – foto di Sandra Simonetti

 

È una domanda alla quale non esiste una risposta univoca, poco conta all’interno di quale contesto culturale la si voglia porre. Una domanda che ci siamo un po’ persi per strada anche in Occidente e a cui negli ultimi decenni abbiamo deciso di tornare in qualche modo ad abbeverarci. La donna, la sua sacralità, il lato della Luna, che fine hanno fatto? Prima però vale la pena soffermarci sul dove: perché chiederselo proprio in Armenia, una terra così lontana, con un alfabeto tutto suo che solo lei usa e un passato così tagliente da averle amputato parti essenziali del proprio corpo?

La risposta è semplice e complessa insieme. Nelle chiese armene spesso e volentieri è la Madonna ad essere al centro. Dietro l’altare, al posto della pala con il Cristo che noi spesso troviamo in ambito cattolico. Nelle lunette sopra gli ingressi. Nelle cappelle e negli ambienti laterali. La chiesa principale dei complessi monastici – meraviglie architettoniche che all’occhio poco allenato ricordano la pacata robustezza del Romanico – è spesso dedicata alla Madre di Dio. Nel mio quaderno di viaggio ho provato ad abbozzarne i contorni e, nonostante la mia mano incerta e fuori allenamento, anche solo come schizzi a matita questi luoghi trasmettono un’anima. Una bellezza data dalle linee di altri tempi, dalla composta, raffinata semplicità. Una bellezza a volte austera, ma mai troppo severa. Una bellezza che sa di femminile.

L’Armenia storica si trovava a cavallo tra l’Anatolia e il Caucaso. Terre cariche di contaminazioni culturali, in cui il tracciato di rotte carovaniere come la Via della Seta ha lasciato splendidi caravanserragli dove ancora si sente l’eco dei mercanti incastonata nelle mura. Luoghi in cui lo spirito del posto ha presto e progressivamente incontrato le visioni di mondi lontani, prendendo in prestito da ogni viaggiatore un pezzo della sua storia e donandogli, in cambio, credenze, miti e leggende destinati a vivere per sempre. 

C’è stato un tempo in cui questo Paese, ora appena più grande della Lombardia, era molto esteso. Un’epoca in cui le sue terre lambivano i tre mari della regione: il Mediterraneo, il Nero e il Caspio. L’era in cui la Colchide, la terra magica alla quale approdarono gli Argonauti per rubare il vello d’oro, non era poi così lontana da queste lande. E se tra gli Argonauti il mito vuole che ci fosse Armeno, futuro re fondatore, dalla Colchide sarebbe arrivata Medea, grande e terribile maga. Retaggio di una cultura antecedente a quella della Grecia antica, in cui la donna avrebbe ricoperto un ruolo ben diverso nella società.

 

Cattedrale di Echmiatsin – foto di Sandra Simonetti

 

C’è chi collega l’Anatolia alla Ishtar, che altri chiamano Inanna. La dea doppia, la dea terribile, sepolta sotto le spade dell’Età del Ferro e dei culti patriarcali. Eppure, di tutta questa potenza femminile ora perduta, qui si trova ancora traccia. Logico, stiamo parlando di spiritualità pagane. E l’Armenia è riconosciuta quale primo Paese al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato, nel 301. Qualche anno prima di Costantino. 

Da quel momento in poi, per opera di San Gregorio l’Illuminatore e grazie alla conversione di Tiridade III (lo stesso re che aveva fatto uccidere Santa Hripsime) la cultura armena si lancia in un mutamento profondo. Vengono distrutti i templi pagani, con così grande dedizione e probabile ferocia che oggi se n’è salvato solo uno, quello di Garni. Storie che abbiamo conosciuto anche in Occidente: le chiese sono edificate su luoghi di culto preesistenti. Santuari incredibili, tuttora carichi di un misticismo che trascende e fa trascendere il partecipante, poggiano i piedi su sacre sorgenti e altri simboli della Dea. 

Sono passati secoli, millenni. Invasioni e stregue resistenze si sono succedute. I monasteri hanno proliferato tra le alture di questo paesaggio così cangiante. Alcuni luoghi hanno portato in grembo il seme di altre visioni, date da quell’essere terra di passaggio. Altri invece sono rimasti arroccati sulle alture, in gole e anfratti. Lontani dai venti del cambiamento, fortemente radicati nelle proprie identità cristiane precalcedoniane. E, al contempo, così carichi di quell’elemento femminile a lungo sepolto. Si percepisce leggendo le tradizioni e le feste del calendario liturgico. Si nota osservando la disposizione centrale della donna per eccellenza della Cristianità. Si avverte passeggiando tra le mura delle chiese, dove i veli sono appesi a lato o all’ingresso.

