“L’Isola Armena a Venezia: San Lazzaro degli Armeni, un Tesoro Culturale nell’Incanto della Laguna”. Recensione a cura di Alessandria today (31.01.24)

’Isola Armena di San Lazzaro degli Armeni, sospesa tra l’arte e la storia nella laguna di Venezia, è il fulcro di un patrimonio culturale straordinario, narrato con maestria nel resoconto appassionato e informativo che s’intitola “L’Isola Armena a Venezia.”

Foto dalla pagina facebook: Curiosita’ Veneziane

Grazie a questo libro, il lettore è trasportato attraverso i secoli, dall’epoca dei benedettini di Sant’Ilario alla sua trasformazione in lebbrosario, rifugio per i poveri e accogliente dimora per i domenicani espulsi da Creta. Tuttavia, è il Settecento che segna un punto di svolta cruciale quando la Repubblica di Venezia concede l’isola a un gruppo di monaci armeni in fuga da Modone, nel Peloponneso.

La figura chiave di Mechitar, sepolto nella chiesa dell’isola, emerge come un architetto fondamentale della rinascita della letteratura armena e del rafforzamento della comunità di San Lazzaro. Il suo contributo alla restaurazione del monastero e alla creazione di una biblioteca indipendente, oltre all’istituzione di una tipografia, è raccontato con eloquenza.

San Lazzaro, durante l’invasione napoleonica, resta inviolata grazie al suo status di accademia di scienze, conferendole protezione imperiale. La narrativa si snoda attraverso i corridoi della pinacoteca, del museo e della biblioteca, custodi di oltre 170.000 volumi, tra cui 4.500 manoscritti. Il legame con il resto del mondo si manifesta in reperti archeologici, dipinti e persino una mummia egizia dell’800 a.C., arricchendo l’isola di una varietà di tesori.

Il libro presenta anche il prezioso lavoro dei monaci, custodi di roseti che danno vita a una marmellata speciale, la vartanush, tramite una ricetta armena. La descrizione dei dettagli culinari aggiunge un tocco di autenticità e connessione con la vita quotidiana sull’isola.

In conclusione, “L’Isola Armena a Venezia” è una guida appassionante e dettagliata attraverso uno dei gioielli culturali della laguna di Venezia. Un viaggio che porta i lettori a immergersi nella storia, nell’arte e nella spiritualità di San Lazzaro degli Armeni, evidenziando l’importanza di preservare e celebrare il ricco patrimonio dell’isola.

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Bari – “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” -3 febbraio (Puglialive 31.01.24)

Sabato 3 febbraio dalle ore 10,30 presso il Museo Civico di Bari (strada Sagges, Barivecchia) si svolgerà l’evento dal titolo “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” dedicato alla vicenda di San Biagio (Vescovo e Martire d’Armenia del III secolo d.C) e alla sua ricezione in Terra di Bari.

L’incontro è stato fortemente voluto dalla Presidenza della Commissione Consiliare alla Cultura del Comune di Bari e dalla Comunità Armena di Bari. Dopo i saluti introduttivi del presidente della commissione cultura Dott. Giuseppe Cascella, della delegata del Sindaco per l’emergenza sanitari, dott.ssa Loredana Battista e del dott. Dario Rupen Timurian della Comunità Armena di Bari, alcuni importanti relatori si alterneranno per spiegare al pubblico l’importanza del culto di San Biagio e dei Santi Armeni nel nostro territorio attraverso i secoli, dal punto di vista storico, artistico e scientifico.

Il primo intervento vedrà come protagonista il prof. Ado Luisi, noto antichista dell’Università di Bari che introdurrà l’udito alla tradizione agiografica latina e orientale; il prof. Nicola Cutino si occuperà del tema della ricezione della figura di san Biagio in Terra di Bari ed il prof. Carlo Coppola, studioso di cose armene, farà un excursus tra i Santi armeni in Italia nell’antichità e nella contemporaneità. Seguiranno due interventi tra arte e scienza: la dott.ssa Siranush Quaranta che illustrerà alcuni elementi artistici legati al tema di San Biagio in Puglia, e il prof. Nicola Quaranta, otorinolaringoiatra barese di fama internazionale, rappresentante dell’illustre Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale, racconterà i rapporti otorinolaringoiatra e il suo patrono san Biagio.

Le conclusioni saranno affidate al Sindaco di Rutigliano dott. Giuseppe Valenza.

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L’Armenia è diventata ufficialmente membro della Corte penale internazionale (Il Post 31.01.24)

Dalla mezzanotte di giovedì 1 febbraio, cioè dalle 22 del 31 gennaio per l’Europa occidentale, l’Armenia è diventata ufficialmente membro della Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Il piccolo paese nella regione del Caucaso aveva ratificato a ottobre l’adesione allo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Corte. L’articolo 126 dello Statuto prevede che il paese diventi ufficialmente membro «il primo giorno del mese dopo il sessantesimo giorno successivo alla data» di ratifica. L’Armenia è diventata così il 124esimo paese a riconoscere la Corte.

La decisione del governo armeno è stata interpretata come una presa di distanza dalla Russia, storica alleata dell’Armenia: nel marzo del 2023 infatti la Corte aveva emesso un mandato d’arresto per Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra in Ucraina. Aderendo alla Corte le autorità armene si sono teoricamente impegnate ad arrestare il presidente russo, se entrasse in territorio armeno. A ottobre il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, aveva definito la decisione dell’Armenia «inappropriata dal punto di vista delle nostre relazioni bilaterali».