I veli, altro bellissimo elemento di questa spiritualità. Bellissimo perché indossato dalla donna entrando nei principali luoghi sacri, secondo un distinguo che non ho avuto purtroppo il tempo di cogliere. Un velo che all’uscita si può togliere, ripiegare e che ha avuto il privilegio di sancire unicamente quel momento d’intimità con l’energia spirituale. Un’energia che anche i meno inclini al misticismo sentono affiorare dal terreno. Specialmente in un’altra chiesa, quella di Geghard, dove un tempo venne ospitata e preservata la lancia con cui Longino trafisse il Cristo sulla Croce. Qui, in uno dei tanti ambienti di questo complesso di pietra, c’è una vasca con dell’acqua sacra. Sgorga dalla roccia, dal suolo. E cronologicamente appartiene a un tempo e a una visione del mondo ormai lontani. Eppure, la presenza di quest’acqua sacra anche per i pagani, ben si integra in uno dei santuari cristiani più importanti del Paese. Dove tutto sembra trovare il suo posto e parlare la stessa lingua nonostante il variare degli idiomi. Nonostante il mutare delle credenze nel corso degli anni.

 

Sevanavank – foto di Sandra Simonetti

 

Come nel complesso monastico di Sevanavank, su quella che un tempo era un’isola nel mezzo del mare d’Armenia. Perché quest’Armenia, da quando è rimasta senza litorali marittimi da lambire, si è rivolta al meraviglioso Lago Sevan. E a questo specchio lacustre è andato in sorte di svolgere la funzione di mare nelle torride estati dell’altopiano. Sull’altura svettano due costruzioni. Sono state fatte erigere da una principessa rimasta vedova troppo presto, che fece edificare un numero di chiese equivalente a quello degli anni del defunto marito. Ecco perché qui ora troviamo un luogo di culto dedicato agli Apostoli e uno alla Madonna. Dove sorgono le chiese, prima si erigevano due templi consacrati a divinità femminili: Anahit, che per alcuni è divenuta Artemide e Astghik, Afrodite. 

Attorno al promontorio, tra le bancarelle affiorano monili in argento, che risplendono di bellezza opalescente. Sono i riflessi della pietra di luna, un minerale tipico di quest’area e da sempre associato all’energia femminile. Lo trovi in anelli e bracciali con raffigurazioni di melograno, il simbolo di fertilità, sacrificio e prosperità che impreziosisce tutto in Armenia: dall’artigianato alle decorazioni delle chiese. Un simbolo che spesso si trova in compagnia di altri retaggi arcani, quali il fiore della vita, il nodo di Salomone, la stella a sei punte, l’axis mundi…

Ma il simbolo che campeggia ovunque è senz’altro la croce, con la quale il fervore cristiano ha puntellato a più riprese il suolo, testimoniando la vita che rifiorisce. È una Resurrezione talmente realistica che il Cristo è assente e la croce resta vuota, culminando in foglie alle sue quattro punte. Sono rappresentazioni bellissime, scolpite su stele di pietra chiamate khachkar, un suono dolce e potente insieme. Come dolce è la potente roccia dopo essere passata sotto la bravura degli artisti locali. È a tal punto ricoperta di simboli e intrecci armoniosi che nella fattura abbandona il suo stato litico per assumere le sembianze di un merletto fiorito. Una meraviglia visiva anch’essa fortemente identitaria. 

 

Khor Virap sullo sfondo – foto di Sandra Simonetti

 

Sembra infatti, percorrendo le province di questo Paese, che ogni risvolto culturale si sia elevato a elemento essenziale. Capita appunto con le identità minacciate, che dall’essere la culla della civiltà si sono ritrovate ridimensionate allo status di cuscinetto tra grandi potenze. Un ridimensionamento che suona come un’amputazione, con la cima innevata dell’Ararat che si lascia rimirare dagli spalti del monastero di Khor Virap. La distanza pare esigua, ma nel mezzo passa il filo spinato del confine turco. Van, Ani, Kars, tutti luoghi ormai andati, perduti oltre una frontiera. Ma almeno l’Ararat si può ammirare dalla stessa Yerevan, la capitale. La montagna doppia, la montagna sacra dove si crede si trovino ancora resti dell’Arca di Noé. Il luogo stesso in cui prosperava il giardino dell’Eden e dal quale ha iniziato a diffondersi la civiltà. Luogo che contiene ancora i misteri di una terra presente in più miti antichi, decisamente antecedenti all’Antico Testamento. Una montagna, l’Ararat, da alcuni ritenuta sede di divinità ora perdute: forse il trono stesso di Anahit, la dea. Forse. Perché ogni credenza è, per definizione, basata su un atto di fede. Atto perpetuato dai miti, dalle lingue, dalle leggende e dalle antiche verità sepolte nei testi sacri delle religioni. 