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La nuova proposta per un patto di non aggressione tra Armenia e Azerbaijan (e l’occasione dell’Ue) (L’Inkiesta 31.01.24)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha reso noto di aver proposto un patto di non aggressione all’Azerbaijan in attesa della firma di un trattato di pace che dovrebbe portare alla riconciliazione tra i due ex-nemici del Caucaso. Baku e Yerevan hanno combattuto due guerre, tra gli anni Novanta e i Duemila, per il controllo del Nagorno-Karabakh, una regione in territorio azero ma popolata da armeni – una condizione apparentemente assurda, creata ad arte dall’Unione Sovietica durante la dittatura di Joseph Stalin, che aveva deciso di dividere gli Stati vicini alla Russia in modo che avessero popolazioni non omogenee al loro interno per evitare rivendicazioni e rivolte nazionaliste.

Baku ha riconquistato il Nagorno-Karabakh nel 2023 grazie a un’offensiva lampo, un attacco deliberato che ha posto fine a una situazione che si trascinava da decenni e ha messo in grave difficoltà l’Armenia: la quasi totalità della popolazione ha abbandonato il Nagorno-Karabakh per riversarsi a Yerevan, un flusso consistente di persone che devono essere aiutate a ricostruire la propria vita.

Pashinyan e il capo di Stato azero Ilham Aliyev avevano già chiarito come la firma di un trattato di pace sarebbe potuta avvenire entro la fine del 2023 ma questa eventualità, nonostante i colloqui di pace, non si è verificata. Pashinyan e Aliyev si sono incontrati diverse volte, in presenza del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, ma il processo di riavvicinamento è entrato in una fase di stallo a partire da ottobre. Tra i pochi risultati c’è stato, nel mese di dicembre, lo scambio dei prigionieri di guerra. Lo sviluppo è stato definito, secondo quanto riportato da Euractiv, come «una svolta» da Unione europea, Stati Uniti, Russia e Turchia.

La vicenda del Nagorno-Karabakh ha prodotto un significativo mutamento nell’orientamento strategico dell’Armenia, storicamente vicina alla Russia e membro dell’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva (Csto), un’alleanza militare molto simile alla Nato, che però guarda a Mosca. A Yerevan molti si chiedono, come chiarito dal portale Eurasianet, che senso abbia continuare a far parte di un’alleanza che non ha fatto nulla per aiutare il Paese quando si è trovato sotto attacco.

La possibile uscita dalla Csto finora è sempre stata negata da Pashinyan ma è indubbio che qualcosa sia cambiato nella nazione caucasica. Quindici organizzazioni pubbliche hanno diffuso un comunicato in cui, tra le altre cose, criticano l’interferenza della Russia negli affari interni del Paese, chiedono l’espulsione delle truppe di Mosca presenti in Armenia e fanno richiesta di avviare il processo di uscita dalla Csto.

L’alleanza militare, di cui fanno parte anche Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia, sarebbe dovuta intervenire in soccorso di Yerevan quando le truppe azere ne hanno invaso le aree di confine ma non ha agito e questa linea di condotta ha spinto l’Armenia a non partecipare più ai vertici della Csto e a intensificare la cooperazione con l’Unione europea. Il summit dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, svoltosi lo scorso 11 dicembre, ha chiarito che Bruxelles valuterà la possibilità di inviare aiuti militari all’Armenia mediante lo European Peace Fund e che aumenteranno gli effettivi della missione di monitoraggio comunitaria a Yerevan. Areg Kochinyan, un analista a capo del Research Center on Security Policy sentito da Eurasianet, ha spiegato come l’Armenia potrebbe lasciare la Csto dopo aver approvato una strategia di sicurezza nazionale che assegna «uno status di appartenenza a nessun blocco» del Paese.

Il riavvicinamento tra Yerevan e l’Occidente è stato evidenziato da diversi sviluppi degli ultimi mesi. A settembre le forze armate armene hanno svolto esercitazioni congiunte con l’esercito americano e Yerevan ha reso noto di aver accettato di potenziare la cooperazione militare con la Francia. L’Armenia, in un evidente smacco a Mosca, ha inoltre ratificato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale che, come noto, ha emesso un mandato di cattura nei confronti del capo di Stato russo Vladimir Putin. Queste azioni contribuiscono a sgretolare il predominio di Mosca nella nazione caucasica che, anche a causa della sua peculiare collocazione geopolitica, ha sempre dovuto fare riferimento al Cremlino per tutelare le proprie esigenze di sicurezza.

La storica inimicizia con l’Impero Ottomano, culminata nella tragica vicenda del genocidio armeno e poi con la Turchia hanno spinto Yerevan a cercare la protezione di Mosca per evitare l’ annientamento totale. Il territorio del Paese è , infatti, assai ridotto e schiacciato ad ovest da Ankara e ad est da Baku, alleato della Turchia. La regione caucasica è, inoltre, geograficamente isolata e molto distante dall’Europa continentale, un fattore che ha contribuito ad avvicinare ancora di più Mosca e Yerevan e ad impedire un intervento più incisivo da parte di Bruxelles. L’autonomia di manovra dell’Armenia è, dunque, contingentata dalla presenza di una situazione precaria e complessa e dalla volontà di Mosca di mantenere un saldo predominio su quella che considera la propria sfera d’influenza. L’Unione europea, in questo contesto, può puntare su una politica di piccoli passi che tenda ad un rafforzamento dei rapporti bilaterali nella speranza che il contesto regionale lo consenta.

Lo sviluppo di rapporti più stretti tra Bruxelles e Yerevan non può prescindere da un maggiore sviluppo democratico dell’Armenia e dal rafforzamento delle istituzioni locali, un processo che proprio Bruxelles potrà aiutare a coordinare e a rafforzare nel medio-lungo periodo.

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L’Azerbaijan tra petrolio e democrazia sospeso dal Consiglio d’Europa (Remocontro 31.01.24)

Tensioni tra l’Azerbaijan e i Paesi dell’Unione Europe. Il Consiglio d’Europa, del quale fanno parte tutte le nazioni Ue oltre a Paesi come Georgia, Armenia, Azerbaigian, Serbia e Montenegro, fu fondato nel 1949 e ha sede a Strasburgo.
Contraddizione europea, con Ursula von der Leyen in recente visita a Baku per un trattato sulle forniture energetiche azere, mentre il Consiglio d’Europa rischia di mettere tutto in discussione.

Promuovere democrazia dove spesso è più incerta

Scopo principale del Consiglio d’Europa è promuovere la democrazia, i diritti umani e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali. Per quanto non figuri tra gli organi istituzionali dell’Unione, la sua importanza è cresciuta negli ultimi decenni, come testimonia la presenza di numerose nazioni extra-Ue.

La questione armena e il Nagorno Karabakh

Per quale motivo l’Azerbaigian è stato sospeso dal Consiglio per un anno? Strasburgo ha preso tale iniziativa a causa dell’espulsione degli armeni dal Nagorno Karabakh, ex enclave armena in territorio azero sin dai tempi dell’Unione Sovietica, della quale le due Repubbliche oggi in conflitto facevano entrambe parte.

L’accusa a Baku

Il Consiglio, accusa l’Azerbaigian anche di mancanza di trasparenza nelle procedure elettorali. Il presidente azero, Ilham Aliyev, ha indetto elezioni anticipate, ma non ha accettato la presenza di osservatori internazionali per vigilare sulla correttezza delle procedure. Per questo motivo il Consiglio ha espresso dubbi circa la capacità dell’Azerbaigian di tenere elezioni libere ed eque e di garantire la separazione dei poteri.

Frammenti di Islam in Europa

Ha inoltre rimarcato la debolezza del potere legislativo rispetto a quello esecutivo, e l’indipendenza del potere giudiziario. Naturalmente Baku ha subito reagito alla sospensione, accusando il Consiglio di avere un atteggiamento pregiudizialmente ostile all’Azerbaigian, e di islamofobia. Da notare che i rappresentanti turchi, unitamente a quelli albanesi, non hanno votato a favore della sospensione.

Tensioni tra Parigi e Baku

Notevole peso nella decisione del Consiglio hanno avuto i rapporti sempre più tesi tra Azerbaigian e Francia. Parigi si è schierata nettamente con gli armeni, e Baku, come risposta, ha ordinato a due diplomatici francesi di lasciare il Paese. Immediata la risposta di Macron, che ha dichiarato “persone non gradite” due diplomatici azeri. Aliyev ha inoltre accusato Parigi di inviare armi all’Armenia.

La storica cultura armena  di Francia

Come sempre accade, anche in questo caso la Francia – che ospita nel suo territorio una grande comunità armena – va per conto suo senza coordinarsi con gli altri Paesi europei. Lo stesso atteggiamento autonomo ha adottato in Africa, dove i rapporti di Parigi con alcune sue ex colonie hanno raggiunto il minimo storico, con l’espulsione di numerosi diplomatici francesi.

Nazionalismi e gas

La situazione è grave poiché l’Europa, dopo le sanzioni anti-russe, ha un grande bisogno del gas e del petrolio di cui l’Azerbaigian possiede ingenti riserve. Non a caso Ursula von der Leyen è andata a Baku per firmare, a nome della Ue, un trattato per garantire a Bruxelles le forniture energetiche azere. La decisione del Consiglio d’Europa rischia però di rimettere tutto in discussione.4

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Cari adoratori del grande Kapuściński, rileggetevi cosa scriveva sul Nagorno (Tempi 31.01.24)

Galina Starovojtova! Mi ero dimenticato di lei. Mi era apparsa, secondaria e fugace, in un libro di Ryszard Kapuściński del 1995, dove si parlava del Nagorno-Karabakh. Molto più importante di Galina mi apparve subito l’autore del testo intitolato La trappola. Un racconto bellissimo. Giornalismo puro, così gonfio di realtà che invece di studiare i personaggi veri che transitavano per quelle pagine, mi ero innamorato dell’inviato speciale arrivato a Stepanakert che aveva messo in bottiglia e gettato nell’oceano dell’umanità la strepitosa memoria di quel piccolo popolo, «destinato all’annientamento». Annientamento? Aveva scritto proprio così Ryszard. Tutto già allora congiurava contro questi armeni del Bosco Oscuro. «Uno dei posti più belli del mondo, qualcosa come le Alpi, i Pirenei, il Rodope, Andorra, San Marino e Cortina d’Ampezzo messi insieme». Una bellezza pronta per essere sgozzata.

 

Non sto allontanandomi dal dolore attuale dei centomila armen..

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In Armenia apre un biolaboratorio Usa. Ajnur Kurmanov: “Vanno trattati come basi militari Nato (L’Antidiplomatico 30.01.24)

di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

Torna in primo piano la questione dei laboratori biologici USA, operativi in diverse repubbliche ex sovietiche, tutt’intorno ai confini della Russia. In un’intervista a Ukraina.ru, ne ha parlato in questi giorni il politologo kazako Ajnur Kurmanov, rappresentante della Coalizione internazionale per la proibizione degli esperimenti e la diffusione delle armi biologiche, il quale afferma che i biolaboratori yankee attivi nelle vicinanze dei confini russi debbano essere considerati alla stregua di basi militari USA e NATO, con tutte le conseguenze da ciò derivanti.

L’occasione dell’intervista è data dalla notizia, diffusa dall’armena “Past”, sull’apertura dell’ennesimo laboratorio (il 13°) nella repubblica caucasica: questa volta nelle immediate vicinanze della base militare russa di Gjumri, nell’Armenia nordoccidentale. A parere di Kurmanov, l’attivazione di questo nuovo sito (al pari dei 12 precedenti, completamente segreto) costituisce una ulteriore dimostrazione, da parte di Erevan, della propria volontà di distanziarsi da Mosca (pur continuando ad esserne, formalmente, alleata, nel ODKB) e mostrarsi vicina all’Occidente. Per USA e NATO, l’Armenia costituisce un “fronte di riserva” per accendere nuovi focolai nell’area sudorientale, di fronte al fallimento ucraino: una spina puntata contro il sud della Russia.