Se ora, a distanza di settimane, riguardo la fotografia scattata nella cappella, non vedo solo la Madonna e le candele. Ai miei occhi si palesa anche ciò che per motivi di scelta e spazio l’obiettivo non ha catturato. È la presenza di quelle due donne velate alle mie spalle. Eredi identitarie di un culto ancora più antico del proprio, di un modo di percepire il mondo che viene da molto, molto lontano nel tempo. E che trova spazio nella sua stessa negazione, in quell’incredibile processo d’osmosi che è la nascita delle religioni e il loro prendere forma. Un sincretismo almeno in parte spontaneo, capace di superare i confini, geografici e politici. 

Una bellezza silenziosa e brillante che qui, in Armenia, ha il pregio di lasciare ovunque impronte di misticismo. Un sentore più che una certezza, un’opalescenza che richiama sia la pietra di luna che le canzoni di Battiato. È sottile, proprio come una di queste candele. Speri che, se un giorno si dovesse spegnere, non sia a causa di un soffio brutale. Ma per il gesto gentile di una mano di donna che, con premura, la raccoglie per lasciare spazio a nuove fiamme.

LETTURE CONSIGLIATE

  • “THE SACRED HIGHLANDS Armenia in the Spiritual Geography of the Ancient Near East”, di Artak Movsisyan
  • “Quaderno di viaggio d’autore. Armenia, Georgia, Azerbaijan”, Centro di Documentazione La Cultura del Viaggio
  • “FIABE ARMENE”, di Hovhannes Toumanyan
  • “Incontri con uomini straordinari”, Georges I. Gurdjieff
  • “La masseria delle allodole”, di Antonia Arslan
  • “Armenia”, di Gilbert Sinoué
  • “La dea doppia”, di Vicki Noble
  • “L’ARMENIA PERDUTA Viaggio nella memoria di un popolo”, di Aldo Ferrari

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Un canale televisivo turco ha mostrato una mappa della Turchia con Cipro, Armenia e gran parte della Siria e dell’Iraq (Topwar 26.01.24)

In Turchia alcune forze politiche continuano a discutere sulle possibilità di espansione geografica dei confini del paese assorbendo i territori adiacenti degli stati confinanti. Questa volta, su un canale televisivo turco è stata trasmessa una mappa della Turchia per il 2025. Comprende una serie di territori confinanti e difficilmente gli Stati sovrani confinanti con la Turchia ne saranno contenti.

Su una mappa ipotetica, l’isola di Cipro (ora questo è uno stato sovrano, parte di esso è occupata dalla non riconosciuta Repubblica turca di Cipro del Nord), l’Armenia (ricordiamo che questo è un paese sovrano, membro della CSTO), metà dell’Iraq e della maggior parte della Siria (di nuovo, stati membri sovrani delle Nazioni Unite). Cioè, gli osservatori turchi non nascondono più il fatto che Ankara, almeno a livello di discussione, ha dei piani per espandere il territorio dello stato.

Questo non è il primo attacco di questo tipo in Turchia con la dimostrazione di una mappa in cui i confini del paese sono molto più ampi di quanto lo siano ora. È interessante notare che l’Azerbaigian non è stato incluso nel nuovo “impero turco”, ma il territorio dell’enclave azera di Nakhichevan, al confine con Armenia e Turchia, è dipinto in “colore turco”.

Ora l’esercito turco occupa parte del territorio della vicina Siria, comprese le aree abitate dai turcomanni siriani, un popolo locale di lingua turca, linguisticamente molto vicino ai turchi, agli azeri e ai turkmeni.

Inoltre, le truppe turche stanno conducendo operazioni contro le forze curde in Iraq, anche senza alcun timore che l’Iraq, come la Siria, sia uno stato sovrano e tali azioni siano un palese disprezzo per la sua indipendenza politica e il suo status di paese separato.

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Dura condanna dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa per l’Azerbajgian (Korazym 25.01.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.01.2024 – Vik van Brantegem] – Ieri 24 gennaio 2023, all’inzio della sessione plenaria invernale 2024 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, sono state contestate le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian. Frank Schwabe, che guida la delegazione tedesca presso l’APCE, ha proposto di negare le credenziali della delegazione azera per una serie di motivi, tra cui lo sfollamento forzata di tutti gli Armeni dall’Artsakh. L’APCE ha votato, con 76 voti favorevoli (inclusi tutti gli Italiani presenti), 10 contrari (nove dei Turchi e di un Albanese) e 4 astensioni, di non ratificare le credenziali della delegazione parlamentare dell’Azerbajgian, citando il mancato rispetto di “importanti impegni” dopo 20 anni nel Consiglio d’Europa e un numero di esempio di “mancanza di cooperazione” [QUI]. Con questa risoluzione dell’APCE, la delegazione azera è stata sospeso per almeno un anno e potrà rientrare solo se adempie ai suoi obblighi normativi. Rappresenta un duro atto d’accusa e una severa sanzione per l’Azerbajgian, che segna l’inizio dell’isolamento dell’autocrate Ilham Aliyev e del suo regime in Europa.