Nel nuovo laboratorio armeno, quantunque le autorità rifiutino di fornire la minima indicazione, sembra che vi si studi antrace, peste, varie febbri e malattie caratteristiche della Transcaucasia.

Ma non c’è solo l’Armenia. Nel sud del Kazakhstan, nella regione di Žambyl, si parla dell’attivazione del settimo (su un totale di poco meno di trenta siti in tutto il paese) laboratorio biologico del 4° livello di pericolosità, denominato “BSL-4”, finanziato dalla Defense Threat Reduction Agency (DTRA) del Pentagono. Pare che, in tutto il mondo, ci siano solo una dozzina di siti simili; viene realizzato insieme a un deposito sotterraneo per gli agenti patogeni quali virus Marburg, vaiolo, febbri latinoamericane, virus Ebola e altre malattie per le quali non esistono farmaci.

Secondo Kurmanov, in Kazakhstan di recente americani, britannici e tedeschi avrebbero lavorato su antrace, peste e tularemia. Si studierebbe la possibilità di utilizzare i cammelli quali portatori delle malattie più pericolose, lavorando anche su tipi di coronavirus che infettano gli animali in condizioni naturali; studi anche su febbri del Congo-Crimea e di Omsk.

Va detto che nel 2013, in Kazakhstan, gli americani avevano già raccolto zecche per la diffusione della febbre del Congo-Crimea. Poi, i biomateriali erano stati trasferiti per posta diplomatica in Georgia, al Centro Lugar, e qui sottoposti a modernizzazione; quindi, come atto di diversione biologica, rilasciati nel Caucaso settentrionale russo, provocando diversi casi letali.

Laboratori biologici USA sarebbero attivi anche in Uzbekistan e Tadžikistan e, senza bisogno dell’apertura di altri siti, in vari casi si utilizzano vecchie strutture di ricerca sovietiche, ovviamente su base DTRA.

Nell’area centroasiatica ex sovietica, secondo Kurmanov, la situazione epidemiologica è aggravata anche dal degrado dell’intero sistema sanitario (o di ciò che rimane dell’epoca sovietica) – assenza di vaccinazioni, chiusura di numerosi ospedali e policlinici – che si manifesta con la ricomparsa di malattie a suo tempo debellate. Ciò costituisce un indubbio vantaggio per le attività dei laboratori USA e NATO, come è il caso della rinnovata diffusione del morbillo. Nel caso specifico, c’è ragione di ritenere che si tratti di una tipica sperimentazione sul campo, con l’utilizzo di ceppi tossici di morbillo mai registrati in queste regioni prima del 2016. Si tratterebbe di due ceppi apparsi per la prima volta in Ucraina e successivamente in Kazakhstan, Kirghizija, ecc. Tra l’altro, quella del morbillo è una malattia molto utile ai fini militari. Fornisce un’eccellente possibilità di monitorare la velocità di diffusione di un’infezione, per verificare quanto siano in grado di affrontarla i sistemi sanitari locali coi vaccini a disposizione.

Un altro esempio è dato dalla peste suina africana, non tipica delle nostre latitudini, dice Kurmanov: i primi casi sono comparsi a metà del decennio scorso, con l’avvento dei nuovi laboratori. Un serio colpo fu inferto nel 2018-’19 agli allevamenti suini russi e cinesi, con parecchi milioni di maiali che dovettero esser macellati.

Per quanto riguarda l’Ucraina (nel marzo 2022 aveva trattato l’argomento il comandante delle truppe di difesa radioattiva, chimica e biologica russe Igor’ Kirillov), sembra che anche là si stiano nuovamente attivizzando i laboratori biologici, con la presenza di ricercatori americani e tedeschi. Si sono visti biologi militari della Bundeswehr negli ex siti militari sovietici della città di Šostka, dopo di che si è notata un’anomala diffusione di diversi tipi di zecche nelle aree di Brjansk, Belgorod, Kursk e Voronež.

In generale, sottolinea ancora Kurmanov, tali laboratori dovrebbero essere considerati alla stregua di basi militari USA e NATO, con la possibilità che vari agenti patogeni e virus vengano intenzionalmente diffusi, con danni irreparabili alla popolazione e all’agricoltura. Nel caso del “BSL-4” in Kazakhstan, ad esempio, in presenza di una fuga da un deposito sotterraneo, con i venti che in quell’area soffiano principalmente verso la valle di Fergana, si verificherebbe un’autentica crisi umanitaria: il locale sistema sanitario, semplicemente, non sarebbe in grado di reagire, col risultato di un enorme flusso di rifugiati ai confini russi e cinesi. Vale a dire, senza bisogno di un attacco militare diretto, Asia centrale e Caucaso diverrebbero un focolaio di continue epidemie, con milioni di appestati e di morti, economia e infrastrutture sociali distrutte.

Parafrasando il Victor Hugo de “Il Novantatré”, anche la guerra moderna, come «la Vandea, serve al progresso. Le catastrofi hanno un oscuro modo di accomodare le cose»: in questo caso, per l’eternità.

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Patto di non aggressione tra Armenia e Azerbaigian, la proposta del premier armeno (Euroactiv 29.01.24)

Il Primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha dichiarato domenica (28 gennaio) di aver proposto all’Azerbaigian la firma di un patto di non aggressione, in attesa di un trattato di pace definitivo tra i due Paesi del Caucaso.

Erevan e Baku hanno combattuto due guerre – nel 2020 e negli anni ’90 – per la regione contesa del Nagorno-Karabakh, che l’Azerbaigian ha riconquistato con un’offensiva lampo lo scorso anno.

“Abbiamo presentato all’Azerbaigian una proposta per un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti e la sottoscrizione di un patto di non aggressione qualora la firma di un trattato di pace dovesse subire ritardi”, ha dichiarato Pashinyan in un discorso tenuto durante un evento di celebrazione della Giornata dell’esercito armeno.

Ha inoltre affermato che l’Armenia – un alleato di lunga data della Russia che ha espresso il timore di mosse militari azere contro il suo territorio – deve rivedere i suoi sistemi di sicurezza.

Il preisdente Aliyev ha dichiarato di aver realizzato il “sogno” azero in Nagorno-Karabakh

Il presidente Ilham Aliyev, vittorioso, ha dichiarato di aver realizzato un “sogno azero” lungo decenni, riconquistando il Nagorno-Karabakh dai separatisti di etnia armena. Ieri, domenica 15 ottobre, ha issato la bandiera del suo Paese nella città principale della regione.
Vestito …

 

 

“Dobbiamo riconsiderare il nostro pensiero strategico nella sfera della sicurezza e diversificare le nostre relazioni (internazionali) in questo ambito”, ha detto Pashinyan.

“Siamo pronti ad acquistare armi nuove e moderne e negli ultimi anni il governo ha firmato contratti per la fornitura di armi per miliardi di dollari”, ha aggiunto.

L’Azerbaigian ha negato di avere rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Armenia e ha escluso un nuovo conflitto con l’ex repubblica sovietica.

In precedenza, Pashinyan e il Presidente azero Ilham Aliyev avevano dichiarato che un accordo di pace avrebbe potuto essere firmato entro la fine dello scorso anno.

Ma i colloqui di pace condotti con la mediazione internazionale non hanno finora prodotto passi avanti.

Colloqui di pace in stallo

Il mese scorso, Armenia e Azerbaigian si sono scambiati i prigionieri di guerra, un primo passo verso la normalizzazione delle relazioni.

L’Unione Europea, gli Stati Uniti e le potenze regionali Turchia e Russia hanno salutato la mossa come una “svolta”.

Lo scambio di prigionieri ha alimentato le speranze di una ripresa dei colloqui faccia a faccia tra Pashinyan e Aliyev.

I due si sono incontrati più volte per colloqui di normalizzazione mediati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

Ma il processo è in stallo da ottobre.

L’Iran ospita i ministri degli Esteri di Azerbaigian e Armenia, mentre Baku e Ankara tengono esercitazioni congiunte

L’Iran ha ospitato lunedì (23 ottobre) l’incontro tra i ministri degli Esteri di Azerbaigian, Armenia, Turchia, Russia per discutere la situazione nella regione meridionale del Caucaso dopo la guerra lampo condotto da Baku nella regione del Nagorno-Karabakh che ha riportato …

 

 

Il tradizionale mediatore regionale, la Russia, impantanata nell’offensiva che sta trascinando in Ucraina, ha visto diminuire la sua influenza nel Caucaso.

Aliyev ha inviato truppe in Karabakh il 19 settembre 2023 e, dopo un solo giorno di combattimenti, i separatisti armeni – che controllavano la regione da tre decenni – si sono arresi e hanno accettato di reintegrarsi con Baku.

A dicembre, però, il leader separatista Samvel Shahramanyan ha dichiarato a Erevan che il suo precedente decreto che ordinava lo scioglimento delle istituzioni separatiste non era valido.

Quasi tutta la popolazione di etnia armena – più di 100.000 persone – è fuggita dal Karabakh verso l’Armenia dopo la presa di potere di Baku, scatenando una crisi di rifugiati.

La vittoria dell’Azerbaigian a settembre ha segnato la fine della disputa territoriale, a lungo considerata irrisolvibile.

Leggi qui l’articolo originale.

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L’Armenia ha il diritto di difendersi dalle aggressioni dell’Azerbajgian. Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno (Korazym 29.01.24)

Come abbiamo riferito (Dura condanna dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa per l’Azerbajgian [QUI]), l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha deciso lo scorso 24 gennaio di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian. Nel contempo abbiamo osservato che si trattava di una questione tra l’Azerbajgian e il Consiglio d’Europa, con cui non c’entra l’Armenia. Significativo era, che nessuno dei parlamentari Armeni sia intervenuto nel dibattito e che peraltro l’Armenia non viene neanche menzionata, quando si parla dei “promotori”.

Questo, ovviamente, non ha impedito all’organo di propaganda statale dell’Azerbajgian, Azertac, il giorno seguente affermare, che «le recenti iniziative ostili dell’Armenia contro l’Azerbajgian nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) hanno dimostrato ancora una volta che questo Paese non è interessato alla pace e al dialogo». Azertac aggiungeva ad abundantiam alla sua fake news la calunnia, che la delegazione dell’Armenia «guidava gli sforzi per bloccare l’approvazione delle credenziali della delegazione dell’Azerbajgian presso l’APCE», mentre i parlamentari armeni non sono neanche intervenuti nel dibattito il 24 gennaio. Poi Azertac sottolineava che la delegazione dell’Armenia era «guidata da Ruben Rubinyan, Vicepresidente del Parlamento armeno e figura chiave nel processo di normalizzazione dell’Armenia-Turchia». Questo, per poter rafforzare la calunnia con la menzogna: «Nonostante il discorso pubblico di Rubinyan a favore della pace e del dialogo, il suo recente coinvolgimento in questa campagna brutta e insidiosa rivela che i suoi appelli alla pace e al dialogo nella regione mancano di sincerità».
In sostegno della nostra osservazione, affermando l’estraneità dell’Armenia in riferimento al conflitto APCE-Azerbajgian, riferiamo che in un’intervista con Radar Armenia, alla domanda se ciò non è «forse un altro vicolo cieco dal punto di vista della continuazione dei negoziati armeno-azerbajgiani sulle piattaforme occidentali», lo studioso Shahan Gantaharyan ha risposto: «La decisione dell’APCE e le decisioni che verranno ancora dall’Europa non sono necessariamente dovute ai negoziati Armenia-Azerbajgian. Quanto più si approfondirà la cooperazione Baku-Mosca, tanto più forti saranno le dichiarazioni e le risoluzioni dell’Europa».