Questo duro colpo politico per il regime autocratico di Aliyev arriva dopo che nei giorni scorsi da Baku erano state lanciate delle virulenti dichiarazioni ostili verso le istituzioni europee. Alcuni giorni fa il Parlamento Europeo aveva comunicato che non invierà osservatori per monitorare il processo elettorale (farlocco, visto che il risultato è già deciso) per le presidenziali in Azerbajgian previste il prossimo 7 febbraio e di conseguenza non commenterà né il processo né i risultati che saranno annunciati successivamente. Nessun singolo membro del Parlamento Europeo è stato autorizzato a osservare o commentare questo processo elettorale a suo nome. Pertanto, «se un membro del Parlamento Europeo decidesse di commentare queste elezioni, lo farebbe di propria iniziativa e non dovrebbe, in nessun caso, rappresentare o impegnare il Parlamento Europeo con dichiarazioni o azioni». In parole semplici: la credibilità dell’autocrate della Repubblica di Baku, Ilham Aliyev sta a zero.

Oggi è arrivata anche la notizia che la detenzione “preventiva” dell’ex Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, è stata prorogata di altri 4 mesi. Stessa sorte toccherà a breve alle altre autorità politiche armene della Repubblica di Artsakh, illegalmente detenute dal regime autocratico di Ilham Aliyev a Baku.

Alcuni giorni fa, l’ex Ministro dello Sviluppo Urbano della Repubblica di Artsakh, Aram Sargsyan, è stato nominato nuovo Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, in sostituzione di Artur Harutyunyan, che ricopriva la carica di Ministro di Stato dal 18 settembre 2023, il giorno prima dell’aggressione terroristica dell’Azerbajgian il 19 e 20 settembre 2023, al seguito del quale è stata occupata la Repubblica di Artsakh ed è stata sfollata con la forza in Armenia l’intera popolazione.

I media statali azeri hanno riferito ieri, che «in segno di protesta contro i doppi standard», la delegazione azera all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa si è allontanata dall’aula, dopo aver rilasciato una dichiarazione (che riportiamo di seguito) nel classico stile azero arrogante e menzognero, come il bue che dice cornuto dell’asino, concludendo: «Di fronte all’attuale insopportabile atmosfera di razzismo, azerbajgianofobia e islamofobia nell’APCE, la delegazione dell’Azerbajgian decide di cessare il suo impegno e la sua presenza all’APCE fino a nuovo avviso».

Nella risoluzione adottata ieri (che riportiamo di seguito), l’APCE fa riferimento alla risoluzione del giugno 2023 “Garantire l’accesso libero e sicuro al Corridoio di Lachin” in cui ha confermato la mancanza del traffico libero e sicuro attraverso il Corridoio di Lachin. L’APCE era scioccata dal fatto che la leadership dell’Azerbajgian non aveva riconosciuto le gravi conseguenze umanitarie e sui diritti umani della situazione che durava da dieci mesi. L’APCE si rammaricava profondamente che il relatore dell’Assemblea sulla questione del Corridoio di Lachin non abbia avuto l’opportunità di una visita nel quadro della missione conoscitiva.

L’APCE menziona anche la risoluzione “Situazione umanitaria nel Nagorno-Karabakh” adottata nell’ottobre 2023. In tale risoluzione, aveva condannato le operazioni militari dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023, che hanno portato allo sfollamento forzato dell’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh in Armenia, sollevando sospetti di pulizia etnica.

Infine, l’APCE sottolineava che in assenza di un cambiamento nella situazione relativa al mancato adempimento da parte dell’Azerbajgian dei suoi obblighi statutari, a gennaio avrebbe ratificherà i credenziali della delegazione dell’Azerbajgian.

L’APCE rileva che più di 20 anni dopo l’adesione al Consiglio d’Europa, l’Azerbajgian non ha adempiuto ai principali obblighi derivanti dall’adesione.

Vi sono serie preoccupazioni circa la capacità di tenere elezioni libere ed eque in Azerbajgian, la separazione dei poteri, la debolezza del potere legislativo rispetto all’esecutivo, l’indipendenza della magistratura e la tutela dei diritti umani. L’APCE si rammarica profondamente di non essere stata invitata a monitorare le prossime elezioni presidenziali, sebbene l’Azerbajgian abbia l’obbligo di inviare l’invito in quanto Paese soggetto a monitoraggio. L’APCE è inoltre preoccupata per il fatto che ai correlatori del Comitato di sorveglianza non è stato consentito incontrare persone accusate o arrestate per motivi politici.