Questo certamente non vuol dire che l’Azerbajgian non continua a minacciare l’esistenza stessa dell’Armenia. Anzi, il rafforzamento della cooperazione Baku-Mosca, insieme a quella Baku-Teheran e Baku-Tel Aviv, la aggrava e quindi obbliga Yerevan a «seguire la strada dell’acquisizione di armi e attrezzature nuove e moderne», come ha affermato il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, partecipando ieri 28 gennaio 2024 all’evento festivo dedicato al 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia presso il complesso di concerti sportivi Karen Demirchyan a Yerevan.

Erano presenti anche il Presidente della Repubblica, Vahagn Khachaturyan, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Alen Simonyan, rappresentanti del potere legislativo, esecutivo, giudiziario e delle autonomie locali, le più alte cariche della Repubblica di Armenia, il Ministro della Difesa, i Vice Ministri, generali, ufficiali e militari, e gli Ambasciatori accreditati a Yerevan. All’inizio dell’evento è stato suonato l’inno nazionale della Repubblica di Armenia, dopodiché è stato osservato un minuto di silenzio in memoria degli Armeni che hanno sacrificato la propria vita per il bene della Patria.

Il Primo Ministro Pashinyan ha tenuto un discorso (foto di copertina), iniziando con l’affermazione che il ricordo del 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia «è il momento di riflettere di più, di affrontare i problemi che abbiamo nel campo della costruzione e della sicurezza dell’esercito, e anche i fallimenti. Questo confronto ci costringe a constatare che non possiamo continuare ad avere un esercito basato su standard e concetti antiquati degli affari militari, perché ciò significherebbe mettere in discussione la nostra volontà di avere uno Stato».

Nel suo discorso Pashinyan ha assicurato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian diversi meccanismi di garanzia della sicurezza, tra cui un ritiro speculare delle truppe dall’allora confine amministrativo tra la Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e la Repubblica Socialista Sovietica azera nel 1991, confine alla base della reciproca integrità territoriale.

Secondo Pashinyan, il ritiro speculare delle truppe renderà possibile che tutti i territori della RSS azera siano sotto il controllo dell’Azerbajgian e tutti i territori della RSS armena sotto il controllo dell’Armenia: «Registro ancora una volta che la Repubblica di Armenia non ha alcun diritto su nessun territorio diverso dal suo territorio sovrano e nessuno dovrebbe avere alcun diritto su alcun territorio della Repubblica di Armenia. Come ho detto, siamo pronti a dare tali garanzie, garanzie durature e irreversibili, ma ci aspettiamo garanzie simili da altri».

Inoltre, Pashinyan ha ricordato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian, nell’ambito della smilitarizzazione del confine, anche un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti. Pashinyan ha annunciato anche, che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian di firmare un patto di non aggressione, se dovesse risultare che la firma del trattato di pace richiederà più tempo del previsto. Infine, ha ricordato ancora una volta che la Repubblica di Armenia è impegnata nell’agenda di pace e non si discosterà da tale agenda.

Pashinyan ha affermato che le idee radicate sui sistemi di sicurezza hanno giocato un gioco disastroso nelle teste, invitando a rivedere le idee strategiche e concludendo che non c’è altra opzione per la Repubblica di Armenia se non la diversificazione delle relazioni di sicurezza: «Riformare l’esercito, avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e continueremo a seguire questa strada. Un esercito forte e capace è uno dei fattori più importanti che garantiscono la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Repubblica di Armenia, ma non è l’unico fattore. Dal punto di vista della garanzia della sicurezza, vorrei sottolineare altri due fattori chiave: le relazioni estere e la legittimità delle politiche condotte dal punto di vista del diritto internazionale. La legittimità, secondo questo, dovrebbe essere il fattore più importante per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia. Cosa voglio dire? Che la Repubblica di Armenia si identifichi con il territorio nel quale è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. È il territorio della RSS armena, che è identico al territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Dobbiamo affermare in modo chiaro e inequivocabile che non abbiamo e non avremo alcuna ambizione per nessun altro territorio, e questa dovrebbe diventare la base strategica per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia», ha chiarito Pashinyan.

Il Primo Ministro armeno ha fatto anche riferimento ad «una serie di dichiarazioni aggressive provenienti da diverse parti, e in particolare dall’Azerbajgian, relative alla riforma dell’esercito della Repubblica di Armenia e all’acquisizione di armi ed equipaggiamento»: «Ho già detto che avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e nessuno può mettere in discussione il nostro diritto. Se qualcuno mette in dubbio questo nostro diritto, mette in dubbio il nostro diritto di esistere. In questo caso, non avremo altra scelta che difendere la nostra statualità, la nostra indipendenza, la nostra integrità territoriale con tutti i mezzi possibili e impossibili», ha sottolineato.

Onore ai Senatori francesi

Partecipando all’evento dedicato alla formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia, l’Ambasciatore della Francia in Armenia, Olivier Decotigny, ha dichiarato: «L’Armenia deve essere in grado di proteggere la sua sovranità e la sua popolazione. La Francia riprende le sue relazioni di difesa con l’Armenia e sviluppa una vicinanza strategica tra i nostri due Paesi».

Con questa sua dichiarazione, l’Ambasciatore francese ha fatto eco ai Senatori del suo Paese, che con una risoluzione adottata all’unanimità (336 voti contro 1) ha invitato il Governo ad adottare sanzioni contro l’Azerbajgian per la condotta anti-umanitaria tenuta con la guerra contro l’Armenia e in disprezzo del popolo dell’Artsakh, mentre l’Italia sta con l’Azerbalgian, osserva Bruno Scapini in un articolo Nagorno Karabakh. Una risoluzione del Senato francese tutta da imitare, pubblicato lo scorso 27 gennaio su Tempi.it [QUI].