Il voto dell’APCE che nega la ratifica dei credenziali della Delegazione azera è una sanzione che segna l’inizio dell’isolamento dell’Azerbajgian nelle strutture occidentali. L’Occidente ha da tempo avvertito l’Azerbajgian che potrebbe essere punito per il suo comportamento aggressivo, ma il regime autocratico di Ilham Aliyev ha continuato a minacciare azioni militari contro l’Armenia e ha occupato l’Artsakh armeno. L’Azerbajgian ha dimostrato un comportamento anti-civiltà, occupando il territorio della Repubblica di Artsakh e sfrattando con la forza la sua popolazione armena. Il Presidente dell’Azerbajgian aveva assicurato i leader occidentali che non avrebbe usato la forza contro il’Artsakh, ma non ha mantenuto la promessa. Inoltre, oggi l’Azerbajgian rifiuta i formati negoziali dell’Occidente, non volendo partecipare ai negoziati a Brussel e a Washington.

Ricordiamo che il Presidente dell’Azerbajgian in una recente intervista con le televisioni statali azeri [QUI] ha ribadito le sue richieste territoriali verso l’Armenia. Inoltre, Aliyev ha ammesso di aver occupato le alture del territorio armeno nel 2021 e nel 2022 e che non le restituirà.

Recentemente, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per le Relazioni Estere e gli Affari di Sicurezza, Josep Borrell, ha annunciato che l’Unione Europea è preoccupata per le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian in riferimento alle richieste territoriali azeri verso l’Armenia. “Qualsiasi violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia sarà inaccettabile e avrà gravi conseguenze per le nostre relazioni con l’Azerbajgian”, ha affermato. È molto importante che l’Unione Europea sia pienamente consapevole che l’obiettivo dell’Azerbajgian non è stabilire la pace con l’Armenia ma mantenere l’incertezza in modo che Baku possa trovare falsi pretesti per futuri attacchi militari.

Il processo di isolamento di Baku in Occidente continuerà e gli Stati Uniti adotteranno delle misure severe. Se Ilham Aliyev alla fine si rifiutasse di andare a Washington e negoziare con l’Armenia, gli Stati Uniti potrebbero iniziare ad applicare sanzioni, che nella fase iniziale non saranno distruttivi per l’Azerbajgian, in modo che Aliyev abbia la possibilità di tornare a Washington. Tuttavia, il proseguimento di Baku in direzione distruttiva provocheranno sanzioni progressivamente più severe.

Nel contempo, gli USA, l’Unione Europea, Francia e Germania rafforzeranno la cooperazione con l’Armenia in ambito di sicurezza, militare, politica, economica, energetica e investimenti.

Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
Contestazione, sul piano sostanziale, delle credenziali non ancora ratificate della Delegazione parlamentare dell’Azerbaigian e Risoluzione di sospensione
24 gennaio 2024
(Traduzione italiana dall’inglese a cura dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh)