Bruno Scapini, ex Ambasciatore dell’Italia in Armenia, riconosce il «merito ai Senatori francesi per questa loro coraggiosa posizione assunta a difesa del popolo armeno. Non sempre, infatti, si può barattare il diritto con l’interesse economico e l’etica col proprio tornaconto; e in questa prospettiva sarebbe proprio auspicabile che si potesse vedere un comportamento simile da parte dei senatori italiani ormai assuefattisi alla subalternità verso chi detta loro le regole per come comportarsi. Ma i Francesi sanno fare le rivoluzioni, lo sappiamo, e quando le fanno, le fanno in nome dei diritti!».

Invece, osserva Bruno Scapini: «Non c’è dubbio. In Italia esiste una certa vasta area della politica conformista che stenta a riconoscere e ad accettare i dettami dell’etica. Il che, tradotto in termini comportamentali, vuol dire che questi suoi esponenti pensano e agiscono in ossequio ai propri interessi e in disprezzo di ogni senso di moralità. La prova di tale deprecabile costume la rinveniamo d’altronde nella quotidianità della vita politica, nei fatti più effimeri, come in quelli che richiederebbero un esercizio di valutazione etica. Un esempio? Il voltafaccia che autorevoli esponenti del mondo politico italiano hanno adottato nei confronti dell’Armenia e del suo popolo vittima, e non lo dimentichiamo, del primo genocidio del XX secolo. Un genocidio che purtroppo perdura tuttora per mano azera anche se sotto forme diverse e con modalità differenti».

Bruno Scapini sottolinea inoltre, che «non appena la classe politica dell’ultima ora (che sia di destra o di sinistra è del tutto ininfluente) ha scoperto – sotto l’influsso delle varie emergenze e crisi energetiche – che il Paese dell’Arca di Noè non aveva nulla da offrire in cambio di questa amicizia (non disponendo di combustibili fossili), contrariamente, invece, al suo vicino di casa, l’Azerbagijan, scopertosi un giorno a galleggiare su ricchi giacimenti di petrolio e di gas», «tutto è cambiato da parte italiana», «è intervenuto il radicale cambiamento nei rapporti bilaterali» e «Italia non più equidistante»: «Se prima Roma adottava una prudenziale linea di equidistanza rispetto a Yerevan e a Baku – sollecitata peraltro dall’interesse a garantire un sostanziale equilibrio all’area caucasica, anche nell’ottica di mitigare le tensioni più che trentennali tra i due Paesi – oggi la nostra Capitale non fa mistero della propria simpatia per Baku, e anzi se ne compiace rinnegando, con proditoria inversione di tendenza, perfino verità storiche innegabili. Così Roma si ritrova oggi improvvisamente schierata dalla parte dell’Azerbaigian, ne esalta il diritto alla integrità territoriale e ne riconosce addirittura la democraticità delle istituzioni. Per contro, da parte di queste stesse forze politiche non si ammettono le gravissime violazioni dei diritti umani, le torture e gli eccidi commessi dagli azeri ai danni degli armeni, né il diritto del popolo del Karabagh, peraltro consacrato da fondamentali normative internazionali, ad aspirare ad una indipendenza peraltro resa legittima dalla legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione delle Repubbliche sovietiche e delle loro entità sub-statuali (leggi nel caso: Nagorno-Karabagh)».

La condotta anti-giuridica di Baku, deplorata dai Senatori francesi all’unanimità, è stata condannata, come abbiamo appena ricordato, anche dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nel sospendere le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian sulla base delle medesime sostanziali motivazioni: la violazione dei diritti umani e la mancanza di rispetto dello Stato di diritto da parte dell’Azerbajgian.
Bruno Scapini conclude, che la «difesa ad oltranza, e contro ogni evidenza, della riprovevole condotta di Baku svolta da alcuni circoli politici della Capitale – che porrebbe il nostro Paese fuori dal circolo delle Nazioni a più alto indice di civiltà giuridica – non potrebbe trovare altra giustificazione se non nell’abitudine di certe comparse della politica nostrana ad esaltare cinicamente il “mercimonio” come strumento dell’azione, relegando invece a mera scelta opzionale il ricorso a condotte informate all’etica, alla morale e al rispetto di quel nucleo di superiori norme universali che conosciamo come Jus Gentium. In aggiunta, è anche da sottolineare sul tema, come la stessa Corte di Giustizia Internazionale abbia ritenuto di riconoscere con ordinanza del 17 novembre scorso la responsabilità di Baku per la negazione al popolo armeno del Karabagh di diritti fondamentali. Al di là del principio di integrità territoriale – seppure citato dalla Corte in riferimento a zone occupate ma di cui era prevista da parte armena la restituzione in sede di negoziato – i giudici dell’Aja hanno condannato apertamente l’atteggiamento persecutorio di Baku richiamando la sua dirigenza al rispetto del Diritto umanitario».

Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno

Contrariamente a quello che si pensa – ed alcuni sperano – l’ultima pagina dell’Artsakh armeno non è stata girata con l’attacco terroristico dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023 e il successivo sfollamento forzato di tutta la sua popolazione.

In un messaggio in occasione della 32ª Giornata dell’Esercito dell’Armenia, il Primate della Diocesi dell’Artsakh della Chiesa Apostolica Armena, il Vescovo Vrtanes Abrahamyan, ha affermato, che «a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro Esercito è ferito ed è in fase di recupero»: «Ancora una volta celebriamo insieme la festa dell’esercito armeno, anche se non in un clima di festa e con piena gioia. Gli ultimi anni sono stati piuttosto difficili per l’esercito armeno e nel 2023 ha perso il suo figlio maggiore, l’Esercito di difesa dell’Artsakh. Quando guardiamo al nostro passato e cerchiamo di rivalutare la nostra rotta, sarebbe sciocco attribuire le nostre perdite e gli ultimi fallimenti della lotta nazionale solo ai nostri difensori nativi, perché l’esercito è lo specchio del popolo e mostra visibilmente la salute livello del nostro paese e della nostra statualità.
Durante le ultime guerre dell’Artsakh, abbiamo assistito a molte imprese straordinarie di soldati e ufficiali dell’esercito armeno. Ciò significherà che il potenziale del nostro esercito e la capacità di combattere coraggiosamente non sono andati perduti, ma a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro esercito è ferito ed è in fase di recupero. Pertanto, carissimi, oggi più che mai l’esercito armeno ha bisogno del nostro amore e delle nostre cure sincere.
Credendo in un futuro dignitoso e vittorioso del nostro glorioso Esercito, ci congratuliamo ancora una volta con tutti noi in occasione di questa importante festività e preghiamo affinché Dio Onnipotente rafforzi il braccio dell’esercito armeno e mantenga saldo il nostro Paese armeno».