«Dibattito dell’Assemblea del 24 gennaio 2024 (4ª seduta) (vedi Doc. 15898 , rapporto del Comitato per il rispetto degli obblighi e degli impegni degli Stati membri del Consiglio d’Europa (Comitato di monitoraggio), relatore: Sig. Mogens Jensen); e Doc. 15899, parere della Commissione per il regolamento, le immunità e gli affari istituzionali, relatrice: Ingjerd Schie Schou). Testo adottato dall’Assemblea il 24 gennaio 2024 (4ª seduta).
1. L’Assemblea Parlamentare ricorda che, aderendo al Consiglio d’Europa il 25 gennaio 2001, la Repubblica di Azerbajgian ha accettato di onorare diversi impegni specifici elencati nel Parere 222 (2000) dell’Assemblea, nonché gli obblighi che incombono a tutti gli Stati membri ai sensi Articolo 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa (STE n° 1): rispetto dei principi della democrazia pluralista e dello stato di diritto, nonché rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutte le persone poste sotto la sua giurisdizione.
2. L’Assemblea deplora che, a più di 20 anni dall’adesione al Consiglio d’Europa, l’Azerbajgian non abbia rispettato gli importanti impegni che ne derivano. Permangono gravi preoccupazioni circa la sua capacità di condurre elezioni libere ed eque, la separazione dei poteri, la debolezza del suo corpo legislativo rispetto all’esecutivo, l’indipendenza della magistratura e il rispetto dei diritti umani, come illustrato da numerose sentenze di la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i pareri della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia).
3. In questo contesto, l’Assemblea ricorda la sua Risoluzione 2184 (2017) “Il funzionamento delle istituzioni democratiche in Azerbajgian”, Risoluzione 2185 (2017) “La Presidenza dell’Azerbajgian del Consiglio d’Europa: quale seguito al rispetto dei diritti umani?”, Risoluzione 2279 (2019) “Lavande a gettoni: rispondere alle nuove sfide nella lotta internazionale contro la criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro”, Risoluzione 2322 (2020) “Casi denunciati di prigionieri politici in Azerbajgian”, Risoluzione 2362 (2021) “Restrizioni sulle Attività delle ONG negli Stati membri del Consiglio d’Europa”, Risoluzione 2418 (2022) “Presunte violazioni dei diritti delle persone LGBTI nel Caucaso meridionale”, Risoluzione 2494 (2023) “Attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, Risoluzione 2509 ( 2023) “La repressione transnazionale come minaccia crescente allo stato di diritto e ai diritti umani” e la risoluzione 2513 (2023) “Pegasus e simili spyware e sorveglianza segreta dello stato”. Rileva inoltre con preoccupazione che, secondo la Piattaforma del Consiglio d’Europa per promuovere la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti, almeno 18 giornalisti e operatori dei media sono attualmente in detenzione.
4. Per quanto riguarda la situazione nel Nagorno-Karabakh, l’Assemblea ha constatato l’assenza di un accesso libero e sicuro attraverso il Corridoio di Lachin nella sua Risoluzione 2508 (2023) “Garantire un accesso libero e sicuro attraverso il Corridoio di Lachin” ed è rimasta colpita dal fatto che La leadership dell’Azerbajgian non ha riconosciuto le gravi conseguenze umanitarie e sui diritti umani derivanti da quella situazione, durata quasi dieci mesi. Inoltre, nella Risoluzione 2517 (2023) e nella Raccomandazione 2260 (2023) “La situazione umanitaria nel Nagorno-Karabakh”, l’Assemblea ha condannato l’operazione militare dell’esercito azero del settembre 2023, che ha portato alla fuga dell’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh. Karabakh all’Armenia e alle accuse di “pulizia etnica”. L’Assemblea ricorda che nella Risoluzione 2517 (2023) non ha escluso di contestare le credenziali della delegazione azera nella sua prima tornata del 2024.
5. L’Assemblea rileva inoltre che il 5 dicembre 2023 il Comitato per il rispetto degli obblighi e degli impegni da parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa (Comitato di monitoraggio) ha adottato un rapporto sul rispetto degli obblighi e degli impegni da parte dell’Azerbajgian e che tale rapporto sarà esaminato dall’Assemblea dopo le elezioni presidenziali anticipate in Azerbajgian, previste per il 7 febbraio 2024 e indette il 7 dicembre 2023, poco dopo l’adozione del suddetto rapporto.
6. Ricordando la sua Risoluzione 2322 (2020) “Casi denunciati di prigionieri politici in Azerbajgian”, l’Assemblea è anche preoccupata per il fatto che ai relatori del Comitato di Monitoraggio non è stato consentito incontrare persone detenute con accuse presumibilmente motivate politicamente. Inoltre, l’Assemblea si rammarica fortemente di non essere stata invitata ad osservare le prossime elezioni presidenziali, nonostante l’obbligo dell’Azerbajgian di inviare tale invito poiché il paese è sotto procedura di monitoraggio. L’Assemblea considera questi rifiuti come esempi di “mancanza di cooperazione nella procedura di monitoraggio dell’Assemblea” ai sensi dell’articolo 8.2.b del Regolamento interno dell’Assemblea. Inoltre, condanna la mancanza di cooperazione della delegazione azera con il relatore della Commissione per gli affari giuridici e i diritti umani su “Minacce alla vita e alla sicurezza dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani in Azerbajgian”, al quale è stato rifiutato di visitare il paese per tre volte. Deplora profondamente anche che il relatore del Comitato sulla migrazione, i rifugiati e gli sfollati su “Garantire un accesso libero e sicuro attraverso il Corridoio di Lachin” non sia stato invitato in Azerbajgian durante la sua visita conoscitiva nella regione e non abbia quindi potuto recarsi in il Corridoio di Lachin.
7. Pertanto, l’Assemblea decide di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian. La delegazione può riprendere le sue attività in Assemblea quando sono soddisfatte le condizioni previste dal Regolamento».

Delegazione dell’Azerbajgian all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
Dichiarazione
24 gennaio 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