Il 27 e 28 gennaio, su iniziativa della piattaforma Europei per l’Artsakh, si sono svolti diversi eventi in 55 città europee, tra cui una manifestazione davanti all’ufficio di rappresentanza dell’Unione Europea a Tbilisi, per iniziativa dell’Unione degli Armeni della Georgia. I partecipanti alla manifestazione hanno presentato le loro rivendicazioni, che sono state indicate sui manifesti, che sono state inviate anche sotto forma di lettera alla rappresentanza dell’Unione Europea. È stato letto anche il messaggio delle fazioni dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh ai partecipanti all’evento, che è la prova che l’ultima pagina della Repubblica di Artsakh non è stata chiusa e che la lotta per l’Artsakh libero e indipendente continua.

San Marino RTV – Nel servizio andato in onda nel Tg, l’intervista a Teresa Mykhtaryan dell’associazione “Germoglio”.

Nella Sala Montelupo di Domagnano, l’incontro “Armenia e Artsakh”, proposto dal Coordinamento delle Aggregazioni Laicali di San Marino. “Dopo aver vissuto tremila anni in questa terra – spiega Teresa Mykhtaryan dell’associazione “Germoglio” -, gli Armeni sono stati cacciati via dai Turchi, da Turchia e Azerbajgian”. Lo scopo della serata è accendere i riflettori sulla situazione in Nagorno-Karabakh, terra che 120mila Armeni sono stati costretti a lasciare. Una serata di ascolto e testimonianza con il giornalista Renato Farina, esperto della materia, e Teresa Mykhtaryan, responsabile Armena dell’associazione “Germoglio”. “Ci sono centinaia di monasteri e chiese che rischiano di essere distrutti dai Turchi”, aggiunge Mykhtaryan. Da San Marino, da sempre attenta alle difficoltà degli altri popoli, partono progetti per aiutare gli Armeni dell’Artsakh: a portarli avanti l’associazione “Germoglio”. “Cercheremo di aiutare famiglia per famiglia – conclude Mykhtaryan – per farli sentire meno soli. Vorrei che la gente giusta e i Cristiani del mondo aiutassero gli Armeni a tornare nella loro terra, l’Artsakh”.

L’intenzione dell’Azerbajgian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa ricorda il ritiro nazista dalla Società delle Nazioni

L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhichevan, un’organizzazione composta da rappresentanti degli Armeni delle storiche regioni armene Gardman, Shirvan e Nakhichevan, ha invitato le organizzazioni internazionali a contrastare la crescita del “fascismo azerbajgiano” per prevenire tragedie future.
L’organizzazione ha rilasciato la dichiarazione in risposta all’intenzione dell’Azerbaigian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa dopo la sospensione della sua delegazione all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE).

«Gli ultimi sviluppi nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la sospensione della delegazione azera sulla base di numerose violazioni e inadempimento degli obblighi fondamentali derivanti dalla sua appartenenza all’organizzazione, nonché il continuo disprezzo delle decisioni del Consiglio d’Europa, hanno causato profondo malcontento in Azerbajgian», ha dichiarato in un comunicato l’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan.

«Non volendo affrontare i crimini del regime azero, i circoli pro-regime azeri interpretano questa decisione dell’APCE con false accuse di islamofobia, azerbajgianofobia e altre interpretazioni ipocrite simili. Inoltre, come alternativa alla soluzione della questione, invece di impegnarsi per una giusta eliminazione delle conseguenze dei crimini perpetrati, l’Azerbajgian sta discutendo il suo ritiro non solo dall’APCE, ma anche dal Consiglio d’Europa. Inoltre, l’Azerbajgian potrebbe rifiutarsi di riconoscere la giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale condotta da parte dell’Azerbajgian non è altro che un sistematico disprezzo e negligenza per le relazioni politiche, le norme accettate e convenzionali delle relazioni internazionali che si sono sviluppate nel corso di molti decenni. Più di una volta l’Azerbajgian ha affermato ad alto livello che il diritto internazionale è un “residuo del passato” su cui possono fare affidamento solo gli Stati deboli. Il ritiro dalle organizzazioni internazionali, e persino il rifiuto di riconoscere la giurisdizione dei tribunali internazionali, confermano l’ideologia e la politica perseguita dalla dittatura azera, che mira a evitare di assumersi la responsabilità dei crimini contro l’umanità da essa perpetrati e anche a garantire la continuità della impunità per le sue future azioni espansionistiche. È interessante notare che tali misure furono adottate dai regimi nazista e fascista nel secolo scorso, in particolare, si ritirarono dall’allora Lega delle Nazioni per evitare anche qualsiasi fattore formale che limitasse le loro azioni criminali. L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan chiede alle organizzazioni internazionali di non consentire la diffusione del fascismo azerbajgiano e di prevenire tragedie future tenendone conto nella pratica, ricordando l’esperienza del passato».

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Le radici armene di Laura Ephrikian in un libro (Rainews 29.01.24)

L’ attrice ha presentato il volume, che parla della sua famiglia, al Polo Bibliotecario di Potenza. La Regione Basilicata nel 2016 ha riconosciuto lo sterminio del popolo armeno come genocidio. Il nonno di Laura era riuscito a fuggire