«La Repubblica di Azerbajgian è una nazione orgogliosa, indipendente, sovrana, democratica e multiculturale. La democrazia è la nostra scelta consapevole e abbiamo fatto enormi progressi nel sostenere i diritti umani e lo Stato di diritto in Azerbajgian da quando abbiamo ottenuto la nostra indipendenza nel 1991.
L’obiettivo principale dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) è quello di fornire una piattaforma per il dialogo tra parlamentari di diversi Paesi, basata sul rispetto reciproco e su un piano di parità.
Quando l’Azerbajgian ha aderito al Consiglio d’Europa nel 2001, è stato con la speranza e l’aspettativa genuina che questa organizzazione, progettata per difendere i diritti umani e lo stato di diritto, avrebbe aiutato l’Azerbajgian a ripristinare i diritti di centinaia di migliaia di Azeri violati di conseguenza. dell’aggressione militare e dell’occupazione di una parte dei suoi territori riconosciuti a livello internazionale da parte dell’Armenia e, di conseguenza, la giustizia sarebbe servita per raggiungere una pace duratura nella regione.
Per 19 anni, dal 2001 al 2020, l’APCE non è riuscita a ritenere lo stato aggressore Armenia responsabile delle sue azioni in contraddizione con i valori e i principi fondamentali del Consiglio d’Europa. Riguarda in particolare il palese disprezzo dei diritti umani dei rifugiati e degli sfollati interni Azeri sottoposti a pulizia etnica.
Dopo la storica vittoria dell’Azerbajgian sull’aggressione, l’occupazione e il violento separatismo, e il ripristino della sua integrità territoriale e sovranità, ci troviamo di fronte ad una campagna diffamatoria orchestrata per denigrare l’Azerbajgian e gettare ombra sui suoi successi nel ripristinare la giustizia negata per così tanto tempo al popolo dell’Azerbajgian. Nei quasi 20 anni in cui la delegazione azera ha sollevato le gravi conseguenze dell’occupazione armena, ci è stato detto che l’APCE non è il formato giusto per discutere le questioni legate al conflitto. Ma ora la stessa APCE e gli stessi parlamentari dicono esattamente il contrario e non perdono occasione per attaccare l’Azerbajgian. L’interpretazione selettiva del diritto internazionale e il diverso trattamento delle questioni relative all’integrità territoriale e alla sovranità degli Stati dimostrano la natura cinica e ipocrita degli autori di questa vergognosa proposta.
Sfortunatamente, l’APCE viene utilizzato come piattaforma per prendere di mira alcuni Stati membri. I principi fondamentali dell’APCE vengono sfruttati da alcuni gruppi prevenuti per promuovere i propri ristretti interessi. Corruzione politica, discriminazione, odio etnico e religioso, doppi standard, arroganza e sciovinismo sono diventati pratiche prevalenti nell’APCE.
Consideriamo l’iniziativa di mettere in discussione le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian presso l’APCE come parte di questa feroce campagna. Consideriamo inoltre questa iniziativa come un tentativo deliberato e inaccettabile di interferire indebitamente con il processo elettorale in corso in Azerbajgian e un vivido esempio di azioni insidiose volte a minare il funzionamento delle istituzioni democratiche nel nostro Paese. Il proposto rifiuto di ratificare le credenziali della nostra delegazione costituirà un duro colpo per la credibilità e l’imparzialità del Consiglio d’Europa nel suo insieme, e la responsabilità delle sue conseguenze gravi e irreversibili ricadrà interamente sui suoi promotori.
Nessuno al mondo, compresi coloro che sono seduti in questa sala, può parlare con l’Azerbajgian nel linguaggio della minaccia e del ricatto. Mai prima nella storia dell’APCE, questa organizzazione si è comportata in modo così vergognoso.
Di fronte all’attuale insopportabile atmosfera di razzismo, azerbajgianofobia e islamofobia nell’APCE, la delegazione dell’Azerbajgian decide di cessare il suo impegno e la sua presenza all’APCE fino a nuovo avviso».

Postscriptum

Un’osservazione, tra le tante altre che potrebbero essere fatto su queste accumulo di falsità. Qui si tratta di una questione tra l’Azerbajgian e il Consiglio d’Europa, con cui non c’entra l’Armenia. Significativo è, che nessuno dei parlamentari Armeni sia intervenuto nel dibattito e che peraltro l’Armenia non viene neanche menzionata, quando si parla dei “promotori”.

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Destino armeno (RAinews 25.01.24)

La tragedia del genocidio e dell’esilio degli armeni raccontata dalla scrittrice, attrice ed operatrice umanitaria Laura Ephrikian

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Astronomer Gin, il gin che arriva dall’Armenia (Bargiornale 25.01.24)

Nasce da tre anni di ricerche e dalla creatività del bartender Eric Adinaev, che ha costruito anche l’alambicco, questo gin contemporaneo, fatto con 21 botaniche tra le quali il succo di melograno, simbolo del Paese

Il melograno è uno dei simboli dell’Armenia, un Paese la cui cristianità risale all’antichità e lega questo frutto alla fertilità, all’amore e alla prosperità. Poteva quindi uno dei più complessi e interessanti gin armeni non partire proprio da questo frutto e dal suo succo, per costruire la propria identità? La storia di Astronomer Gin è tanto affascinante quanto complesso e articolato è stato il processo che ne ha portato all’ideazione e quindi alla successiva produzione.

Il deus ex machina di questo prodotto è il russo Eric Adinaev, nome noto nel mondo della miscelazione internazionale per essere uno dei fondatori e bartender del Mitzva Bar di Mosca, entrato per un certo periodo anche nella classifica dei World 50Best Bars.

Basse temperature per aromi più eleganti e delicati

Contrariamente a quanto accade oggi, dove la maggior parte delle nuove produzioni acquistano i migliori alambicchi sul mercato a seconda delle proprie esigenze qualitative e quantitative, in questo caso è stato Adinaev stesso a costruirlo. Maestro distillatore e tecnico in materia, Adinaev ha agito in modo tale da poter avere il massimo controllo in ogni fase di creazione del prodotto. Il sistema messo a punto è unico nel suo genere e sfrutta il principio del sottovuoto per lavorare a basse temperature, che consentono una resa qualitativamente migliore e uno spettro di profumi e aromi decisamente più eleganti e delicati.

Dopo un’indecisione iniziale, la proprietà ha scelto di attivare la produzione in Armenia anziché in Russia, per via delle condizioni oggi più tranquille e favorevoli verso nuovi business e start up. La Science and Spirits – la compagnia con base armena che possiede l’etichetta – nasce con un istinto innovativo e contemporaneo verso la produzione di nuovi distillati, liquori e progetti connessi al mondo beverage. «Abbiamo voluto instaurare sin da subito sinergie con professionisti di altri settori – dai biologi agli ingegneri, a chi fa softwarescienziatibotaniciartisti – per poter lavorare in modo sostenibile, al passo con i tempi, flessibile e trasparente. Speriamo che il nostro metodo e la nostra attitudine servano come fonte di ispirazione verso un’industria di produzione del futuro sempre migliore e sempre più consapevole» ci racconta il team di Astronomer.

Una ricetta frutto di tre anni di ricerche

Per arrivare al primo imbottigliamento di Astronomer Gin ci sono voluti oltre tre anni di lavoro e più di trentanove test (batch) diversi. Il processo parte dal succo di melograno spremuto a freddounito a un alcool puro di grano. Questa prima miscela viene fatta riposare per una settimana e poi filtrata. A questo punto le ventuno botaniche selezionate vengono fatte macerare nella miscela di base per circa sette giorni. Oltre alle classiche come cardamomo, ginepro, coriandolo o angelica, ci sono sentori particolarmente più aromatici come petali di rosalavandasambucocamomillanoce moscata, il pepe andalimanocassiaribes nerocardamomo tailandese o scorze di mandarinidi pompelmi e le radici di giaggiolo.

Un ricco profilo aromatico

Prima dell’imbottigliamento, il distillato viene diluito con acqua e messo in vendita a una gradazione alcolica non poi così bassa (47% vol) rispetto alla media sul mercato, ma adatta a esaltarne al massimo il profilo aromaticoL’aftertaste di Astronomer Gin è particolarmente lungo, secco, pulito, a riprova della grande attenzione e della cura mantenuti nel corso di tutta la fase di produzione.

Per realizzare la grafica esterna è stata coinvolta un’artista di fama internazionale quale Lisa Smirnova, disegnatrice e ricamatrice. I motivi che ritroviamo sulle varie facce della bottiglia provengono da una serie di ricami che sono stati successivamente digitalizzati e trasformati in una grafica riproducibile su vetro.

Un gin che porta nello spazio e fa vedere il mondo da un’altra prospettiva. Un prodotto contemporaneosfidante per chi lo approccia nell’ottica di una mixability contemporanea, ma decisamente diverso dai suoi simili e destinato a farsi riconoscere con stile e originalità all’interno di tante bottigliere.

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Musica sacra e popolare a Bruxelles: il circolo Trentino incontra le ricercatrici/artiste Sara Maino e Caterina Rosolino (Aise 25.01.24)

Dall’Armenia all’Argentina passando per Bruxelles: due avventure, due viaggi che sono stati narrati da Sara Maino Caterina Rosolino, due ricercatrici-artiste andate alla ricerca della musica sacra e popolare. Saranno loro le protagoniste del dialogo immersivo a 360 gradi organizzato dal Circolo Trentino di Bruxelles per il prossimo lunedì 29 gennaio presso la Librebook della capitale belga.
L’evento è realizzato nel contesto della “Semaine du Son” di Bruxelles.
Tramite frammenti sonori e la presentazione del libro “Quaderno armeno” pubblicato da Nous Editrice, Sara Maino farà viaggiare il pubblico attraverso l’atmosfera e le strade dell’Armenia.
Caterina Rosolino, invece, farà volare gli astanti in Argentina con il racconto e la visione di performance teatrali e storie legate alla murga, il carnevale locale.
Alla serata prenderà parte anche il Circolo Trentino in Argentina, più precisamente delle zone di Buenos Aires, Entre Ríos, La Pampa e Rosario. (aise)